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Sanremo: come evitare la dittatura della maggioranza
Il 69° festival della canzone italiana di Sanremo è stato vinto da una canzone intitolata Soldi, cantata da Alessandro Mahmoud in arte Mahmood. Questa vittoria ha suscitato molte polemiche. Tra queste la discrepanza tra le preferenze espresse, da una parte, dalle giurie d’onore e della sala stampa e, dall’altra, da quelle del pubblico che aveva deciso di partecipare attraverso il televoto.
Questo caso ci interessa perché entra in gioco il tema del merito, della valutazione e di chi debba assumersi la responsabilità di valutare le persone. La parola merito e l’espressione in base al merito, come già abbiamo scritto, sono fuorvianti perché dietro un’apparenza di «oggettività» nascondono criteri e interessi specifici. Tornando al caso da cui siamo partiti, gli elementi da valutare – il testo, la musica, una loro combinazione, il messaggio, l’interpretazione, l’identità del cantante ecc. – e i criteri per valutarli – bellezza, innovazione, componente artistica, potenzialità commerciali ecc. – possono essere molteplici. Dietro ogni scelta c’è una decisione su ciò che sia «meglio» o «peggio» rispetto a differenti soggetti: il pubblico, i fan, i critici, i politici, ecc. Non si tratta, quindi, di una scelta assoluta, ma relativa rispetto ai criteri che si sono scelti. Questo è vero anche nelle imprese, decidere chi assumere o chi promuovere dipende da come si sono scelti i criteri, da come questi criteri vengono utilizzati e dalle competenze di chi dovrebbe utilizzarli.
Qui entra in gioco una seconda dimensione della questione, ossia l’atto della valutazione in sé. Un altro elemento di polemica, oltre alla discrepanza tra giurie, ha riguardato l’utilizzo in sé e per sé di differenti giurie. Anche nelle imprese, sempre più spesso, la valutazione dei lavoratori è demandato a un sistema che integra e contempera differenti attori/meccanismi: il responsabile diretto, i colleghi, gli eventuali utenti del lavoratore oggetto di valutazione, un algoritmo ecc. Questa soluzione può avere aspetti sia positivi sia negativi. Gli aspetti positivi riguardano il fatto che si aumentano il numero di valutatori, le dimensioni oggetto di valutazione e i criteri da utilizzare per la valutazione. I differenti attori/meccanismi hanno a disposizione dati e informazioni diverse e sono caratterizzati anche da competenze differenti. La tesi a supporto di questi sistemi è la seguente: aumentando i valutatori e/o sostituendo i valutatori umani con algoritmi, si tenderebbe a minimizzare le distorsioni e, quindi, le discriminazioni e a rendere il sistema «oggettivo». In realtà non è così: c’è ormai una vasta letteratura che mette in evidenza come gli algoritmi non facciano altro che perpetuare le distorsioni e le discriminazioni del passato, ed anche allargare la platea dei valutatori umani può non risolvere questo problema.
Le organizzazioni sono qualcosa di più di una sommatoria di singole persone/gruppi. Se un’organizzazione discrimina dipende dal fatto che una maggioranza di persone ragiona per stereotipi/pregiudizi o è indifferente alle discriminazioni perché si trova «nella maggioranza», nel «gruppo dominante», «dalla parte giusta». In genere si tratta di un problema di cultura e clima organizzativo prevalente nell’organizzazione e/o nel contesto socio-culturale in cui opera l’organizzazione. Per esempio, nel caso dell’adozione delle politiche e pratiche di gestione della diversità, gli attori che avviano l’introduzione di queste pratiche sono generalmente pochi e hanno proprio la difficoltà a rendere l’attenzione verso le distorsioni e le discriminazioni patrimonio di più persone. Anche affidarsi troppo a sistemi di valutazione disegnati per essere «meritocratici» può generare l’effetto di renderli, paradossalmente, meno «meritocratici» come una recente ricerca ha messo in evidenza, perché entra in gioco l’assunzione che tanto ci pensa il sistema, non ho deciso io le regole, non è una mia responsabilità. La soluzione a questi problemi è lavorare sulle parole chiave che stanno alla base di questi sistemi allargati ed eterogenei di valutazione, ossia integrazione e contemperamento dei differenti interessi in gioco. A un certo punto, ci seve essere qualcuno che deve assumersi la responsabilità di integrare le valutazioni provenienti da differenti fonti e di contemperare queste valutazioni tra di loro e rispetto a una valutazione d’insieme. Dobbiamo avere, nelle imprese, persone esperte che sappiano definire i criteri, li sappiano applicare in maniera meno distorta possibile ed eventualmente cambiarli/adattarli rispetto alle situazioni cercando anche di intravedere l’innovazione dove altri non sono in grado di vederla. In un certo senso, devono essere in grado di andare al di là di un’ipotetica dittatura della maggioranza e/o dell’algoritmo. Forse in questo sta il pregio dell’esito del festival di Sanremo: il contemperamento delle preferenze di differenti attori ha consentito di far emergere la portata innovativa di una canzone dove la «maggioranza» non era ancora in grado di vederla. Per inciso, la canzone di Mahmood è diventata il brano italiano con l’ingresso più alto di sempre nella Top 50 globale della piattaforma di streaming Spotify, affermandosi alla posizione numero 40 della classifica mondiale. Non solo, il vincitore del Festival di Sanremo è anche primo nella classifica italiana.
Vale per Sanremo, dovrebbe valere anche per le organizzazioni.