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2013/5

Sul filo del rasoio il Milan era riuscito a eliminare dalla Coppa dei Campioni il Real Madrid. Si arriva alle semifinali contro il Bayern Monaco. Si vince a Milano per uno a zero ma in Germania si sta perdendo per due a zero. A evitare l’eliminazione arriva un gol di Stefano Borgonovo che apre la strada alla finale vinta nel maggio 1990 contro il Benfica. Questa rete è stata sovente ricordata durante la sua lunga malattia. Aveva messo una firma indelebile sulla quarta delle sette Coppe dei Campioni vinte dal Milan.

È morto il 27 giugno, a quarantanove anni. Raggiunge il suo apogeo nella Fiorentina in coppia con Roberto Baggio. Insieme vanno anche in nazionale. A carriera conclusa, comincia ad allenare le giovanili del Como, da dove era partito. Lo ferma la SLA, una malattia neurodegenerativa che colpisce in modo progressivo quelle cellule del sistema nervoso che inviano ai muscoli gli stimoli a contrarsi. Le statistiche dicono che la malattia colpisce solo sei persone su centomila, mentre nei calciatori la frequenza scende a uno su mille, con i portieri stranamente esclusi. Se ne sono pensate tante, dai pesticidi sui campi di calcio all’abuso di farmaci antinfiammatori e antidolorifici per giocare ad ogni costo, ai colpi di testa. Non si tratta certo di doping, perché i ciclisti dovrebbero essere i più falcidiati e invece sembrano immuni.

Al sorgere della malattia Stefano aveva perso la bussola ed è rimasto chiuso in casa per due anni. Poi la moglie Chantal lentamente riuscì a fargli capire che poteva esserci una dignità anche nella malattia. Il nome di un calciatore famoso poteva dare una speranza a tante persone che soffrono. Qualcosa, dopo di lui doveva rimanere per continuare la lotta.

Ultimamente Stefano ha scritto un libro, anche se alla fine era in grado di muovere solo le pupille che gli permettevano di dettare i suoi messaggi attraverso un computer comandato dal suo sguardo. Sognava di ritornare a dare due calci a un pallone, su un campo qualsiasi, quello dell’oratorio.

Adesso esiste una ONLUS che porta il suo nome e che vuole dare fiducia a tutti gli ammalati. Nel 2012, il presidente dell’UEFA, Michel Platini, che ogni anno porta aiuto a un’organizzazione benemerita che sfrutta la forza dello sport per conseguire dei cambiamenti positivi, ha consegnato un assegno di un milione di euro alla fondazione che porta il nome di Stefano Borgonovo.

Al suo nome andrebbe aggiunto anche quello di sua moglie, Chantal. Tutto è stato possibile perché Stefano ha avuto al suo fianco una grande donna. Si innamora di lui a quindici anni e non si sono più lasciati. Al sorgere della malattia, dopo un momento di comprensibile scoramento, l’ha tirato per i capelli perché non voleva perderlo così presto.

Insieme al grande progetto nasceva tra loro un nuovo innamoramento, un modo più ricco per restare insieme. I medici gli avevano diagnosticato un anno di vita, ne ha vissuti otto. Chantal non l’ha visto morire. Era andata a Zoagli per preparare la casa per le vacanze. Dolce e serena, come sempre, si confessa. “In tutti questi anni sono riuscita ad amarlo sempre di più. Non l’ho mai tradito, prima dopo.”