Articolo 3

05/09/2023 Simona Cuomo

L’istruzione per l’equità di genere: quali implicazioni per le imprese?

Per colmare il gender gap, il titolo di studio risulta un fattore determinante perché garantisce l’indipendenza economica (ed emotiva) delle donne. Gli studi più recenti sottolineano come non solo chi ha una laurea guadagni di più, ma come l’istruzione risulti essere un fattore abilitante per la maternità e una preziosa arma contro la violenza. Ma l’accesso all’istruzione è ancora un privilegio per una minoranza di donne.  Per essere davvero inclusive, le imprese dovrebbero quindi allargare lo sguardo e attivare programmi indirizzati non solo allo sviluppo della carriera delle donne che sono (probabilmente) tra le poche già laureate

 

In un Paese come l’Italia in cui il gender gap[1] permane da molti anni in modo consistente, l’istruzione risulta un fattore determinante per l’indipendenza sia economica che emotiva delle donne. Se il titolo di studio ha per tutti i cittadini un ruolo particolarmente importante nel favorire la partecipazione al mercato del lavoro, questo vale soprattutto per loro.

Partendo da questa premessa, è necessario ricordare che sebbene le donne in Italia siano mediamente più istruite degli uomini e abbandonino in percentuale minore il percorso scolastico[2], tale vantaggio nonimpedisce le asimmetrie occupazionali tra i due sessi. Anche se ad aprile 2023 il tasso di occupazione femminile ha raggiunto il 52,3% – con una crescita di 1,4 punti rispetto al 2022 – questa percentuale non è ancora sufficiente a colmare il gap con il tasso di occupazione degli uomini, pari al 61,2 %[3]. Ciononostante, le donne più istruite sono più protette, sotto vari aspetti.  

In base al rapporto Istat 2023[4]  il tasso di occupazione delle laureate di età 25-64 anni è più del doppio – 80,2% contro 36,3% – di quello delle donne con al massimo la licenza media (discorso valido anche per gli uomini, seppur in maniera minore). Non solo: l’investimento in istruzione, che di per sé riduce anche le disparità occupazionali tra nord e sud Italia, è ancor più determinante per l’occupazione delle donne nel Sud: la quota di 25-64enni che lavorano raggiunge il 70,3 % tra le laureate mentre si ferma al 20,7 % tra le donne con basso titolo di studio. Anche in questo caso, l’ampio divario nord-sud (-28,7 %) diminuisce per le laureate (-14,7 %).

L’istruzione è anche un fattore abilitante per la maternità[5]. È noto che la bassa occupazione femminile si accompagna a un basso tasso di natalità: solo 1,24 figli per donna nel 2022. Se è vero che le donne italiane lavorano meno degli uomini e fanno anche pochi figli, per le laureate il tasso di occupazione è superiore al 70%, indipendentemente dal ruolo in famiglia. È quindi più probabile per una donna istruita poter lavorare e al contempo avere dei figli. Si delinea peraltro un quadro molto eterogeneo, con un tasso di occupazione per le donne che varia da un minimo di 21,4% delle madri del sud con basso titolo di studio a un massimo di 92,7% delle donne laureate che vivono da sole al nord. Non meno importante, le donne con livello di istruzione medio-alto hanno una minore probabilità di subire violenza fisica da parte del partner[6].

Se i dati ci rammentano come il titolo di studio sia una premessa necessaria per l’indipendenza delle donne, è altrettanto vero che in Italia il numero di laureati e laureate è basso: nel 2022 le persone laureate sono il 27,4%, contro più del 42% nei paesi dell'Unione europea. Solo una minoranza delle donne, insomma, accede alla laurea.Queste considerazioni potrebbero costituire uno stimolo di riflessione non solo per la politica, ma anche per le imprese che si definiscono “amiche delle donne”. Di fatto le imprese che attivano politiche e pratiche per la parità di genere hanno spesso come focus la carriera delle donne.  Sarebbe dunque importante da un lato verificare il titolo di studio delle donne in pipe line di carriera e chiedersi se – e quanto – sia possibile allargare lo spettro delle candidature ad altri titoli di studio incentivando contemporaneamente il prosieguo degli studi fino alla laurea delle donne assunte, ma non laureate, della propria organizzazione.

Tra l’altro è noto come le donne laureate sono per lo più figlie di genitori laureati[7]. Nello spettro di pratiche a supporto della D&I e della responsabilità sociale dell’impresa, le aziende potrebbero decidere di occuparsi di incentivare al proseguimento degli studi (attraverso borse di studio curriculari o extra curriculari; programmi di formazione e mentoring) le donne non ancora entrate nel mercato del lavoro che sono agli albori del proprio curriculum di studi o che stanno decidendo se e come intraprendere un percorso di laurea o un master post lauream.  

Insomma, leggere il genere con una vista più composita, ad esempio intersecandolo con il titolo di studio, porterebbe sempre di più alla costruzione di percorsi virtuosi non solo per la carriera delle donne già laureate, ma per tutte le donne occupate. Perché ascoltare la voce di tutte le donne, non solo quella della minoranza di laureate indirizzate verso una carriera, è la premessa per non creare dei ghetti sociali quando ci si occupa di inclusione dentro le imprese.



[1] Nel report 2023 del Global Gender Gap, s  del World Economic Forum  l’Italia si colloca al 79esimo posto su 146 Paesi, scivolando di tredici posizioni rispetto al 2022.

https://www.weforum.org/reports/global-gender-gap-report-2023/?gclid=Cj0KCQjwuZGnBhD1ARIsACxbAVjRwmR3_jp1IIWfa9FUaTqs9PeOvfrgx6Ty6tXb2vJ-KLZ7ATy0-lcaArcjEALw_wcB

[2] Secondo il rapporto Istat del 2022 il 65,7 per cento delle donne vs il 60,3 per cento degli uomini di età 25-64 anni  è in possesso di un titolo secondario superiore; il 23, 5 per cento delle donne vs il  17,1 per cento  degli uomini si laurea.  Per quanto riguarda l’abbandono scolastico tra i 18 e i 24 anni è del 13,6 per cento per i ragazzi e del 9,1 per cento per le ragazze. 

[5] idem

[7] Per i figli di genitori con la laurea, la probabilità di laurearsi a loro volta è del 75%. Percentuale che scende al 48% tra chi ha alle spalle una famiglia dove il titolo di studio più alto è il diploma, e al 12% se i genitori hanno la licenza media (https://www.inapp.gov.it/pubblicazioni/rapporto/edizioni-pubblicate/rapporto-inapp-2021)

 

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