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Congedo di paternità: perché è una priorità
La rigida divisione dei ruoli sociali fra padre breadwinner e madre caregiver, che ha dominato la cultura e i modelli familiari dal dopoguerra fino agli anni Settanta, è stata una causa sostanziale delle asimmetrie di genere. Gli studi sottolineano infatti che qualsiasi discontinuità in ambito lavorativo si presume comporti un significativo disinvestimento in competenze e conoscenze che si traduce in un minor valore del lavoratore e, conseguentemente, in minori retribuzioni e opportunità di carriera. La maternità e la gestione dei figli, ancora viste come un momento esclusivamente personale della vita di una donna, un costo economico e un momento di difficoltà organizzativa per l’azienda, hanno nel tempo penalizzato l’identità professionale delle donne limitandone opportunità di ingresso e di sviluppo[1]. Sono d’altro canto in corso delle trasformazioni che paiono mettere in crisi questo status quo.
Molte ricerche sottolineano che è in atto una transizione rilevante, anche se non ancora compiuta e definitiva, del ruolo del padre; una transizione che, nel corso degli ultimi 20 anni, ha portato a superare la distinzione socialmente prescritta tra il ruolo di padre strumentale e quello di madre espressiva[2]. Entrati nella società dei rapporti «liquidi» - per dirla con Bauman -, anche i ruoli paterno-materno appaiono più permeabili, intercambiabili, in qualche caso ribaltati. Il padre normativo lascia il posto a quello affettivo: i papà di oggi non chiedono più di occuparsi in via esclusiva delle questioni finanziarie della famiglia, ma vogliono essere presenti nelle decisioni di tutti i giorni e avere un coinvolgimento attivo con i figli. E così le nuove generazioni di padri assistono al parto, portano i bambini in piscina, cambiano i pannolini, raccontano le storie della buonanotte, leggono libri e consultano blog dedicati alla famiglia, guardano i tutorial su YouTube.
Il nuovo modello di padre non è dispensato da dubbi e incertezze: poiché l’integrazione dei codici affettivi, materno e paterno, è ritenuta una condizione necessaria per una crescita psicologicamente serena, si ritiene che si verrebbe a creare uno squilibrio a vantaggio di una netta prevalenza del codice materno. Con un retrogusto di ironia, si è usato spesso in termini giornalistici il neologismo «mammo», per sottolineare l’assenza di un’interpretazione autorevole e autentica del nuovo ruolo paterno. Tale cambiamento non è stato spinto in Italia da un’azione pubblica strutturata, così come è avvenuto in altri Paesi, anche se il discorso mediatico (pubblicità, fiction, cinema, romanzi) lo ha ampiamente rappresentato non limitandosi più a dipingere i papà come pasticcioni e semplici compagni di gioco, ma come protagonisti della vita domestica, impegnati nell’educazione e nella crescita dei figli.
Un tentativo di avvicinare l’Italia agli standard degli altri Paesi dell’Europa è il congedo di paternità obbligatorio istituito dalla legge 92 del 2012, poi ampliato da due a quattro giorni dalla Legge di bilancio 2017. Ma si tratta di una sperimentazione valida solo fino al termine del 2018. È rivolto ai padri lavoratori dipendenti entro il quinto mese di vita del figlio (nato dal primo gennaio 2018), quindi sono giorni che possono coincidere anche con la maternità. A questi quattro giorni se ne può aggiungere un quinto facoltativo, fruibile però solo se la madre rinuncia a un giorno del suo congedo. Durante il congedo il padre ha diritto al 100 per cento della retribuzione che è a carico dell'Inps. Una misura non esaustiva, sicuramente perfettibile, ma un passaggio importante per sostenere questo cambiamento. Il congedo di paternità se non verrà rifinanziato attraverso la prossima Legge di stabilità, dal primo gennaio 2019, rischia però di sparire. Per prolungare e rendere strutturale questa misura sono in corso alcune azioni popolari, tra cui una petizione online. Il ritratto dei padri italiani è sicuramente in divenire e sono tanti i fattori che possono contribuire a segnare questo cambiamento: leggi, incentivi aziendali, la cultura. Nessuno di questi fattori, da solo, basta a innescare il cambiamento. Ma eliminarne uno non rischia di disincentivare la costruzione di un progetto familiare in cui i talenti sono equamente coltivati e le responsabilità ugualmente suddivise?