E&M

1998/2

Gianni Canova

Il post-fordismo del racconto: Alien, Batman e le nuove forme della serialità

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Alien, la clonazione

Regia: Jean-Pierre Jeunet

con Sigourney Weaver e Winona Ryder

Usa, 1997

Le profonde trasformazioni che stanno investendo e modificando in modo radicale il sistema produttivo cominciano a far sentire i loro effetti anche sul piano della produzione di immaginario. Il processo di cambiamento in questo settore, per la verità, è iniziato già da parecchio tempo, ma solo ora si comincia a intuire tutta la portata innovativa. Si prenda ad esempio una serie cinematografica come quella di Alien: gli episodi che la compongono denunciano fin dal titolo un’organizzazione del materiale narrativo molto diversa dal modello “seriale” classico (quello di impronta “fordista”) e delineano una sorta di dispositivo post-fordista anche nelle pratiche iterative di produzione, distribuzione e consumo di enterteinment spetta colare di massa.

La serie comincia nel 1979 con Alien di Ridley Scott. Prosegue poi con Aliens (1986) di James Cameron, Alien3 (1992) di David Fincher e Alien, la clonazione (1997) di Jean-Pierre Jeunet. Alien/Aliens/Alien3/Alien, la clonazione: singolare/plurale/ esponenziale/universale. Lontani i tempi in cui l’organizzazione della serie veniva comunicata al pubblico con la semplice apposizione di un numero romano progressivo (Rocky I, II, III, Rambo I, II, III ecc.) accanto al titolo (o al “marchio di fabbrica”). Roba vecchia, reperti di archeologia: quella numerazione progressiva lasciava supporre uno sviluppo lineare della storia, un rigoroso controllo del tempo e dello spazio narrativo, una precisa relazione logico-cronologica nel passaggio da un episodio all’altro. Era il modello produttivo fordista che plasmava e permeava di sé anche l’organizzazione dello spettacolo.

Ora le cose non stanno più così. La serie Alien (ma un discorso analogo si potrebbe fare ad esempio anche per la saga di Batman, o per il serial televisivo X-Files) si fonda su un meccanismo produttivo in cui la serialità cessa di essere una “catena” e diventa un ipertesto, o una rete. Da un capitolo-episodio all’altro non c’è più, necessariamente, sviluppo diegetico. Ci sono piuttosto salti, buchi, ripetizioni, richiami, analogie. La narrazione si espande come una metastasi: si riproduce a distanza, all’improvviso, senza vincoli di tempo o di spazio. A suggerire l’idea di una serialità per l’appunto flessibile e globale, che ha bisogno di espandersi in ogni direzione, di dilatarsi al massimo e di autoriprodursi incessantemente in ogni modo e in qualsiasi direzione. Il materiale così organizzato si offre al pubblico (e al consumo) non più con un appeal legato all’intreccio, bensì piuttosto come un ipertesto in cui ogni singolo fruitore attua i percorsi e le tattiche di consumo che risultano Più confacenti al suoi bisogni e ai suoi desideri. Non l’è più una storia che va avanti. e che avvince lo spettatore ponendolo in tensione rispetto all’esito finale della vicenda. C’è piuttosto un pattern, o un nucleo situazionale di base (un’eroina-icona, un mostro alieno invasivo, un’astronave alla deriva nello spazio) che viene incessantemente riprodotto (o clonato) con l’introduzione di piccole varianti. La neo-serialità gioca in somma sull’eterno ritorno dell’identico, differenziando però ogni singolo prodotto in base agli “optionals” che lo contraddistinguono. Nell’ultimo episodio della serie Alien, ad esempio, il conflitto fra l’eroina Ripley (interpretata da una sempre più allucinata Sigourney Weaver) e il mostro alieno che la perseguita dal primo episodio si riproduce pari pari secondo schemi già collaudati nei capitoli precedenti. Nulla di nuovo, insomma, se non una diversa miscela degli ingredienti e una differente distribuzione, appunto, degli “optionals”. Alla fine del terzo episodio Ripley si era suicidata per distruggere, con sé, anche il “mostro” alieno che si portava in grembo. Ora, a 200 anni di distanza, viene clonata e riportata in vita da un gruppo di scienziati che sono interessati soprattutto a salvare il DNA del “mostro” per portarlo sulla Terra e sfrutta do come nuova forma di forza-lavoro. Ad essere serializzato è il prodotto (in questo caso il brand Alien, con relativo design dell’artista svizzero H.R. Giger), mentre il contesto e il personale tecnico-esecutivo cambiano di volta in volta. Così se ancora pochi anni fa le serie si basavano non solo sulla fedeltà al brand, ma anche sulla riproposizione dei la squadra che l’aveva realizzato (le serie di Indiana Jones o di Ritorno al futuro sono firmate sempre dallo stesso regista e interpretate dai medesimi attori), ora la neo-serialità prevede un tasso di flessibilità molto più alto: la regia cambia sempre in Alien, mentre in Batman cambia perfino l’attore che interpreta l’eroe pipistrello. Una volta assunta la centralità del brand (Alien, Batman, X-Files), è possibile declinarla con il massimo di flessibilità nei contesti e negli scenari più disparati. Ma non si tratta di una banale strategia product oriented: al contrario, paradossalmente, proprio la fedeltà al prodotto (e al suo logo, alla sua “immagine”) finisce per risultare funzionale a una strategia consumer oriented. Perché qui sta il punto: i prodotti della neo-serialità si offrono al consumatore con chiavi d’accesso multiple, ognuno può scegliere la propria e fare di sé un soggetto nomade dentro lo scenario proposto. Come in un gioco di ruolo, “partecipare” significa operare delle scelte, costruire delle connessioni, stabilire tragitti, percorsi e strategie. Cioè, in altre parole, produrre soggettività (e identità) proprio nell’atto del consumo. Per questo non ci si deve indignare, ad esempio, del fatto che in Italia le varie puntate di X-Files siano state mandate in onda secondo un ordine diverso da quello previsto dalla produzione. Dietro questa apparente “sciatteria” si nasconde una profonda comprensione della natura ipertestuale della neo-serialità: che diventa tanto più interessante quanto più chiama il fruitore a intervenire attivamente a ricostruire il proprio palinsesto ideale all’interno di un certo numero di possibilità definite. Proprio come di fronte a Alien, la clonazione: dove ognuno può godere, di volta in volta e differentemente, tanto delle ‘‘variazioni dell’identico” quanto delle “identità di più diversi”. Poco importa che non ci sia storia, e che il ritmo latiti e incespichi a più riprese: ritmo e storia sono funzioni ormai trasferite e delegate ai consumatori. Ognuno dei quali avrà la storia e il ritmo che si merita, quelli che è stato capace di contribuire a creare. O a ricreare.