E&M

2004/4

Andrea Sironi

IAS, Basilea II e il rischio di Credit Crunch: verso fluttuazioni più accentuate del ciclo economico?

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La fase economica che il nostro paese, così come gli altri principali paesi dell’Europa continentale, sta attraversando ormai da alcuni anni è indubbiamente una fase di bassa crescita per non dire di stagnazione. Questa congiuntura sfavorevole non può tuttavia essere imputata a una carenza dell’offerta di credito all’economia. In Italia, nel periodo che va dalla fine del 1999 alla fine del 2003, gli impieghi delle banche all’economia sono infatti cresciuti a un tasso medio annuo del 7,65%, ossia a un tasso ben superiore a quello di inflazione.

Cosa sarebbe accaduto se la congiuntura economica sfavorevole fosse stata accompagnata da una contrazione dell’offerta di credito da parte del sistema bancario? Questo scenario pessimistico potrebbe risultare non del tutto irrealistico se si analizzano alcuni provvedimenti normativi di natura internazionale in corso di approvazione.

Come noto, fra i problemi più frequentemente discussi in relazione al Nuovo Accordo sul Capitale (NAC) proposto dal Comitato di Basilea vi è quello che va sotto il nome di prociclicità. Con questo termine si intende il rischio che un sistema di requisiti patrimoniali per le banche fondato sui sistemi di rating possa accentuare le fluttuazioni del ciclo economico, di fatto ripercuotendosi negativamente anche sulla stabilità del sistema bancario internazionale. In presenza di coefficienti patrimoniali le cui ponderazioni per il rischio si basano sui rating – esterni (approccio standard del NAC) o interni (approccio IRB del NAC) – assegnati alle controparti, un eventuale deterioramento del ciclo economico, tipicamente associato a più elevati tassi di insolvenza e a una maggiore frequenza di declassamenti (downgrading), porterebbe a un inasprimento degli stessi requisiti di capitale imposti alle banche. Tale inasprimento condurrebbe a sua volta, in presenza di una dotazione data di patrimonio, a un credit crunch, ossia una contrazione del credito bancario all’economia, di fatto accentuando la condizione recessiva. Analogamente, in presenza di una fase di crescita economica, tipicamente associata a un generale miglioramento del merito di credito delle controparti e dunque a una maggiore frequenza di upgrading, le ponderazioni per il rischio e i coefficienti patrimoniali si allenterebbero, di fatto consentendo alle banche di aumentare l’offerta di credito all’economia.

In generale, qualunque sistema di adeguatezza patrimoniale, sia esso fondato o meno su un sistema di rating, tende a essere prociclico. In presenza, infatti, di un’economia in recessione, aumentano i tassi di insolvenza e dunque si riduce, per effetto degli accantonamenti a riserve su crediti e delle rettifiche delle relative poste attive, la dotazione patrimoniale delle banche, le quali sono dunque costrette, in presenza di un vincolo di capitale esogeno, a contrarre l’offerta di credito. La differenza rilevante che si introduce con Basilea II è legata al fatto che tale effetto prociclico non resta confinato al solo fenomeno dei crediti in sofferenza o, se vogliamo, delle insolvenze, ma si estende anche ai crediti in bonis, ossia agli impieghi nei confronti di soggetti il cui merito di credito si è semplicemente deteriorato. In altri termini, la prociclicità del sistema dei requisiti patrimoniali si accentua legandosi non più solo alla frequenza delle insolvenze ma anche a quella relativa alle migrazioni, ossia alle variazioni nelle classi di rating, siano esse al rialzo (upgradings) o al ribasso (downgradings).

Più in generale, il grado di prociclicità dipende da tre principali fattori:

· il modo in cui sono tecnicamente disegnati i requisiti patrimoniali;

· il modo in cui le banche effettuano le proprie politiche di accantonamento a riserva (provisioning);

· il modo in cui sono costruiti i sistemi di rating su cui si fondano le ponderazioni per il rischio del sistema di adeguatezza patrimoniale.

È opportuno analizzare tali aspetti in sequenza.

