E&M

2002/3

Tradizione voleva che il regalo natalizio della SDA Bocconi rimanesse avvolto nel mistero più fitto. Ma l’anno in cui ci aspettavano 190 biciclette nuove fiammanti, gli occhi dei curiosi ebbero buon gioco. All’epoca dirigevo il Centro Studi della Federazione Ciclistica Italiana e chiesi al presidente Agostino Omini di presenziare alla cerimonia, scortato da Francesco Moser. Trasparente fu la mia delusione quando vidi apparire non il campione mondiale ma un ragazzino spaurito che sembrava raccattato per strada. Con l’aria di scusarsi, Omini mi disse: “Ha vinto solo un giro dell’Appennino ma un giorno sentirete parlare di lui. Si chiama Gianni Bugno”. Si aggiudicherà due mondiali di fila, una Sanremo, due giri delle Fiandre, una Coppa del Mondo. Vincerà un Giro d’Italia, indossando la maglia rosa dall’inizio alla fine, impresa riuscita solo a Girardengo, Binda e Merckx.

Di quell’incontro conservo una fotografia, che mi serve per ribadire che una Business School sa scoprire i talenti in erba. Ma gli atleti di razza, come le imprese che si rispettano, conoscono faticosi tornanti. Sorvolo sulla caffeina, che Gianni mi spiegava corrispondesse a soli quindici caffè al giorno. Neppure mi dilungo su un campionato italiano che si correva nel Trentino. Sul percorso si aggirava una ragazza da favola, vestito lungo verde e occhi verdi. Chi si scandalizzò che Gianni si ritirasse in anticipo era solo invidioso della grazia altrui. Più sofferto fu invece il suo esame di maturità. Quel liceo scientifico snobbato a diciannove anni, in dirittura d’arrivo, cominciava a dolergli perché un titolo di studio gli serviva per conseguire il brevetto di pilota. Quando gli domandai come si stava preparando all’esame smontò in fretta le mie preoccupazioni. “È molto semplice. A metà del Giro di Svizzera mi ritiro e sostengo gli scritti. Poi corro il campionato italiano e affronto gli orali”. Per un ciclista di razza la preparazione consiste nello stilare il calendario: le strategie si fanno solo la sera prima, magari già a letto. Non fece però i conti con i giornalisti che, con la discrezione che li connota, si assieparono in aula d’esame e la commissione – mi commentò Gianni – “dovette fare le cose per bene”.

Archiviati oramai i tornanti di ogni tipo, finalmente ha realizzato il sogno di ragazzo: quello di volare. Pilota il suo elicottero, fragile come lui. “L’elisoccorso mi affascina. Trasporto malati e materiale sanitario delicato e urgente. Non mi spaventano i turni di notte per quindici giorni di fila: anche da corridore stavo fuori casa 250 giorni all’anno. E non ho paura della notte. È come una volata: se hai paura non vai. Non pensi ai rischi, ma solo alla gioia di vincere. Non ti accorgi che sei sospeso in aria se vivi l’emozione di salvare una vita”.

Tanti atleti eccellenti fanno strada nei settori più disparati. L’americano Edwin Aldrin, il secondo uomo a mettere i piedi sulla luna, era un eccellente saltatore con l’asta. Urho Kekkonen, campione finlandese di salto in alto, fu presidente della Finlandia dal 1956 al 1981. L’inglese Philip Noel-Baker, due volte finalista olimpionico nei 1500 metri, nel 1916 e nel 1920, conseguiva nel 1959 il Nobel per la pace. Chi pratica lo sport ad alto livello sa passare da un sogno a un altro. I valori acquisiti sul campo si dilatano nella vita e non conoscono argini. I grandi atleti appartengono alla stessa famiglia degli imprenditori di razza: l’amore per lo sforzo intenso li porta solo a vincere, non importa dove. Sono sempre in corsa.