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Una piccola impresa meridionale
Sono persone diversissime ma accomunate da un forte senso di disagio verso un mondo con cui non sono più in sintonia. La decisione di ristrutturare il faro diventerà lo stimolo per una rinascita prima esistenziale e poi anche imprenditoriale. Dopo Basilicata coast to coast , il nuovo film di Rocco Papaleo traccia una suggestiva metafora di start-up innovativa.
Una piccola impresa meridionale
Regia: Rocco Papaleo
Interpreti: Rocco Papaleo, Barbora Bobulova, Riccardo Scamarcio
Italia, 2013
Sono tutti “ex” i protagonisti del nuovo film di Rocco Papaleo Una piccola impresa meridionale. Don Costantino – interpretato dallo stesso regista, voce narrante e punto di vista privilegiato sulla vicenda – è un ex prete. Meglio: un prete che si è spretato dopo essersi innamorato e che è stato mollato dalla sua “bella” subito dopo aver lasciato l’abito talare. Ma accanto a lui ci sono una ex prostituta (Barbora Bobulova), una ex moglie che ha scoperto di avere inclinazioni sessuali non proprio consone al ruolo di sposa, perfino un gruppo di ex circensi che cercano di riconvertirsi come impresa edile di costruzioni.
Questa comune condizione sociologica ed esistenziale, questo avere tutti alle spalle un passato ripudiato, un’identità abbandonata, indica con sufficiente chiarezza come il film ambisca a rappresentare una rinascita – o un nuovo inizio – costruito sul rifiuto di un’esperienza precedente con cui ciascuno non vuole più avere niente a che fare. Per questo si rifugiano tutti nel vecchio faro di proprietà della famiglia di Costantino, e lì – sotto l’occhio prima scettico e poi sempre più partecipe della vecchia madre, l’unica a non essere ex di nulla… – si mettono al lavoro per trasformare quel fatiscente refugium peccatorum in un bed & breakfast elegante e molto charmant.
Scanzonato e sorridente, il film di Rocco Papaleo strapazza alcuni stereotipi radicati sul Mezzogiorno d’Italia e innesta in un contesto apparentemente arcaico un esemplare racconto imprenditoriale.
Facendo dell’ex prete quasi una sorta di manager ideale: l’unico, in ogni caso, capace di gestire una transizione difficile ma epocale.
Ne discutono Severino Salvemini e Gianni Canova.
G.C. Partiamo dal titolo. Nel senso comune degli italiani, o quanto meno nella percezione della maggior parte di essi, “impresa meridionale” suona o come una provocazione o come un ossimoro…
S.S. Dimentichi una terza possibilità: che suoni come un’ironia. Certo: l’unica impresa in senso stretto di cui si parla nel film è la Meridionale Ristrutturazioni S.r.ls. (società a responsabilità limitatissima!), la scombiccherata compagine di ex circensi che si aggiudica l’incarico di ristrutturare il faro. Ma non è questa la “piccola impresa meridionale” cui allude il titolo del film. Il richiamo va piuttosto al miracolo compiuto da un gruppo eterogeneo di persone che, pur non avendo che un budget minimo a disposizione, riesce ad attivare non solo e non tanto la ricostruzione di un edificio, ma anche un’oggettiva “ricostruzione” dei membri del gruppo medesimo. Per realizzare l’obiettivo che si sono dati sono costretti tutti ad assumere una nuova visione, devono sperimentare nuovi modi di interagire con il mondo e con se stessi. E questa è la prima piccola impresa che il film ha il merito di celebrare…
G.C. A me sembra che la prima “impresa” compiuta dai bizzarri personaggi del film sia quella di lasciarsi alle spalle quel cronico “declinismo” che da qualche anno a questa parte sembra ammorbare ogni riflessione sul nostro paese. All’inizio del film, è vero, una delle prime frasi pronunciate da don Costantino suona più o meno così: “Non è un buon momento, ma può senz’altro peggiorare!”. È una frase che sembra riflettere il pessimismo scoraggiato, la delusione delle aspettative, in breve tutto il querulo piagnisteo sul declino come tendenza fatale e a suo modo inarrestabile. Per sconfiggere questo atteggiamento rinunciatario bisogna uscire dall’incuria e dall’inerzia. E gli amici di don Costantino lo fanno. Con determinazione e con energia.
S.S. Non solo. Applicano alla loro piccola impresa alcuni precetti elementari che secondo i manuali di organizzazione e management sono alla base di ogni intrapresa di successo: trasformare la propria imperfezione in virtù; guardare al futuro con ottimismo; e poi, come si dice in inglese, doing more with less: saper essere intraprendenti anche senza grossi mezzi a disposizione.
G.C. I singoli personaggi sono caleidoscopici: ognuno di loro porta in sé un pezzo di mondo. E il film è una sommatoria di “microtrame” che derivano dalle storie precedenti dei vari personaggi: un’accolita improbabile di ex in cerca di nuova collocazione, ai quali si aggiungono piano piano altri ex, come se fossero gli elementi di una banda musicale in formazione, un po’ scassata, ma animata da una comune passione e da un contagioso entusiasmo.
S.S. Hai detto bene: c’è qualcosa di contagioso nel comportamento dei singoli e nel processo che li porta ad essere un gruppo. L’operazione della ristrutturazione del faro modifica i pezzi difettosi dei caratteri dei protagonisti. Ognuno di loro compie un percorso di emancipazione, superando i personali pregiudizi e le personali paure. Ciascuno dei personaggi trae forza e coraggio dalle peripezie altrui, scoprendosi ogni giorno un poco di più nei riguardi dell’altro,che non viene più avvertito come minaccia bensì come fonte di cooperazione.
G.C. In questo processo di creazione di un team mi sembra che un ruolo decisivo giochi anche il fatto che tutti i personaggi si trovano come in una sorta di volontario esilio da una comunità circostante di ipocriti conformisti: quelli che spiano, bisbigliano, origliano, commentano e disapprovano… È un mondo verso cui i protagonisti del film provano un forte senso di disagio, non sono più in sintonia con quella realtà, che pure fino a poco prima era anche la loro realtà. Ma loro cambiano, mentre il mondo che li circondaè immobile. O meglio: cambiano più rapidamente del mondo che li circonda. Il successo della loro intrapresa sta anche nel fatto che a un certo punto loro viaggiano con una marcia in più…
S.S. In questa start-up innovativa non dobbiamo però dimenticare che è essenziale il ruolo dell’ex prete. Don Costantino è una sorta di manager sui generis, forse anche suo malgrado.
In una situazione di convivenza forzata come è quella narrata dal film, con i conflitti sempre latenti e sul punto di esplodere, l’ex prete ha la grande capacità di ricomporre un equilibrio tra le diverse vite dei personaggi, senza imporsi dall’alto ma guidando come un coach esterno. Don Costantino tollera, pazienta, cementa, smussa, insegna, riflette e tutto ciò conduce a un risultato collettivo che all’inizio sembrava impossibile.