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2014/2

La tentazione mi era venuta. Insegnando a Santiago del Cile avevo pensato di visitare l’Isola di Pasqua, scoperta proprio in quella festività nel 1722 e che i locali chiamano Rapa Nui, “la grande isola”. Volevo ammirare i moai, le famose statue in tufo vulcanico, alte sino a dieci metri, alcune rivolte verso il mare e altre verso la terra. Qualcuna è stata rovinata in guerre tribali dalla stessa gente che le aveva erette. Mi stanno ancora aspettando proprio all’ombelico del mondo, come amano definirsi, perché Rapa Nui dista da Santiago del Cile quanto l’Italia è lontana dalla Mecca e i voli non sono giornalieri.

Esiste un campionato di calcio locale a cui partecipano tredici squadre. Calcolando anche i giovanissimi e i bambini, oltre ottocento persone praticano il calcio, una ogni sette abitanti. In Italia c’è un tesserato FIGC ogni quaranta persone. Sognano di diventare campioni perché uno di loro, Pedro Awaka, fece parte di un’importante squadra di calcio cilena.

L’esordio internazionale della loro nazionale di calcio avvenne nel 1996. Vittoriosi per 5 a 3 in trasferta, al ritorno stabilirono il loro record sconfiggendo gli ospiti per 16 a 0. I malcapitati avversari erano le Isole Fernandez, un gruppo di isolotti di cui uno solo è abitato da seicento persone e che recentemente ha cambiato nome. Adesso si chiama Robinson Crusoe perché sembra che vi sia approdato il marinaio che ha ispirato il romanzo. Sospetto che questi due incontri abbiano avuto una dignità inferiore alle partite estive del mio paese tra sposati e scapoli, visto che nella mia squadra scritturavo il compaesano Marino Perani, all’epoca ala destra del Bologna e della Nazionale. Segnava solo lui.

Un grande evento, nel 2009, ha marcato la selezione calcistica dell’Isola di Pasqua quando fu ammessa per la prima volta, e pare anche per l’ultima, alla Coppa del Cile. Ospitarono addirittura il Colo Colo, squadra cilena che ha vinto una trentina di scudetti. Il Rapa Nui perse per 4 a 0 ma tutta la popolazione era allo stadio. La squadra si è presentata con un proprio rituale, la Hoka, ripresa da tradizioni guerriere, sullo stile della Nuova Zelanda.

Da due anni ha luogo un campionato di calcio tra le popolazioni indigene del Cile, amerinde e in parte polinesiane, che abitavano il paese prima della colonizzazione spagnola e che non sono mai state integralmente assorbite. Il Cile riconosce ufficialmente nove popoli aborigeni per un totale di settecentomila persone maggiorenni, pari a quasi il 5% della popolazione. La prima edizione del 2012 fu vinta dall’Isola di Pasqua che rimase imbattuta. Nel 2013 i nostri conobbero per la prima volta la sconfitta, proprio in semifinale, finendo al terzo posto. Hanno vinto gli Huilliche, popolazione autoctona che vive nell’isola di Chiloé, che conta ventimila persone e che si trova a mille chilometri a sud della capitale. In questa terra magica tutte le proporzioni saltano. Il Cile è un territorio strettissimo e lunghissimo. Se si sovrappone sull’Europa e si colloca una estremità su Oporto in Portogallo, la striscia arriva a Mosca.