E&M

2024/3

Francesco Billari

Costruire il futuro con la demografia

Nonostante il cambiamento demografico possa apparire lento e impercettibile, le sue implicazioni per il futuro economico, sociale e politico di un paese sono profonde, come dimostra il caso dell’Italia, al terzo posto nella classifica dei paesi più anziani al mondo, superata solo dal Principato di Monaco e dal Giappone. La crescente longevità e la coesistenza di più generazioni all’interno di famiglie, organizzazioni e mercati, richiedono un ripensamento delle politiche di formazione e integrazione, realizzabile solo tramite l’adozione di una prospettiva demografica volta a sviluppare politiche pubbliche innovative e strategie aziendali sostenibili.

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Pensare al futuro, costruire il futuro. Le strategie adottate da imprese, istituzioni e società si basano su approcci per proiettare l’oggi sul domani. Tra questi, uno in particolare è ancora poco sfruttato: l’analisi del cambiamento attraverso le lenti della demografia. Sebbene il cambiamento demografico possa apparire lento, quasi impercettibile, è proprio questo fenomeno a essere tra i più potenti nel plasmare il nostro futuro economico, sociale e politico – un megatrend per eccellenza. Per guardare al futuro e costruire un domani sostenibile è fondamentale adottare una prospettiva demografica. Partendo dalla demografia stessa, fino a esplorare le dinamiche del capitale umano e dei mercati, vogliamo qui riflettere su come la lentezza, l’inerzia, ma anche la rapidità dei cambiamenti demografici, incidano profondamente sulle sfide che ci attendono, con un’attenzione particolare all’Italia.

 

Domani è oggi: la lentezza che costruisce il futuro

Una delle immagini più suggestive che possiamo usare per capire l’influenza della demografia sul nostro futuro è quella delle lancette dell’orologio. Questa l’idea del demografo ed economista Alfred Sauvy, fondatore dell’Institut National d’Études Démographiques di Parigi, ancora oggi il più grande centro di studi demografici al mondo. Per Sauvy, la politica si muove con la rapidità della lancetta dei secondi, con decisioni spesso reattive di fronte alle emergenze che si susseguono. L’economia segue il ritmo della lancetta dei minuti, oscillando con cicli di breve e medio termine, legata anche ai tempi macro delle dinamiche economiche e micro della programmazione aziendale. Tutti noi dobbiamo però fare i conti con l’apparente immobilità della lancetta delle ore, quella che rappresenta la demografia. Pur sfuggendo spesso alla nostra attenzione, la “lentezza” della lancetta delle ore ha un ruolo fondamentale nel determinare le tendenze di medio-lungo periodo.

Proprio per la loro lentezza, i fenomeni demografici passano spesso inosservati, ma sono carichi di conseguenze profonde. Proviamo a pensare al passato, tenendo lo sguardo lungo: la speranza di vita in Italia, che nel 1861 era di soli 29-30 anni, oggi supera gli 83 anni. Nel corso dell’ultimo secolo, i progressi nell’aspettativa di vita ci hanno “regalato” circa quattro mesi aggiuntivi di vita ogni anno, l’equivalente di otto ore in più al giorno! Anche a livello globale, l’aspettativa di vita è aumentata a un ritmo simile negli ultimi sessant’anni, raggiungendo oggi una media di 72 anni. Sebbene il cambiamento demografico sia lento, l’aumento della durata della vita ha plasmato in modo decisivo quello che siamo oggi, compresa la necessità per individui, istituzioni e aziende di guardare al futuro. Il domani di ieri non è quello di oggi, ed è proprio questo il motivo per cui dobbiamo essere pronti a riconoscere e gestire questo cambiamento.

 

L’esempio dell’Italia: dalle piramidi alle navi

La trasformazione della struttura demografica italiana è stata radicale. Nel 1861, l’Italia era un paese giovane, con una piramide demografica larga alla base e stretta all’apice, segno di una popolazione in crescita e in cui i bambini costituivano il gruppo più grande. Vi erano pochi anziani: essenzialmente solo bambini, giovani e adulti. Oggi, la situazione è molto diversa. Nel 2024, solo il 15,1% della popolazione italiana ha meno di 17 anni, mentre il 24,3% ha più di 65 anni. Oltre all’allungamento della vita, che ha posizionato l’Italia nella top ten globale per longevità, ha avuto un forte impatto il calo delle nascite. Questo declino è avvenuto anche per il mancato adattamento alla diversità di genere nella società e soprattutto nel mondo del lavoro, che impone un’enfasi sulla genitorialità condivisa.

L’Italia, infatti, è passata da oltre un milione di nati – con il picco nel 1964, ancora l’anno di nascita più rappresentato nella popolazione italiana, dove i sessantenni sono il gruppo più numeroso – a meno di quattrocentomila nati nel 2023. In altri termini, nel 2024 il numero di nati sarà probabilmente circa un terzo rispetto a quello registrato sessant’anni fa. La piramide demografica del 1964 (Figura 1), con le visibili eredità del passato, nel 2024 è diventata una nave portacontainer vista da dietro (Figura 2), con pochi bambini e giovani. L’Italia, per questo, è oggi il terzo paese più anziano del mondo, superata solo dal Principato di Monaco e dal Giappone. La capacità di adattarsi e innovare di fronte a quella che è la punta del global aging sarà decisiva.

