Finanza & Real Estate

16/06/2022 Andrea Beltratti, Alessia Bezzecchi

Niente di nuovo sul fronte occidentale? La sfida della sostenibilità sostenibile

Nell’ultimo semestre l’economia è mutata profondamente, dalla crescita senza inflazione alla prevista stagflazione. Che cosa rimane dei tanti discorsi sulla sostenibilità ambientale e sull’attenzione per la tassonomia sociale? Si tratta davvero di nuovi valori ampiamente condivisi e da difendere anche in una situazione di riduzione di benessere materiale? E come fare in modo che le difficoltà contingenti non ci facciano deviare da un cammino virtuoso? Molti dati dimostrano come parlare di sostenibilità sostenibile può essere utile, specialmente in Europa.

In sei mesi il quadro macroeconomico è radicalmente cambiato: dalla crescita senza inflazione alla prevista stagflazione. A dicembre del 2021 la BCE prevedeva una crescita economica del 4,2% per il 2022, in riduzione dalla previsione di 4,6% formulata a settembre dello stesso anno. L’inflazione era prevista al 3,2% per il 2022, in forte crescita dall’1,7% previsto a settembre. A giugno 2022, le previsioni di crescita si sono ridotte al 2,7% e l’inflazione potrebbe superare l’8% di maggio. Negli Stati Uniti la crescita del 2022 potrebbe essere al 3%, ma la maggior parte degli economisti prevedono una recessione in arrivo tra 12 mesi, e l’inflazione è già di 8,6%. Un’inflazione cumulata del 10% in Italia ha ridotto di circa 500 miliardi di euro il patrimonio finanziario degli italiani, senza contare la temporanea riduzione del valore degli asset quotati. Dobbiamo farci prendere dallo sconforto? Non abbiamo la palla di cristallo, ma sappiamo qual è l’errore da sempre fatto da investitori, aziende e consumatori: lasciarsi contagiare dall’entusiasmo quando le cose vanno bene, e deprimersi quando ci sono difficoltà, vale a dire agire con aspettative estrapolative invece che razionali. Non solo nell’investimento finanziario, ma anche nelle decisioni aziendali, la strategia vincente è sempre stata quella di mantenere la calma, senza pensare che tutto cambierà in peggio, e allo stesso tempo avere una chiara idea di dove si vuole andare nel lungo periodo.

Il quadro macroeconomico rischia di fare una vittima: la sostenibilità. Per capire meglio perché dobbiamo prima ricordare che cos’è la sostenibilità: secondo lo storico rapporto delle Nazioni Unite del 1987 «Our common future», si tratta di un processo di sviluppo che soddisfa le esigenze attuali della collettività senza compromettere il soddisfacimento delle esigenze delle generazioni future. Perseguire la sostenibilità richiede quindi un lungo orizzonte di programmazione, attività non esattamente connaturata al comportamento umano, che tende invece purtroppo a muoversi rispondendo alle esigenze contingenti. Per perseguire la sostenibilità dobbiamo far crescere in maniera armoniosa e bilanciata la maggior parte degli stock di capitale, quello produttivo come impianti e macchinari, il capitale umano, il capitale ambientale, quello sociale e così via. L’evidenza storica non ci conforta: Partha Dasgupta dell’Università di Cambridge ha scritto nel 2021 un importante report per il governo inglese, «The Economics of Bio-Diversity», in cui ha provato a misurare l’evoluzione della sostenibilità nel mondo dagli anni Novanta, mostrando una riduzione del 60% del capitale naturale, accompagnato da un modesto incremento del capitale umano e un forte aumento di circa il 100% nel capitale produttivo. Analisi come questa forniscono le motivazioni per modificare il nostro modello di sviluppo aldilà dei problemi associati al cambiamento climatico.

