E&M

2005/4

Immaginate una ragazza nera, colta, dolce e gentile. Vive con il fidanzato in Spagna, studia all’università, posa come modella, non disdegna di fare la baby-sitter. Quando la coppia entra in Italia, il ragazzo viene fermato con centoventi grammi di roba in tasca. Lui patteggia e prende cinque anni. Lei no: “L’innocenza non si patteggia”. Le danno otto anni. È Melodia, uno dei tanti personaggi di un libro stupendo, intitolato Libertà dietro le sbarre, di Candido Cannavò. Se non lo avete ancora letto, siete in debito con la vita. Insieme a Primo Levi (Se questo è un uomo) e a Giuseppe Pontiggia (Nati due volte) dovrebbe essere adottato in tutti i licei. Non ha senso superare un esame di maturità senza aver scoperto il mondo delle sofferenze.

Dopo diciannove anni passati a dirigere la Gazzetta dello Sport, Cannavò si regala otto mesi per dialogare con i detenuti di San Vittore. Ci coinvolge nel destino di persone che a volte pagano i loro errori, a volte i nostri. Ci convince che nessuno è innocente di fronte al male degli altri. La sua passione per i più deboli viene da lontano. Giovanissimo, firma la prima denuncia della malsanità: “Il lazzaretto della Sicilia”. Il suo quotidiano rosa sposerà iniziative di grande generosità come San Patrignano, Emergency, le ricerche sulla distrofia muscolare, gli sforzi immani per sconfiggere il cancro. E adesso, in compagnia di Luigi Pagano, direttore di San Vittore, ci prova a rendere più vivibile il carcere. La filigrana di queste iniziative è sempre la stessa: lo sport, se vissuto come un valore, è capace di regalare speranza, umanità, desideri, fantasia.

Ha persino inventato una chiacchierata settimanale, su temi sportivi, con i suoi amici in carcere. Basta sparpagliare un po’ di sedie in un corridoio e la trasmissione Parliamo di sport civilmente può andare in onda. Porta con sé atleti famosi, con l’intento di gratificare l’uditorio, anche se alla fine saranno proprio gli ospiti a uscirne sconvolti e arricchiti. Leggendo le cronache di tali eventi sul sito di San Vittore (www.ildue.it) vi accorgerete che il vocabolario di Candido si è arricchito di termini saporiti. A riprova che ogni esperienza inventa il suo lessico.

Abituato a dedicare spazi, titoli e foto ai grandi campioni, Candido non ha mai dimenticato che lo sport si declina anche con gli sforzi di coloro che non saranno mai importanti. Ed essere famosi non è la sola strada capace di dare un senso alla vita. Frequentando il carcere ha scoperto una nuova dimensione del tempo, tra l’attimo di una condanna e l’eternità di una pena, tra il giorno che non passa mai e il miraggio di una liberazione che sembra arrivare già domani. Soprattutto ha avuto la conferma di quanto sia labile il confine tra felicità e disperazione, tra successo e fallimento. I suoi occhi trasparenti vedono tutto il dolore ma non si rassegnano. Quando scriveva i suoi famosi editoriali su Marco Pantani – me lo ha confessato con tenerezza sua moglie – Candido piangeva. Se Dio gli concedesse un miracolo, riporterebbe in vita Marco, per condurlo con sé in un tormentato viaggio verso una luce.

Cannavò non si è ancora reso conto che, per decenni, è stato letto ogni giorno da milioni di persone a cui regalava il suo amore per la vita. Ha formato intere generazioni. Quando fece finta di andare in pensione, gli mandai una e-mail: “Ogni mattina, prima di alzarmi, leggo un capitolo della Bibbia. E poi, appena arrivo in ufficio, mi godo il tuo editoriale. Molte volte il tuo testo è migliore del primo”. Non riesco a immaginare che esista un mondo senza i suoi messaggi. Anche Marco, in un modo misterioso ma vero, li legge ancora. Ci deve essere un’edicola vicino al bar, in paradiso.