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Il mancato adattamento del capitale umano

Per la prima volta nella storia, grazie all’incremento della longevità, abbiamo più generazioni che convivono nello stesso momento. Al di là delle etichette degli esperti di marketing o delle analisi di chi si occupa di imprese familiari, il cambiamento demografico ha portato alla compresenza di generazioni diverse all’interno delle famiglie, delle organizzazioni e dei mercati. Quali sono le implicazioni per il capitale umano?

L’aumento dell’aspettativa di vita rende necessario considerare l’apprendimento come un elemento essenziale che caratterizza gran parte della nostra esistenza, da cui il concetto di lifelong learning, divenuto centrale proprio perché la vita è lunga. Da tenere in considerazione è anche quanto avviene nella prima fase della vita, aspetto fondamentale per la formazione del capitale umano. Le istituzioni preposte a questa formazione non si sono adattate al passaggio dalle piramidi alle navi. Vediamo anche qui il caso dell’Italia, dove la Riforma Gentile del 1923, concepita quando la speranza di vita era attorno ai cinquant’anni, riservava l’istruzione superiore a una ristretta élite.

Oggi, però, come abbiamo visto, la nave si assottiglia alla base e abbiamo bisogno di un sistema educativo inclusivo, che prepari tutti i nostri giovani per le sfide di un mondo sempre più complesso e globalizzato. Il capitale umano, infatti, si forma partendo dalla base della nave demografica, e passando progressivamente sui “ponti” più alti della nave. Con meno del 30% dei giovani tra i 25 e i 34 anni che possiedono una laurea, l’Italia si trova in una posizione svantaggiata; di conseguenza, la formazione necessaria per affrontare l’era dell’intelligenza artificiale richiede inevitabilmente tempi di apprendimento più lunghi. A titolo di confronto, la media dei laureati tra i giovani nei paesi dell’OCSE supera il 47%, mentre la Corea del Sud, che ha il tasso più alto di laureati in questa fascia d’età, si avvicina al 70%.

Per questo, in Italia, è fondamentale abbandonare l’idea di una scuola elitaria per costruire un sistema che dia a tutti, indipendentemente dalla loro provenienza, l’opportunità di contribuire alla società. Non è un caso che i giovani italiani fanno fatica a diventare adulti nel pieno senso del termine. Mancano campus universitari, politiche abitative e un contesto sociale che li supporti nel loro percorso verso l’indipendenza. Molti restano a casa dei genitori molto più a lungo rispetto ai loro coetanei di altri paesi europei, e questo ritarda il loro ingresso nella vita adulta, e la propensione al rischio e all’innovazione nelle età giovanili.

 

Migrazioni e diversità etnica: il rischio della “permaemergenza”

Quando si parla di immigrazione, spesso viene utilizzato il concetto di “emergenza”. Di nuovo, pensiamo al caso italiano: negli ultimi decenni i governi hanno dichiarato lo stato di emergenza sull’immigrazione ben otto volte, a partire dal governo Andreotti nel 1992 fino al recente governo Meloni nel 2023. Questo stato di emergenza permanente non solo riflette la nostra difficoltà a gestire i flussi migratori, ma contribuisce anche a perpetuare una narrazione di instabilità e paura.

Eppure, l’immigrazione non è un fenomeno temporaneo o gestibile con misure emergenziali, ma lo sviluppo di un’ulteriore diversità, in aggiunta a quella di genere e di generazione. La diversità di origine etnica e culturale è una realtà che dobbiamo affrontare con lungimiranza e spirito inclusivo. Se guardiamo ai numeri, oggi quasi il 9% della popolazione italiana è costituito da residenti stranieri. L’Italia, storicamente origine di flussi migratori in uscita è, di fatto, un paese di immigrazione. Non possiamo più permetterci di ignorare questa realtà, e occorre lavorare per migliorare l’integrazione a tutti i livelli in un paese etnicamente diverso, in particolare nelle aree più avanzate economicamente, e per programmare flussi ordinati di ingresso che contribuiscano a riempire le basi della nave demografica italiana. Lo possiamo fare, per qualche decennio, considerando che la nave demografica italiana (e europea) è complementare alla piramide demografica del Sud Globale, che ha ancora un gran numero di giovani. Il picco globale delle nascite si è osservato infatti nel 2012, con oltre 144 milioni di nati.

 

Usare le lenti della demografia: dalle politiche pubbliche al ruolo delle imprese

L’invecchiamento della popolazione e la coesistenza di più generazioni, frutto dei cambiamenti demografici di lungo periodo; i nuovi modelli familiari, con il calo delle nascite e una diversità di genere; la situazione giovanile, che evidenzia la necessità di ripensare alla formazione del capitale umano, insieme all’esigenza di usare l’allungamento della vita per continuare a imparare; la nuova diversità etnica: si tratta di fenomeni nuovi, per i quali però è possibile già oggi tracciare gli scenari futuri con una buona plausibilità. Sono questioni che richiedono politiche pubbliche innovative, a livello locale, nazionale e sovranazionale.

Anche le imprese devono però indossare le lenti della demografia, non solo per guardare al presente e al futuro, a mercati con forti e crescenti diversità generazionali, di genere e di origine etnica, con la necessità di rispondere in modo innovativo alla sfida dell’invecchiamento della popolazione; ma anche per guardare al proprio interno, facendo leva sulle multiple diversità per generare una maggiore produttività, sostenibile a livello sociale e ambientale.

 

Riferimenti bibliografici

Billari, F. (2023). Domani è oggi. Costruire il futuro con le lenti della demografia, Egea, Milano.