Emergenza Coronavirus
Non siamo tutti sulla stessa barca
La pandemia del Covid-29 sta colpendo severamente le economie di tutti i Paesi del mondo, provocando in molti di essi un’emergenza occupazionale senza precedenti. Un caso emblematico, per l’importanza del Paese e la rapidità degli effetti, è quello degli Stati Uniti.
Prima della pandemia l’economia americana viaggava su solidi binari, con un tasso di disoccupazione che, a febbraio, mentre la Cina si era già fermata, aveva raggiunto un minimo storico del 3,5 per cento. A marzo, mentre toccava all’Europa cominciare a chiudersi in casa, il tasso di disoccupazione americano era salito di un ancora modesto 4,4 per cento. Successivamente, a distanza di un solo mese, i dati di aprile (gli ultimi disponibili) sono saliti di un ordine di grandezza con un tasso di disoccupazione del 14,7 per cento. Si tratta ormai del tasso più alto mai rilevato da quando ci sono le relative statistiche e ci si aspetta un ulteriore possibile rialzo fino al 16 per cento. Il numero di disoccupati è aumentato di 15,9 milioni raggiungendo quota 23,1 milioni, mentre il numero di occupati è diminuito di 22,4 milioni fermandosi a quota 133,4 milioni. Anche il tasso di partecipazione alla forza lavoro è diminuito attestandosi al 60,2 per cento, il valore più basso dal gennaio 1973 al culmine degli effetti della crisi petrolifera.
Mentre il dibattito pubblico si sofferma soprattutto sui milioni di licenziamenti innescati dalla pandemia e dal blocco delle attività produttive, nel frattempo sta succedendo anche qualcos’altro. L’economia si sta già trasformando con una riallocazione di risorse produttive e quote di mercato da attività in crisi ad attività in espansione. Questo travaso non sta però avvenendo tanto tra settori diversi quanto tra imprese dello stesso settore, in funzione della loro efficienza tecnologica e organizzativa. Un nuovo studio, presentato in Bocconi ai primi di maggio da Steven Davis (Professore di International Business and Economics alla Booth School of Business dell’Università di Chicago) mostra che la crisi occupazionale americana non riguarda tutte le imprese e che ci sono anzi imprese che stanno andando alla grande. In queste settimane travagliate, si sono infatti accumulati molti esempi non solo di licenziamenti, ma anche di assunzioni su larga scala. A metà aprile, Walmart aveva già assunto 150.000 nuovi dipendenti nell’arco di un mese e prevedeva di assumerne altri 50.000. Amazon ha assunto 100.000 nuovi dipendenti nelle ultime settimane con un obiettivo di assumerne altri 75.000. Entro fine aprile, Dollar General, una catena di grande distribuzione, prevedeva di assumere 50.000 nuovi lavoratori. Lowe’s, una catena di bricolage ed edilizia per la casa, ha in programma di assumerne 30.000 entro la fine della primavera. Già da fine di marzo, molte catene di alimentari da asporto e consegna a domicilio stanno facendo a gara nell’assumere nuovi lavoratori. Instacart ha già assunto 300.000 nuovi dipendenti e Domino’s Pizza sta assumendo circa 10.000 conducenti per le sue consegne. Anche la concorrente Papa John’s Pizza conta di assumere 20.000 nuovi dipendenti per soddisfare la crescente domanda di consegne. Nelle sole ultime due settimane di marzo, Outschool, una società che organizza lezioni a distanza per bambini e ragazzi dai tre ai diciotto anni, aveva già in programma di assumere 5.000 nuovi insegnanti per far fronte alla chiusura delle scuole.
Alcune campagne di assunzioni prevedono un travaso coordinato di lavoratori tra imprese con esigenze diverse allo scopo di favorire licenziamenti e assunzioni il più rapidi possibili. La catena di supermercati Kroger ha creato un accordo con le multinazionali Sodexo, Sysco e Marriott International per assumere i lavoratori licenziati dalle aziende di ristorazione e ospitalità nei loro portafogli. CVS Healthcare, colosso del settore sanitario, sta cercando di reclutare rapidamente 50.000 nuovi dipendenti grazie a un accordo di collaborazione con la catena alberghiera Hilton, la catena di abbigliamento Gap e la Delta Airlines, tutte aziende con importanti esuberi. Uber sta pubblicizzando presso i suoi autisti attualmente disoccupati le opportunità di lavoro offerte da 7-Eleven, Amazon e McDonald’s e altre aziende in espansione.
