E&M
1996/2
Indice
Interventi
Interventi
Competenze. La gestione delle risorse umane tra conoscenza individuale e conoscenza organizzativa
Evoluzione organizzativa. Crisi dei paradigmi dominanti e nuovi modelli di cooperazione
Impresa multidivisionale o gruppo: una scelta non solo organizzativa
Scarica articolo in PDF1. Premessa
Fra le scelte importanti che la proprietà ed il management prima o poi si trovano di fronte c’è quella della configurazione societaria da dare all’attività svolta. Questa scelta riguarda anzitutto il tipo di società da adottare, se s.r.l., s.p.a. o altra forma. Ma ben presto, con l’espansione dell’attività, si presenta anche la necessità di scegliere se sviluppare le nuove attività all’interno dello stesso veicolo giuridico o se collocarle in società nuove. In quest’ultimo caso si pone di nuovo il problema del tipo di società da adottare, ma occorre anche decidere a chi esse devono fare capo: se direttamente ai soci oppure alla prima società, oppure ad altra costituita allo scopo con il ruolo di capogruppo delle nuove iniziative. Anche quando le attività nuove nascono in seno alla società iniziale, ad un certo punto può presentarsi l’interrogativo se convenga continuare a mantenerle all’interno o se non sia più opportuno scorporarle per dare loro forma giuridica distinta. In questo caso occorre decidere se procedere ad un distacco totale, ad esempio con la tecnica della scissione, rescindendo ogni legame azionario fra le parti per farle dipendere direttamente dagli azionisti – come nel caso recente di scissione della Autogrill dalla SME – oppure se fare dipendere le nuove società dalla società madre che le ha filiate.
Alle volte il problema societario si pone a rovescio, da parte di chi ha sviluppato le sue iniziative imprenditoriali in forma multisocietaria, per la necessità o l’opportunità di riordinare l’insieme e ridurne la complessità gestionale raggruppando le varie società m una sola persona giuridica, eventualmente multidivisionale dal punto di vista organizzativo, o comunque raggruppandole a grappoli in un numero inferiore di società.
A dire il vero, il problema della scelta del veicoli societari si pone o dovrebbe porsi ab initio, in capo alla famiglia dell’imprenditore, sia come modo per disporre in un modo o nell’altro i beni familiari (per tenere i diversi cespiti uniti o distinti in funzione anche di una migliore gestione dei processi successori) sia per organizzare presenza imprenditoriale ove si preveda che si manifesti in diverse direzioni (in questo caso occorre valutare l’opportunità di avere delle società capogruppo a cui attribuire il ruolo che è implicito nell’espressione).
Questo tipo di scelte – sulla struttura societaria da adottare – sono dettate da diverse considerazioni: in teoria dovrebbero partire da riflessioni sul disegno strategico e da valutazioni di tipo organizzativo, per aggiungervi poi altre considerazioni. Più spesso sono invece originate e determinate da considerazioni di tipo finanziario e fiscale,oppure da motivazioni di altra natura, e sono decise sulla base predominante o esclusiva delle valutazioni degli esperti di diritto societario e fiscale. In questi casi il management al quale spetta poi la funzione di governo si trova a dovere gestire le attività loro assegnate con i problemi di gestione propri e specifici di queste, ma anche con quelli che derivano dal tipo di configurazione societaria che è stata adottata.
In particolare, quando per svolgere un complesso di attività si sceglie la forma del gruppo, sorgono particolari problemi di gestione, che meritano di essere affrontati con una visione congiunta nella quale si fondono le considerazioni di tipo strettamente manageriali con quelle giuridiche. È su questo problema che si vuole puntare l’attenzione in queste pagine. Lo si fa anche perché in Italia, quando un imprenditore diversifica la sua attività, tende più che altrove ad adottare il modello del gruppo, preferendolo di gran lunga alla forma dell’impresa monosocietaria multidivisionale. Da noi la forma del gruppo viene adottata perfino per l’espletamento di una singola attività, che spesso viene suddivisa nelle sue varie fasi e componenti alle quali viene data veste giuridica distinta.