Sostenibilità di lungo periodo o beni, servizi e posti di lavoro nel breve periodo? Ma ci sono davvero rischi concreti di dimenticare la sostenibilità? Parlare di sostenibilità è facile quando la crescita economica è vivace. Secondo la teoria della curva di Kuznets ambientale il mantenimento dello stock di capitale ambientale ad esempio è un classico bene di lusso: nelle fasi iniziali dello sviluppo ogni Paese inquina di più perché i beni materiali sono rilevanti, ma con il crescere del reddito pro-capite è possibile dedicare risorse a preservare il capitale ambientale, anche a costo di rinunciare a qualche bene o servizio di consumo. È presumibile che un simile ragionamento valga per gli altri tipi rilevanti di capitale, a partire da quello sociale. La pandemia ci ha fatti tornare indietro, e non abbiamo imparato molto nonostante i tanti dibattiti fatti durante il lockdown. Nella primavera del 2020 notavamo tutti con soddisfazione quanto si fosse ridotto l’inquinamento e le emissioni di CO2, ma notiamo dopo due anni che post-pandemia (o meglio, grazie al nostro adattamento al Covid-19) abbiamo seguito i vecchi modelli: nel mondo le emissioni di CO2 sono cresciute del 6% nel 2021 soprattutto a causa del maggior consumo di carbone, un trend rinforzato dalla guerra tra Russia e Ucraina e dall’astronomico prezzo del gas del 2022. Per ora quindi la sostenibilità è perdente, ma purtroppo non è la prima volta. Nel 2008-2009, l’ultima vera grande recessione mondiale, l’Europa allentò i vincoli ambientali posti ai settori ad alte emissioni di CO2 nell’ambito del mercato dei permessi di emissione, causandone tra l’altro una discesa dell’80% nel prezzo. All’epoca, la giustificazione fu cercata nella necessità di ridurre i costi aziendali in un momento di crisi economica.

Quello che gli ultimi 15 anni ci hanno insegnato quindi è che siamo tutti molto attenti alla crescita economica, e siamo interessati al lungo periodo e alla sostenibilità, ma solo se questo non ha costi materiali in termini di minori risorse prodotte. Proprio per questo tutti coloro che sono genuinamente interessati al capitale ambientale e sociale e sono anche disposti a fare sacrifici per aumentare quantità e qualità non devono far l’errore di pensare che tutti abbiano lo stesso amore per questi valori. In sintesi, per riuscire davvero a perseguire la sostenibilità, non dobbiamo mai dimenticarci che «la sostenibilità deve essere sostenibile»: l’attenzione per il miglioramento degli aspetti sociali e ambientali non deve farci dimenticare di quanto sia difficile fare impresa e assicurare ai prestatori di capitale un rendimento coerente con i rischi e le attese. Non è creando regole inapplicabili o assegnando obiettivi che possono essere raggiunti solo a un altissimo prezzo economico che si migliorano le condizioni di vita delle comunità e dei lavoratori, si riduce l’uso di risorse esauribili e si migliora l’ambiente. Vogliamo però, come sempre, essere ottimisti, pensando che anche il 2022 ci insegnerà qualcosa, evidenziando la necessità di muoverci con realismo verso un obiettivo di lungo periodo del tutto necessario: la nostra qualità della vita. Tutti devono percepire le misure legislative e regolamentari, a partire dalla tassonomia, come qualcosa di bello ma anche utile e perseguibile. Gli Eagles concludevano la loro canzone più bella, Tequila Sunrise, dicendo che «questo vecchio mondo sembra sempre lo stesso, ha solo una diversa cornice». Diciamolo diversamente: per cambiare il mondo, non basta cambiare la cornice.

 

Andrea Beltratti è Professore al Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi, dove insegna Economia del Mercato Mobiliare e Equity Portfolio Management, e Academic Director dell’Executive Master in Finance (EMF) di SDA Bocconi School of Management.

Alessia Bezzecchi è Associate Professor of Practice in Corporate Finance & Real Estate presso SDA Bocconi School of Management, dove è Program Director dell’Executive Master in Finance (EMF) e dell’Executive Program in Finanza Immobiliare e Real Estate (EPFIRE).

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