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The Global Gender Gap Index: istruzioni per l’uso
È stato pubblicato da qualche giorno The Global Gender Gap Report del World Economic Forum, che, dal 2006, ci offre la possibilità di discutere del gender gap nei vari Paesi. Ma quando scorriamo il rapporto, o leggiamo frettolosamente una sintesi riportata da un giornale, dobbiamo stare attenti. Infatti, se leggiamo superficialmente il rapporto, potremmo essere colti da un sobbalzo: l’Italia risulta all’82esimo posto del Global Gender Gap Index (GGGP), dopo Paesi come il Vietnam, il Ghana, il Bangladesh. Come mai questa posizione?
Per comprendere adeguatamente il rapporto, e quindi farsi un’idea corretta, bisogna considerare il modo in cui è stato costruito questo indicatore.
Premessa. Esso considera quattro aree alle quali si riferiscono alcuni indicatori: economia, istruzione, salute, politica.
Una prima importante osservazione è la seguente: il GGGP cerca di rilevare, in ogni Paese, il divario tra i generi in merito all’accesso alle risorse e alle opportunità in quelle aree, non il livello raggiunto nell’utilizzo delle risorse e alle opportunità.
Inoltre, il GGGP considera il divario esclusivamente su alcune variabili di «output»: per esempio, il tasso di partecipazione al mercato del lavoro. Non vengono invece prese in considerazione le variabili di «input», e quindi per esempio lo sforzo, in termini di politiche, che il Paese compie per raggiungere certi obiettivi di partecipazione e di welfare.
Quindi, il fatto che l’Italia sia all’82esimo posto va letto alla luce degli aspetti sopra richiamati: infatti, possiamo dire che la disponibilità e le risorse nel nostro Paese (in termini economici, formativi ecc.) possono essere elevate in sé, ma il divario tra i generi resta marcato; mentre in altri Paesi come quelli sopra citati, la disponibilità delle risorse (e quindi anche la qualità della vita) è bassa, ma il divario è piccolo, perché l’accesso è limitato per entrambi i generi.
Ecco dunque che questa classifica acquista un altro significato. Se alcuni passi importanti sono stati compiuti, resta ancora parecchio da fare: il rapporto stima che per raggiungere la parità di genere in termini di accesso alle risorse e alle opportunità nei vari campi abbiamo bisogno ancora di 217 anni.
Chi va piano va sano e va lontano.
Ma se accelerassimo un po’, non sarebbe poi così male.