Articolo 3

30/05/2019 Zenia Simonella

Smart working: vorrei ma non posso?

Ogni anno l’Osservatorio Diversity, Inclusion & Smart working (DIS) di SDA Bocconi svolge una ricerca con lo scopo di analizzare il modo in cui le organizzazioni concettualizzano, mettono in atto e promuovono lo smart working, evidenziando costi e benefici percepiti dai lavoratori e dall’organizzazione stessa. Queste ricerche hanno evidenziato che la diffusione della pratica è ancora limitata, anche se in crescita. Le aziende che l’adottano sono attente – almeno formalmente – ai temi della gestione della diversità, ma tale adozione è spesso condizionata da una serie di vincoli che irrigidiscono e snaturano lo strumento. Gli obiettivi dell’adozione dello smart working sono spesso generici e la valutazione e il monitoraggio quasi del tutto assenti. Ciò mostra che, fatte alcune eccezioni, si tratta di un’adesione retorica, che, in ogni caso, presuppone uno sforzo notevole per una sua implementazione. Il contesto organizzativo non è infatti pronto ad accogliere questo strumento che integra le modalità di lavoro tradizionale. Anche quest’anno l’Osservatorio DIS ha svolto ulteriori approfondimenti sul tema, soffermandosi da una parte sul modo in cui la comunità scientifica ha elaborato il tema; dall’altra sul modo in cui è stato costruito il discorso pubblico nei principali quotidiani italiani.

Dall’analisi della letteratura emerge che gli studi manageriali non se sono ancora occupati in maniera sistematica. L’etichetta smart working è pressoché assente nella pubblicistica accademica e scientifica. Gli argomenti più prossimi allo smart working riguardano i cosiddetti flexible work arrangements o le cosiddette flexible work practices. I primi articoli in questo ambito risalgono alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso e partono dall’esigenza di individuare modalità organizzative che consentano, da una parte, il bilanciamento vita privata-lavoro, dall’altra lo sviluppo di soluzioni che per semplicità potremmo definire post-fordiste. Molti degli articoli sono rassegne della letteratura; alcune hanno un contenuto empirico i cui risultati sono ancora limitati e parziali. Lo smart working, quindi, è qualcosa di cui si parla nelle organizzazioni, nelle società di consulenza, negli incontri per practitioner, ma che non è ancora supportato da studi accademici e scientifici.

L’analisi condotta sulla stampa (Il Sole 24 ore, Il Corriere della Sera, La Repubblica) ha mostrato invece che il processo di istituzionalizzazione del tema a livello mediatico è in atto, soprattutto a partire dal 2017 (anno nel quale viene discussa e approvata la Legge sul Lavoro Agile), malgrado permanga un’incertezza semantica nel modo di designare la pratica.

La stampa si mostra favorevole allo smart working, del quale sottolinea soprattutto il beneficio in termini di bilanciamento tra vita privata-lavoro. Altri temi connessi sono il ruolo della tecnologia, la sostenibilità ambientale e l’aumento degli spazi di coworking. Qui emerge «il lato buono» dello smart working visto come pratica di rottura verso il passato, progressista, innovativa e orientata al futuro. Un altro beneficio sottolineato è l’aumento della produttività generato dall’introduzione dello smart working che, in certi casi, verrebbe usato come strumento di razionalizzazione e di snellimento. Accanto al tema della produttività si affianca la questione del modello di leadership sul quale questa pratica si sostiene: un modello basato sull’orientamento al risultato, sulla fiducia, sull’autonomia e sulla responsabilità del collaboratore.

Se questi benefici vengono presentati come una fonte di emancipazione del lavoratore, d’altra parte emergono alcune questioni critiche intorno al tema: l’erosione del tempo libero come tempo per sé; il potenziale svuotamento dell’esperienza di lavoro; l’individualizzazione e la tecnologizzazione delle relazioni; la disgregazione del collante valoriale e identitario dei membri di un’organizzazione. Tali punti rimangono marginali e poco discussi negli articoli, mostrando quindi l’immagine di una stampa poco critica e riflessiva. 

(Zenia Simonella è Fellow in Leadership, Organization & Human Resources presso SDA Bocconi School of Management.)

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