Come si vedrà, la scelta del gruppo va incontro a diverse esigenze, alcune fondate ed altri discutibili. Ma una volta adottata, pone al management dei problemi di gestione particolari, sui quali occorre riflettere per evitare da un lato sottovalutazioni dei vincoli giuridici e dei rischi penali e civili che ne conseguono, e dall’altro le complicazioni che insorgono nella gestione unitaria quando questa debba essere incisiva e senza frizioni di alcun genere.
I problemi in questione scaturiscono dal fatto che il quadro normativo che regola i gruppi e le relazioni alloro interno in Italia è tutt’altro che soddisfacente. In particolare è circondata da molti vincoli, da diversi rischi e da molte incertezze l’attività di direzione e di coordinamento svolta dalla capogruppo, così come la gestione delle società controllate, ove queste siano società a responsabilità limitata ed accettino di sottoporsi alla direzione unitaria. Come recitano due eminenti giuristi, quali Ferro-Luzzi e Marchetti, “la realtà economica potenzialmente unitaria sottostante al frazionamento giuridico fra le varie società del gruppo, e quindi anche la possibile esistenza di una impresa di gruppo sono fenomeni che, se non ignorati, sono comunque trascurati, e comunque guardati con sospetto, in quanto potenziali attentati all’autonomia delle singole società... (omissis)... in conseguenza, dottrina e legislatore hanno concentrato l’attenzione sul controllo (inteso come manifestazione del potere della controllante) anziché sul gruppo; e poi sul controllo visto esclusivamente come patologia... come situazione a rischio, fonte di possibili pericoli per le singole società controllate, mettendo così”in luce i potenziali danni, appunto alla controllata, ed alla minoranza di questa, piuttosto che i vantaggi che alla società controllata possono anche derivare dall’appartenenza al gruppo”.
Per quanto riguarda i gruppi creditizi, la legge 218/90 ed il decreto legislativo n. 356/90 hanno colmato questo divario riconoscendo esplicitamente la fattispecie del gruppo e le funzioni che ad esso fanno capo. Ma non ha del tutto fugato i molti dubbi per chi deve applicare la direzione ed il coordinamento di gruppo, né le preoccupazioni degli amministratori delle controllate che devono aderire alla guida di gruppo, in quanto molte delle attività necessarie per una efficiente direzione unitaria si scontrano con le norme consolidate del diritto societario. Il dato di fatto è che gli amministratori ed il management delle società appartenenti ai gruppi, stante la normativa attuale, si trovano di fronte a quelle che Mignoli ha definito i “martorianti limiti posti all’attività di tutti gli organi societari, costretti ad umilianti sterilizzazioni, giustificazioni, astensioni o assenze, per non cadere nelle forche caudine della sanzione civile e penale che accompagna il conflitto di interessi”.
Questo singolare contrasto – da un lato la realtà dei gruppi che si è andata imponendo con prepotenza, dall’altro la dottrina giuridica e la norma che la ignorano o la considerano soltanto in negativo o comunque faticano a coglierla in tutti gli aspetti, inclusi quelli positivi – è il punto di partenza di questa analisi, anche perché questo atteggiamento normativo restrittivo o punitivo, mentre può essere più che giustificato in certi casi crea problemi a quei gruppi che invece dovrebbero essere aiutati a svolgere le funzioni positive che sono loro proprie.
Purtroppo, per l’economista aziendale i problemi relativi ai gruppi non sono soltanto quelli interni agli stessi: cioè sul come condurre i gruppi. Già in questo ambito le questioni che riguardano la formazione del bilancio di gruppo sono interrelate, ma diverse rispetto a quelle del fornire direzione unitaria e coordinamento. Ma altrettanto importanti sono i problemi che si pongono nelle relazioni esterne, interaziendali, quando uno o entrambi i soggetti sono dei gruppi: si pensi al caso di una banca che deve finanziare non una impresa isolata, ma un gruppo di imprese; e si pensi ai rischi di credito che sorgono dove da un Iato non vi è una banca singola, ma un gruppo creditizio composto di più società bancarie o finanziarie che intrattiene rapporti creditizi non con una singola società, ma con un gruppo. Ma non è possibile in questo contesto allargare il campo oltre i punti sopraindicati.