E&M
1996/1
Indice
Interventi
Jurassic Park vs. Caro Diario. Un confronto tra la strategia competitiva
Dal broadcasting al narrowcasting: effetti su imprese, consumatori e agenzie di pubblicità
Interventi
Il telephone banking, la banca virtuale e le prospettive del sistema
La concorrenza fra canali di distribuzione nell’editoria libraria
Integrazione logistica, interna e verticale, nella distribuzione dei beni di largo consumo
Il sistema Italia: soggetto competitivo o terra di conquista?
Scarica articolo in PDFUna domanda provocatoria, non c’è dubbio. Una di quelle domande alle quali si sfuggirebbe volentieri. Anche perché per rispondere bisogna soppesare un mare di fattori e poi – con tutti i dati sul tavolo – si deve valutare anche l’imponderabile.
Un problema come questo si presenta quando si è invitati all’estero a presentare la situazione e le prospettive dell’Italia. Ogni volta che si deve affrontare questa responsabilità si è costretti a cominciare daccapo: a fare la mappa delle forze in campo, a rivedere le carte vecchie, a controllare i nuovi dati, a verificare certe ipotesi, a cercare spiegazione a fenomeni vecchi e nuovi che spesso sembrano sfuggire alla logica economica, ma anche a quella più semplice del buon senso. Più di dieci anni fa, ad esempio, incontravo colleghi e analisti finanziari convinti che un Paese non può sopravvivere ad un debito pubblico che superi un certo l’apporto rispetto al PIL: allora pensavano al 70-80%. Quando spiegavo loro che, date le condizioni sociali e politiche, un accordo per risanare la finanza pubblica non sarebbe maturato tanto presto, loro emettevano sentenze senza appello. Ho ritrovato alcuni di loro anni dopo. La domanda si era trasformata: come è stato possibile arrivare ad un debito pubblico del 130% senza finire nel disordine? Altre volte mi interrogavano sull’andamento del costo del lavoro, che negli anni Ottanta aumentava a tassi doppi di quelli tedeschi o francesi e cercavano di capire se e come si sarebbe arrestata quella corsa folle. Trovare la risposta in quegli anni era come guardare in una palla di cristallo. Alla fine la soluzione è stata trovata, in tempi e modi che nessuno poteva prevedere.
In breve, se uno vuole spiegare come funziona questo Paese – se sia condannato al declino o se abbia qualche prospettiva di inserirsi con successo nella competizione mondiale – si trova di fronte a grandi dilemmi perché qui più che altrove convivono forti contraddizioni. Non a caso per spiegare l’Italia si ricorre spesso a metafore che contengono il senso della precarietà. ma anche la speranza di una prospettiva confortata dall’esperienza di tanti scogli evitati: il calabrone che vola, pur contro le leggi dell’aerodinamica: la torre di Pisa che pende da secoli, ma non cade.
La verità è che, per ragioni varie, l’Italia è al centro di un processo di trasformazione che interessa l’economia mondiale, stretta fra i Paesi più avanzati sul fronte tecnologico ed organizzativo – quelli che godono i vantaggi di tecnologie proprietarie – ed i Paesi in via di sviluppo in corsa per catturare produzioni che nel dopoguerra erano diventate un’area di nostra specializzazione. Tutti i Paesi vivono questa tensione: ma l’Italia la vive più di altri per essere arrivata tardi all’industrializzazione, per avere strutturalmente alcune delle competenze tipiche da postindustriale (veda si creatività, capacità di design e di produrre estetica), avendo però anche i problemi tipici dei Paesi poveri (sistemi di istruzione e di ricerca disorganizzati e con poche risorse, sistemi di amministrazione pubblica inefficienti, processi decisionali politici lenti e disallineati con le necessità dell’economia postindustriale). Un Paese che si trova con un piede nel postindustriale ed il corpo nella logica e nella struttura sociale ed economica della prima industrializzazione.
Ma andiamo con ordine. Come ho detto, non è facile dire se il sistema Italia sia un soggetto competitivo o una terra di conquista. Prima di tirare le conclusioni mettiamo dati e carte in tavola. Nel fare questo applicherò ad un problema macroeconomico uno strumento di analisi tipicamente aziendale: l’analisi dei punti di forza e dei punti di debolezza, gli uni e gli altri visti in controluce rispetto ai Paesi con i quali l’Italia si trova a competere.
Cominciamo dai problemi che frenano il Paese. Ve ne sono almeno otto:
1. gli squilibri della finanza pubblica;
2. l’inefficienza della amministrazione e dei servizi pubblici;
3. la struttura monopolistica e pubblica di alcuni settori chiave;
4. il difficile posizionamento nella divisione internazionale del lavoro;
5. gli squilibri territoriali;
6. lo sviluppo difficile del capitalismo familiare
7. la debolezza del sistema educativo e della ricerca;
8. la caduta di tensione demografica.
Per fortuna, a fronte dei punti deboli vi sono alcuni punti di forza, apparentemente non altrettanto importanti, ma in realtà più decisivi di quanto si pensi:
1. l’elevato tasso di risparmio e di investimento;
2. la qualità del fattore lavoro;
3. il forte tasso di imprenditorialità;
4. una struttura produttiva per molti tratti tipica del postindustriale;
5. una posizione geopolitica potenzialmente vantaggiosa.