Prociclicità e modalità del sistema di adeguatezza patrimoniale

Con riferimento al primo aspetto, un sistema di adeguatezza patrimoniale nel quale le ponderazioni per il rischio sono funzione del rating attribuito alle controparti delle esposizioni creditizie, quale si configura Basilea II, tende a essere più prociclico di un sistema a ponderazioni fisse, quale è l’attuale sistema originariamente formulato nel 1988. Ciò in quanto variazioni della congiuntura economica impattano sul merito di credito delle controparti, e dunque sul relativo rating, e in questo modo determinano variazioni dei requisiti patrimoniali. Questo maggior grado di prociclicità dipende tuttavia, a sua volta, da due fattori che assumono particolare rilevanza nel caso di Basilea II. Il primo riguarda l’intensità della relazione fra rating e ponderazione per il rischio, ossia la funzione che lega la probabilità di insolvenza (probability of default - PD) e la ponderazione per il rischio. Come è noto, nella versione dell’aprile del 2003 l’inclinazione della curva che lega la ponderazione per il rischio, e dunque il coefficiente patrimoniale, alla probabilità di default è stata significativamente abbassata rispetto alla prima versione del gennaio 2001, di fatto riducendo in misura rilevante il coefficiente patrimoniale relativo alle diverse classi di rischio. A parità di altre condizioni, è stato inoltre introdotto uno “sconto” rilevante per le esposizioni nei confronti di imprese con fatturato compreso fra 50 e 5 milioni di euro. Questa riduzione dell’inclinazione della curva comporta una significativa riduzione del grado di prociclicità del sistema di adeguatezza patrimoniale fondato sui rating interni. In presenza di un deterioramento del ciclo economico e di un conseguente aumento delle PD delle controparti, infatti, si riduce la variazione al rialzo della ponderazione per il rischio connessa a tale deterioramento. In questo senso, dunque, è indubbio che l’ultima versione del NAC presenti caratteristiche di minore prociclicità rispetto alla versione del gennaio 2001.

Una seconda caratteristica rilevante del sistema di adeguatezza patrimoniale che incide sul suo grado di prociclicità riguarda il fatto che esso sia calibrato avendo a riferimento la sola componente di perdita inattesa (unexpected loss), la quale dovrebbe concettualmente trovare copertura in capitale economico, o si estenda invece anche alla componente di perdita attesa (expected loss), la quale dovrebbe in realtà trovare copertura in riserve esplicite. Nel primo caso, infatti, a fronte di un coefficiente patrimoniale prociclico, le banche potrebbero teoricamente adottare politiche di provisioning “anticicliche”, di fatto aumentando gli accantonamenti a riserva in periodi di crescita economica durante i quali vi sono margini di redditività che lo consentono, e fare ricorso a tali riserve nel corso di periodi di recessione, durante i quali aumentano le perdite su crediti. Tale modalità di gestione delle riserve su crediti – di aumento durante le fasi di espansione in corrispondenza delle quali aumenta anche il tasso di crescita degli impieghi, e di successiva riduzione in corrispondenza delle fasi recessive – risponderebbe peraltro a una logica economica rigorosa: le riserve si accumulano, mediante un aumento degli accantonamenti, in corrispondenza dei periodi durante i quali si origina la maggioranza dei crediti che daranno luogo alle perdite future, ossia nelle fasi di maggiore crescita degli impieghi. Parte del grado di prociclicità dei requisiti patrimoniali potrebbe dunque essere adeguatamente compensata da politiche di provisioning anticicliche.

Se invece i coefficienti patrimoniali sono calibrati in modo da coprire sia la componente di perdita attesa sia quella di perdita inattesa, la natura prociclica del requisito patrimoniale tende a estendersi anche alle riserve su crediti. In altri termini, diviene più difficile, o quantomeno meno conveniente per le banche, adottare politiche di provisioning anticicliche. Anche da questo secondo punto di vista il NAC proposto dal Comitato di Basilea ha subito una importante recente variazione che lo ha reso potenzialmente meno prociclico. Come noto, infatti, nell’ottobre del 2003 il Comitato ha approvato una risoluzione la quale prevede che il requisito patrimoniale, diversamente da quanto originariamente stabilito, venga calibrato sulla sola componente di perdita inattesa. Per quanto riguarda invece la componente di perdita attesa (EL), essa viene confrontata con l’insieme delle rettifiche su crediti (RC). Nel caso in cui la differenza fra queste due grandezze sia positiva (EL>RC), si determina una carenza di copertura la quale viene dedotta dal patrimonio di vigilanza in misura paritetica dal patrimonio di base (tier 1) e da quello supplementare (tier 2). Viceversa, se la differenza fosse negativa, si avrebbe un “excess”, ossia un eccesso di accantonamenti rispetto all’entità della perdita attesa, la quale verrebbe portata a incremento del patrimonio di vigilanza supplementare (tier 2) fino a un massimo del 20% di quest’ultimo.

