Articolo 3
È l'ora dei giocattoli gender neutral
Le radici del Gender Gap, il divario tra i generi in merito all’accesso e alla distribuzione delle risorse e delle opportunità (culturali, sociali, economiche, politiche), sono radicate negli stereotipi di genere di cui la cultura si nutre (Ceci e Williams 2011; Watt e Eccles 2008; Bombelli e Raffaglio 2008). Il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro, la scarsa presenza di donne nella sfera pubblica e nelle posizioni di vertice in ambito manageriale, politico ed economico così come nelle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria , matematica), il pay gap, sono i sintomi più visibili di una radicata e storicizzata cultura in cui i significati attribuiti all’identità di genere funzionano da «principio organizzatore» dell’esperienza, favorendo l’accentuazione delle differenze biologiche tra donne e uomini e lo sviluppo delle disuguaglianze.
Gli stereotipi vengono infatti comunemente percepiti come dimensioni prescrittive – e non meramente descrittive – delle differenze socialmente costruite tra i generi, contribuendo a mantenere atteggiamenti individuali e collettivi pregiudiziali: il permanere di credenze sull’istruzione e professioni più adatte alle donne; convinzioni relative al fatto che le donne sarebbero per natura «vocate» e quindi depositarie – a titolo quasi esclusivo – del lavoro domestico e di cura; che la maternità e il ruolo di care giver limita o peggio è inconciliabile con lo sviluppo professionale. Sono queste convinzioni diffuse in modo pervasivo in quasi tutte le culture contemporanee, e particolarmente resistenti ai cambiamenti storici e sociali, ad alimentare l’asimmetria di potere tra uomini e donne. Dagli studi sullo sviluppo dell’identità di genere emerge che il processo di acquisizione dei ruoli ma anche degli stereotipi di genere socialmente condivisi è estremamente precoce: già tra i due e i tre anni i bambini imparano a riconoscere i ruoli all’interno della famiglia e iniziano a capire le regole della vita sociale. Studi scientifici hanno mostrato che se i livelli di ormone prenatale, compreso il testosterone, incidono sulla percezione della propria identità di genere, le esperienze infantili – il fatto di essere circondati di rosa o di azzurro e di dover indossare le gonne o dover giocare con le bambole, per esempio – condizionano ancora di più (Davis e Risman 2013). L’uguaglianza di genere inizia dunque in famiglia: per questo è importante che ogni genitore si accorga dei messaggi educativi che ha assorbito nell’infanzia e che modellano il suo modo di interpretare la realtà in età adulta; messaggi che spesso inconsapevolmente vengono trasmessi di generazione in generazione acriticamente. Parallelamente, poiché il processo di acquisizione e assimilazione delle informazioni sui ruoli di genere avviene non solo osservando i comportamenti delle figure adulte di riferimento ma anche attraverso il gioco, la lettura, l’interazione con i mass media e i videogiochi, anche le imprese possono giocare un ruolo importante nel cambiare gli stereotipi di genere e le attuali rappresentazioni di mascolinità e femminilità. L’industria dei giocattoli si sta muovendo in questa direzione. Già nel 2015, a seguito della campagna Britannica «Let toys be toys», l’azienda spagnola di giocattoli Toy Planet ha presentato un catalogo gender neutral, eliminando ogni distinzione dei giochi per maschi e femmine. Sfogliando il catalogo è possibile così vedere un mondo nel quale i bambini spingono carrozzine con le bambole e le ragazzine giocano con dispositivi tecnologici. L’insegna britannica John Lewis ha successivamente dichiarato che non utilizzerà più le diciture di genere sulle etichette dei capi di abbigliamento per bambini né una rigida suddivisione dei giochi per bambine e bambini nel suo reparto giocattoli.
Un set della Lego è stato dedicato a cinque donne che hanno svolto un lavoro pionieristico alla NASA: la scienziata dei software delle missioni Apollo, Margaret Hamilton, l’astronauta Sally Ride, la matematica Katherine Johnson, l’astronoma «mamma» di Hubble, Nancy Grace Roman, e l'astronauta Mae Jemison, prima afroamericana nello spazio nel 1992. In Gran Bretagna e in USA è arrivata Luvabella di Spin Master, una bambola in grado di dire papà o mamma in base a chi la tiene in braccio; per incoraggiare anche i bambini a giocarci.
La Mattel ha aggiunto una nuova professione alle diverse carriere (veterinaria, ginnasta, ingegnere robotico ecc.) impersonate dalle Barbie, lanciando la Barbie ingegnere robotico. Il percorso «gender neutral» di Mattel è stato supportato da un’ingente campagna pubblicitaria, youcanbeanything
Tutti esempi di imprese (ma ce ne sono altre anche in altri settori merceologici) che hanno saputo cogliere l’opportunità che nasce da una gestione che guarda a una costruzione dell’identità di genere più complessa e meno stereotipata facendone sia un’occasione di business sia un tema reputazionale sia un tema di responsabilità sociale. Ci auguriamo che le stesse imprese usino la stessa attenzione per gestire la diversità dei propri lavoratori.