Articolo 3
Le diverse facce della flessibilità
Con il termine gig economy (in italiano «economia dei lavoretti») si intende un modello economico che si basa su prestazioni lavorative temporanee, di solito mediate da piattaforme digitali. Il tema sta diventando sempre più importante a livello politico tanto che la Commissione occupazione del Parlamento europeo se n’è già occupata con il fine di garantire maggiori tutele a questi lavoratori. Anche la stampa italiana ha iniziato a discutere del tema soprattutto da quest’anno (Figura 1); mentre la stampa in lingua inglese ne dibatte da più tempo (Figura 2).
Figura 1: articoli in lingua italiana
Figura 2: articoli in lingua inglese
Ma chi sono questi lavoratori? Secondo uno studio della Commissione Europea, i platform workers – cioè persone che guadagnano più del 50 per cento del proprio stipendio e lavorano più di 20 ore a settimana con le piattaforme – sono giovani con meno di 34 anni, di sesso maschile, con un’istruzione medio-alta; una parte significativa di loro ha una responsabilità familiare. La Gran Bretagna è il Paese con la più alta incidenza di questi lavoratori; l’Italia si trova in una posizione intermedia insieme a Germania, Olanda, Spagna e Portogallo.
I rischi cui incorrono questi lavoratori sono numerosi e riguardano l’instabilità legata al reddito, l’assenza di una copertura sociale e legale, il mancato accesso a uno sviluppo di carriera e a programmi di formazione.
Si tratta di una realtà economica non omogenea in termini di piattaforme, organizzazione del lavoro, valutazione e pagamento della prestazione. Questa nuova economia è stata possibile grazie all’uso delle tecnologie che hanno permesso la formazione di una forza lavoro «a consumo» fortemente individualizzata, flessibile, valutata esclusivamente sul raggiungimento del risultato e iper-controllata.
Ecco perché quando si esalta agiograficamente la flessibilità nella forma dello smart working, usando esclusivamente termini quali «prestazione», «obiettivi», «produttività», «performance», sorge il dubbio che si voglia puntare a un’organizzazione snella in cui il lavoratore diventi solo un erogatore di una prestazione, senza identità e senza storia.