Questa recente innovazione del NAC assume una particolare rilevanza non solo perché recepisce le critiche da tempo avanzate dalla comunità accademica e bancaria, la quale sosteneva l’importanza che i requisiti patrimoniali venissero calibrati in modo da limitarsi a coprire la componente di perdita inattesa, ma anche perché essa implica un orientamento esplicito delle autorità di vigilanza verso una politica di provisioning di tipo dinamico, basata sulle perdite attese piuttosto che effettivamente realizzate.

International Accounting Standards e politiche di provisioning

Come osservato sopra, un secondo elemento che incide sul grado di prociclicità dei requisiti patrimoniali, indipendentemente dalle caratteristiche tecniche di questi ultimi, è rappresentato dalla natura delle politiche di accantonamento adottate dalle banche. In generale, politiche di tipo dinamico, quali quelle recentemente adottate dalla Banca di Spagna, consentendo di aumentare gli accantonamenti nel corso delle fasi economiche di crescita, durante le quali i profitti bancari sono più elevati, e di ridurli in corrispondenza delle fasi recessive, tendono a limitare la prociclicità dei requisiti patrimoniali. Al contrario, politiche fondate esclusivamente sull’ammontare delle perdite verificate tendono ad essere più procicliche per il semplice fatto che queste ultime risultano più elevate in corrispondenza delle fasi recessive di quanto non lo siano nel corso delle fasi di crescita economica.

Un ruolo cruciale rispetto a questo secondo punto è dunque assunto dalle normative contabili. Con riferimento a questo aspetto occorre anzitutto precisare come, diversamente da quanto accade per le normative di vigilanza prudenziale, non esiste ad oggi una disciplina comune fra diversi paesi. Esistono peraltro, all’interno dello stesso paese, divergenze fra regolamentazione contabile, di vigilanza e fiscale. Tali divergenze riflettono i diversi obiettivi perseguiti dai diversi organi regolamentari. Le autorità di vigilanza, interessate a tutelare la stabilità del sistema bancario, tendono a vedere gli accantonamenti a riserva come un cuscinetto di protezione a fronte delle perdite future e sono dunque favorevoli a logiche di provisioning fondate sul concetto di perdita attesa. Viceversa, le normative contabili, interessate a salvaguardare l’oggettività e la correttezza della valutazione dei profitti di ogni impresa, esercizio per esercizio, sono maggiormente orientate a politiche di accantonamento fondate su un concetto di perdita effettivamente conseguita e oggettivamente dimostrabile. Su questa visione contrastante si innesta peraltro quella delle autorità fiscali, le quali devono tutelarsi dal rischio di politiche di bilancio di window dressing, rivolte a manovrare gli accantonamenti e le rettifiche in funzione della minimizzazione dell’onere fiscale.

La situazione attuale, in Italia come nella maggioranza dei paesi economicamente sviluppati, prevede una distinzione fra accantonamenti a fondo rischi su crediti, realizzati sulla base di valutazioni relative a interi portafogli e rivolti alla copertura di rischio eventuale, e rettifiche, effettuate a fronte di valutazioni analitiche di singoli crediti (valutazione individuale obbligatoria) o di categorie omogenee di crediti (valutazione collettiva di tipo facoltativo e di natura forfetaria). Seppure la normativa non preveda che gli accantonamenti e le rettifiche vengano limitati ai soli crediti per i quali sono già evidenti perdite o segnali di deterioramento (per esempio ritardi di pagamento), molte banche seguono questo tipo di logica, rendendo inevitabilmente ciclico l’andamento degli accantonamenti, i quali sono infatti soliti crescere nelle fasi recessive dell’economia.

Venendo alla situazione prospettica, è evidente che occorre riferirsi ai principi contabili internazionali in corso di adozione (International Accounting Standards - IAS). Nel 1999, l’International Accounting Standards Committee (IASC), nel frattempo rimpiazzato dall’International Accounting Standards Board (IASB), ha emesso uno standard contabile, lo IAS 39, il quale richiedeva l’utilizzo del criterio del fair value o “valore equo” per la valutazione di alcuni strumenti finanziari – titoli di debito e di capitale e derivati – detenuti a scopo di negoziazione. Un sistema di contabilità al valore equo comporta uno spostamento dall’attuale modello di bilancio, imperniato sul principio del costo, a un modello orientato al principio del fair value. Tale sistema prevede che un’attività di bilancio venga rivalutata o svalutata in base alle variazioni dei prezzi di mercato o dei flussi di reddito generati dall’attività stessa. Il valore equo è in generale definito come il prezzo che sarebbe ottenibile se un’attività venisse ceduta sul mercato in condizioni normali e di continuità dell’impresa. In altri termini, il valore che si potrebbe ottenere non in una situazione di insolvenza e conseguente liquidazione dell’impresa cedente ma tramite una libera contrattazione tra due controparti aventi uguale forza contrattuale.

