E&M
2008/6
Indice
Editoriale
Focus intervista
Doing business in China
Investimenti diretti esteri nelle industrie high-tech e avanzamento tecnologico in Cina
Il mercato delle regole
Fuoricampo
Articoli
Posizionarsi nella rete delle alleanze strategiche per generare innovazione
Globalizzazione dei brand portfolio: le strategie vincenti
La gestione delle politiche pubbliche a sostegno delle biotecnologie: il caso tedesco
Storie di straordinaria imprenditorialità
Storia minima di un’impresa, di una famiglia e di quattro generazioni
Fotogrammi
Sempre avanti
Scarica articolo in PDFArriva tutto solo a Los Angeles, nel 1932. È il primo cinese che partecipa alle Olimpiadi, e siamo già alla decima edizione. Non vince nulla. Anche le successive delegazioni, un poco più numerose, non vedono ombra di medaglie. Nel 1956, a Melbourne, la Cina, ancora a secco, si ritira perché Taiwan sfila con la bandiera cinese. Vent’anni dopo il Canada metterà fine all’equivoco e allora sarà Taiwan a ritirarsi per proteste. In tutto, aveva vinto un bronzo. La Cina rientra nel giro nel 1984, proprio ancora a Los Angeles. Esplode e arriva quarta, con trentadue medaglie, di cui quindici d’oro. Dopo un periodo di leggero appannamento, nel 1992 riconquista il quarto posto con cinquanta medaglie. Consapevole del suo ruolo emergente tenta di aggiudicarsi i giochi olimpici del 2000, ma vince Sydney per 45 a 43. In Australia la Cina arriva terza, con cinquantanove medaglie complessive. Nel 2004 si classifica seconda ma, quanto a ori, gli Stati Uniti sono nel mirino. Trentasei a trentadue.
L’attribuzione dei giochi olimpici a Pechino per il 2008 fu una ovazione. Toronto, seconda arrivata, è superata di trentaquattro voti. A Pechino – è storia recentissima – gli ori della Cina saranno cinquantuno, contro i trentasei degli Stati Uniti. Il primo sorpasso è avvenuto. Restano i podi: USA batte Cina per centodieci a cento. Tanti ori non si vincono competendo in una sola disciplina e contando sulla benevolenza degli arbitri. Qualche ombra non intacca uno strapotere costruito non solo sulla ginnastica artistica ma su altre discipline: sollevamento pesi, tuffi, tiro a segno e tennis da tavolo. Esiste una vera fabbrica degli atleti, una scuola dove lavorano a tempo pieno cinquemila aspiranti, dai sei ai ventidue anni, sotto la guida di allenatori stranieri. Otto ore di lavoro fisico al giorno. Quando le nostre bambine giocano alla Barbie, le loro colleghe cinesi pensano alle Olimpiadi. Ogni anno si accettano seicento nuovi candidati, scelti tra sessantamila domande. Proibito fumare, litigare, fidanzarsi prima dei ventidue anni. Studiano più di noi. Le loro elementari corrispondono alle nostre medie. I bambini cinesi che emigrano negli Stati Uniti surclassano tutti in matematica, dove la lingua non conta.
Illusi quelli che aspettavano contestazioni o, peggio ancora, che le esigevano dagli atleti. Ai cinesi il governo aveva permesso di manifestare liberamente in tre parchi. Gli ingenui cascati nella trappola si sono ritrovati in carcere. I capi di Stato stranieri erano tutti ossequienti. Non ho capito perché abbiano fischiato Bush invece di ringraziarlo. Il debito estero degli Stati Uniti è quasi pari al suo prodotto interno lordo. E poco meno della metà è stato contratto con la Cina. Per salvare le banche americane, il successore di Bush dovrà ritornare a Pechino. Senza medaglie.
Rimangono dei dubbi sulla vera età delle ragazze della ginnastica. Si sospetta che non tutte abbiano compiuto i sedici anni. In questo sport si ritarda lo sviluppo puberale per sfruttare la flessibilità tipica di una bambina. Nel 1992 le ginnaste pesavano in media quarantadue chili. Oggi, solo trentasei. Dietro ogni oro olimpico ci potrebbe essere una bambina malata. Gravissimo rimane il problema degli scarti. Chissà dove finisce chi non vince se Zou Chunlan, campionessa mondiale di sollevamento pesi, si ritrovò a vendere spiedini per strada. Un ospedale le ha offerto una chirurgia plastica gratuita per ridarle un minimo di fattezze femminili. Non importa chi paga, la Cina continuerà a vincere. La conclusione del suo inno nazionale non ammette dubbi: “Sempre avanti”.