Gli effetti riallocativi sono evidenti anche nei modelli di spesa dei consumatori. La società di analisi dei dati Earnest Research ha monitorato gli acquisti con carte di credito e debito di quasi 6 milioni di americani per valutare l’impatto della pandemia sulla spesa dei consumatori. Per la settimana terminata il 1° aprile 2020, i dati raccolti indicano che la spesa per i servizi delle compagnie aeree, degli hotel, degli autonoleggi, dei taxi e del cinema è diminuita del 75-95 per cento rispetto al 2019. La spesa per fast food, ricambi auto e acquisto auto è diminuita del 35 per cento, mentre la spesa per abbigliamento è diminuita del 70 per cento. Allo stesso tempo, sono invece aumentate le spese per i lavori in casa, lo streaming video, i videogiochi, la consegna a domicilio di cibo, i kit per preparare i pasti e i negozi di alimentari online. Anche se la maggior parte dei tagli e delle rimodulazioni di spesa probabilmente si invertirà quando l’emergenza sarà passata, è altrettanto probabile che alcuni aspetti del cambiamento persisteranno.
Forse perché l’abitudine mentale comune porta a pensare all’economia in termini di settori produttivi, si sarebbe tentati di ritenere che la riallocazione indotta dalla pandemia comporterà principalmente spostamenti di risorse produttive tra settori. Tuttavia, l’analisi dei big data sulle caratteristiche individuali di imprese e lavoratori, che ha subito una forte accelerazione in questi ultimi anni, suggerisce il contrario. Fattori idiosincratici e specifici del datore di lavoro dominano la creazione e la distruzione di posti di lavoro, portando a una riallocazione di risorse che avviene in gran parte tra imprese dello stesso settore e solo in piccola parte tra imprese in settori diversi. Nel caso americano si parla di circa 85 per cento di riallocazione intra-settoriale contro circa 15 per cento di riallocazione inter-settoriale. Steven Davis prevede quindi che, anche nel caso dello shock Covid-19, la maggior parte della riallocazione di risorse produttive e quote di mercato indotta dalla pandemia si verificherà all’interno dei settori.
Il settore della ristorazione fornisce un esempio saliente di riallocazione intra-settoriale nell’ambito dell’attuale crisi. Secondo un sondaggio condotto negli Stati Uniti dalla National Restaurant Association alla fine di marzo, in conseguenza della pandemia il 3 per cento dei proprietari e dei gestori di ristoranti ha chiuso definitivamente, mentre un altro 11 per cento prevede una chiusura definitiva entro i prossimi trenta giorni. Applicando queste cifre al numero totale di ristoranti statunitensi si ottengono oltre 100.000 chiusure permanenti di ristoranti. Allo stesso tempo, le catene da asporto e consegna a domicilio stanno beneficiando di un enorme boom della domanda, come illustrato dai precedenti esempi di Domino’s Pizza e Papa John’s Pizza. Gran parte di questo impatto riallocativo che si sta realizzando nel breve termine potrebbe persistere anche nel lungo termine, ridisegnando il settore della ristorazione e i profili professionali richiesti.
Più in generale, una situazione economia instabile e imprevedibile nei suoi sviluppi favorisce le grandi imprese con lunga esperienza pregressa e tasche profonde. Per esempio, come scriveva il Wall Street Journal[1] a metà aprile, i più grandi attori del settore tecnologico stanno risucchiando talenti nel bel mezzo della pandemia di coronavirus. Poiché alcune delle startup più promettenti della Silicon Valley licenziano i lavoratori e altre congelano le assunzioni, aziende affermate come Apple, Google e Amazon stanno attraendo i migliori ingegneri del software, i migliori data scientist, i migliori product designer. Facebook ha rilevanto un forte aumento nell’utilizzo delle proprie piattaforme durante la crisi del coronavirus. Si è quindi impegnata a sorvegliarne il buon funzionamento, anche in vista delle prossime elezioni presidenziali americane, assumendo più di 10.000 persone per coprire ruoli critici nei suoi team di sviluppo di nuove tecnologie e prodottti. Il momento attuale sta quindi dando alle aziende tecnologiche meglio capitalizzate la possibilità di intercettare lavoratori qualificati che fino a poco tempo fa gravitavano verso startup più piccole. Queste osservazioni suggeriscono che la pandemia potrà indurre una marcata riallocazione di risorse da aziende tecnologiche più piccole e più giovani a società affermate di più grandi dimensioni. Una dinamica simile potrà manifestarsi anche in altri settori, laddove attori affermati con disponibilità di cassa potranno attrarre i migliori lavoratori specializzati alla ricerca di una stabilità lavorativa che, nell’attuale congiuntura, attori medio-piccoli fanno fatica a dare.
La riallocazione in corso non si ferma agli aneddoti, ma è ben visibile a livelli aggregato. La stima è che, già ora durante la fase critica del contagio, negli Stati Uniti a ogni 10 licenziamenti corrispondano 3 nuove assunzioni. Chiaramente il saldo netto in termini di occupazione è negativo, ma l’entità del travaso di lavoratori da imprese in difficoltà a imprese in espansione è comunque sorprendente ed estremamente rilevante.
Gianmarco Ottaviano è Professore di Economia Politica presso l’Università Bocconi, dove è titolare della Achille and Giulia Boroli Chair in European Studies.
[1] «Looking for a Job? Big Tech Is Still Hiring», The Wall Street Journal, 14 aprile 2020.