Nel dicembre del 2000 il Joint Working Group of Standard Setters (JWG), un gruppo che riunisce lo IASB e gli organi nazionali deputati alla definizione dei principi contabili, ha proposto di estendere l’utilizzo del fair value a tutti gli strumenti finanziari, inclusi prestiti e depositi bancari. Questa proposta di utilizzare il sistema del valore equo sia per i portafogli di negoziazione sia per quelli immobilizzati ha incontrato lo scetticismo della comunità bancaria e degli organi di vigilanza. Il problema principale è connesso alle difficoltà di valutare in modo adeguato il fair value degli strumenti finanziari privi di un mercato secondario liquido da cui trarre indicazioni di prezzo.

Nell’agosto del 2001 lo IASB ha avviato un processo di revisione dello IAS 39, il quale è sfociato, nel 2002, in una exposure draft la quale prevedeva, fra l’altro, la possibilità per le imprese di adottare (opzione irrevocabile) il criterio del fair value per ogni strumento finanziario. In seguito a numerose critiche pervenute da parte della comunità finanziaria, lo IASB ha predisposto una nuova versione sia dello IAS 39, sia dello IAS 32. In Europa, il Parlamento Europeo e il Consiglio Europeo hanno adottato un regolamento (1606/ 2002) che impone alle società quotate di adottare gli IAS nella redazione dei bilanci per ogni esercizio finanziario a partire dal gennaio 2005. Mentre la maggioranza dei nuovi principi contabili internazionali sono già norma vigente nella UE (L. 261/1 del 13 ottobre 2003, Regolamento n. 1275), l’iter è ancora in corso proprio per i due principi dello IAS 32 e IAS 39.

Facendo riferimento alla valutazione dei crediti bancari, il principio del fair value comporta una valutazione di tipo prospettico, fondata sul valore attuale dei flussi di cassa attesi, i quali ovviamente risentono del merito di credito della controparte. Ciò potrebbe teoricamente essere realizzato attualizzando i flussi di cassa nominali a tassi differenziati in funzione del merito di credito delle controparti; in presenza di un merito di credito deteriorato, i flussi di cassa futuri verrebbero attualizzati a tassi più elevati, i quali incorporerebbero il maggior grado di rischio degli stessi flussi, e dunque il valore di mercato si ridurrebbe.

Le variazioni di valore andrebbero direttamente imputate a conto economico. L’impostazione fondata sul concetto di fair value potrebbe condurre a un mutamento per quanto riguarda la politica di provisioning, specie per quelle banche che attualmente adottano politiche di accantonamento e di rettifica basate sulle perdite connesse a impieghi che manifestano difficoltà (impaired o non performing).

In generale, l’utilizzo della logica del fair value condurrebbe verosimilmente a un maggior grado di trasparenza, legato a un più puntuale riconoscimento dei rischi. Questo stesso elemento potrebbe tuttavia condurre, da un lato, a una maggiore volatilità dei risultati economici delle banche, dall’altro a un maggior grado di prociclicità delle politiche di credito. Un immediato riconoscimento del deterioramento del merito di credito delle controparti, tipicamente associato alle fasi recessive, porterebbe infatti a una riduzione del credito disponibile all’economia. Queste potenziali critiche stanno alla base delle scelte finora compiute dallo IASB per quanto concerne la valutazione dei crediti bancari. L’orientamento dello IASB è infatti quello di far riferimento, per ciò che concerne le rettifiche dei crediti, a un concetto di incurred loss, ossia di perdita che si ritiene probabile si sia già verificata. Non è dunque ancora riconosciuta la possibilità di effettuare accantonamenti sulla base di perdite future attese (expected loss), anche se stimate sulla base di criteri statistici come quelli che stanno a fondamento dei sistemi di rating adottati dalle banche.

Più in particolare, la versione fino ad ora discussa dello IAS 39 prevede che i crediti siano iscritti per l’ammontare nominale in essere, a meno che non vi siano prove oggettive del loro deterioramento. Nel caso di un deterioramento, il credito andrebbe iscritto al valore attuale dei flussi di cassa attesi futuri, e la relativa differenza rispetto al valore nominale andrebbe imputata al conto economico. Nel testo dello IAS 39 vengono peraltro riportati diversi esempi di eventi che possono rappresentare “prova oggettiva” di un deterioramento del credito e che possono dunque dare origine ad accantonamenti.

Una possibile soluzione al problema della prociclicità è rappresentata da un sistema di accantonamenti statistici, anche chiamato di dynamic provisioning, quale quello recentemente adottato dalle autorità di vigilanza spagnole.[1] In un simile sistema gli accantonamenti non vengono realizzati solo in caso di un manifestato deterioramento del credito ma fin dal momento della sua erogazione. In particolare, in un simile sistema ogni credito genera, sulla base del merito di credito della controparte, un importo di accantonamenti pari alla perdita attesa di lungo periodo. Gli accantonamenti costituiscono, in un simile sistema, un fondo in grado di smorzare gli effetti di periodi sfavorevoli del ciclo economico caratterizzati da elevate percentuali di crediti in sofferenza.

Prociclicità e modalità di attribuzione dei rating

Un terzo elemento che incide sul grado di prociclicità dei requisiti patrimoniali, così come disegnati nel NAC, è rappresentato dal processo di rating assignment, ossia dal modo in cui le banche assegnano il rating ai propri clienti. Le analisi empiriche finora condotte hanno evidenziato il diverso grado di sensibilità alle variazioni del ciclo economico che caratterizza sistemi di rating forward looking, come quelli costruiti sulla base di indicatori di mercato, rispetto a sistemi di rating backward looking, costruiti sulla base di evidenze storiche.

In generale, è possibile osservare come vi siano due principali metodologie di assegnazione del rating, generalmente denominate point in time e through the cycle. Nel primo caso, il giudizio circa la solvibilità futura di un soggetto è attribuito considerando, oltre alle condizioni economico-finanziarie attuali e prospettiche dello stesso soggetto, le condizioni attuali e prospettiche del ciclo economico. In questo senso, dunque, è verosimile che, a parità di condizioni specifiche dell’impresa in esame, una congiuntura economica di tipo recessivo si associ a rating peggiori, e viceversa. I sistemi di rating point in time sono tipicamente quelli adottati dalle banche, le quali sono interessate a far sì che il giudizio relativo a ogni controparte risenta delle condizioni attuali e previste sia della stessa controparte, sia del settore produttivo nel quale essa opera e del sistema economico in generale. Ciò in quanto il rating rappresenta un input essenziale di alcuni processi fondamentali quali il pricing delle esposizioni creditizie, la costruzione di portafogli efficienti e la misurazione di performance corrette per il rischio. La mancata considerazione delle condizioni previste circa l’evoluzione del ciclo economico potrebbe condurre la banca ad essere poco competitiva nei confronti di altre banche che invece riflettono, nella propria valutazione, un eventuale previsto miglioramento del ciclo economico.

Nel secondo caso (rating through the cycle) invece, il giudizio relativo alla solvibilità viene effettuato cercando di prescindere dalla situazione congiunturale attuale e prospettica, e considerando invece uno scenario pessimistico. In altri termini, la valutazione circa la capacità dell’impresa di rimborsare le proprie obbligazioni viene effettuata mediante una sorta di stress analysis nelle condizioni “peggiori” (worst case) del ciclo. In questo senso, dunque, essa risulta relativamente immune dalle variazioni del ciclo economico. I sistemi di tipo through the cycle sono tipicamente quelli adottati dalle agenzie di rating, le quali sono particolarmente interessate a verificare che la capacità di rimborso della società valutata resti tale anche in presenza di eventuali deterioramenti della congiuntura macroeconomica.

Si intuisce da quanto sopra che i sistemi di rating di tipo point in time tendono a essere relativamente più ciclici di quelli through the cycle. I primi tendono, infatti, a differenza dei secondi, a variare al modificarsi delle condizioni congiunturali. Essi producono dunque migrazioni fra classi di rating più frequenti e tassi di insolvenza per classe di rating più stabili nel tempo.

Se dunque i requisiti patrimoniali sono basati sui rating assegnati alle controparti, come previsto dal NAC, è evidente che il ricorso a rating point in time renderà il nuovo regime di adeguatezza patrimoniale più prociclico di quanto non lo sarebbe se le banche ricorressero a sistemi di rating di tipo through the cycle.

L’ultima versione del NAC ha cercato di affrontare questo problema richiedendo alle banche di rispettare alcune condizioni particolari nell’attribuzione dei rating, per esempio evidenziando il fatto che la probabilità di insolvenza per ciascuna classe di rating, pur essendo una probabilità a un anno, deve essere stimata sulla base di dati relativi a periodi prolungati (cinque anni). È opportuno tuttavia rilevare come l’estensione dell’orizzonte temporale relativo alla stima delle probabilità di insolvenza rappresenti un efficace strumento per rendere tali stime più robuste, ma abbia poco a che fare con la metodologia di rating assignment, la quale dipende piuttosto dai criteri adottati in sede di attribuzione del rating.

L’analisi finora svolta ha mostrato come, se da un lato le variazioni recenti intervenute nelle proposte del Comitato di Basilea relative al sistema delle ponderazioni per il rischio dell’approccio IRB hanno alleviato questo aspetto, permane un problema di maggiore prociclicità del NAC rispetto all’attuale schema di adeguatezza patrimoniale. Si è anche evidenziato come i recenti orientamenti degli organi contabili, espressi nei principi contabili internazionali, e in particolare nello IAS 39, lascino anch’essi intravedere il rischio che le politiche di provisioning delle banche continuino a presentare caratteristiche di prociclicità. Analogamente, l’orientamento delle banche verso sistemi di rating point in time presenta implicazioni in termini di prociclicità connesse alla maggiore dipendenza che questo tipo di rating assignment presenta rispetto a un processo fondato su rating through the cycle.

A queste considerazioni generali è possibile aggiungere che gli studi empirici finora condotti sembrano confermare il maggior grado di prociclicità del Nuovo Accordo sul Capitale recentemente proposto dal Comitato di Basilea, specie per quanto concerne l’approccio fondato sui rating interni (IRB).

Per concludere, è dunque auspicabile, per evitare il rischio di fluttuazioni del ciclo economico più accentuate, che, a fianco dei provvedimenti recentemente adottati dal Comitato di Basilea, ne vengano adottati altri rivolti a far sì che i tre fattori causali della prociclicità vengano il più possibile fra loro armonizzati e rivolti quantomeno a non accentuare le fluttuazioni del ciclo economico. Da questo punto di vista, sarebbe importante giungere a un’armonizzazione coerente, a livello internazionale, fra la normativa relativa all’adeguatezza patrimoniale, la quale appare attualmente compatibile con l’utilizzo di meccanismi di dynamic provisioning, la normativa internazionale sulle politiche di accantonamento a riserva e di rettifica degli attivi, la quale risulta invece ancora lontana da una logica di questo genere, e la normativa fiscale. Una simile armonizzazione:

· consentirebbe di ridurre in misura significativa il problema della prociclicità;

· favorirebbe la stabilità del sistema bancario;

· ridurrebbe gli oneri gestionali per le banche, le quali si troverebbero a gestire sistemi di provisioning, di risk management e di capital management fra loro compatibili e coerenti;

· agevolerebbe, in definitiva, una maggior stabilità dell’offerta di credito al sistema economico.

1

La Banca di Spagna ha introdotto questo sistema nel secondo semestre 2000 in seguito alla forte crescita degli impieghi bancari registrata nel corso degli anni novanta. L’obiettivo principale dell’innovazione normativa era quello di smussare l’andamento ciclico degli accantonamenti, la cui componente statistica cresce nei periodi di espansione e si riduce in quelli di recessione. Il nuovo sistema prevede che le banche possano determinare i propri accantonamenti sulla base di metodi interni o di una metodologia standard la quale assegna coefficienti crescenti da 0% a 1,5% alle diverse categorie di prestiti, dalla meno rischiosa alla più rischiosa. La somma dei crediti ponderati ognuno per il suo coefficiente misura il c.d. “rischio latente”. Tale importo viene messo a confronto con gli accantonamenti specifici effettuati a fronte di crediti problematici (incagli e sofferenze): se il rischio latente è superiore agli accantonamenti specifici, allora viene incrementato il fondo accantonamenti statistici, fino a un massimo di tre volte l’ammontare complessivo di rischio latente. Viceversa, se quest’ultimo è inferiore agli accantonamenti specifici, si diminuisce il fondo accantonamenti statistici. In questo modo, gli accantonamenti statistici si aggiungono a quelli specifici e, muovendosi in modo opposto a questi ultimi rispetto all’andamento del ciclo, riducono la prociclicità degli accantonamenti complessivi.