Articolo 3

10/05/2023 Stefano Basaglia

Lavoro, vita privata e genitorialità: urge un cambio di paradigma

Al di là delle dichiarazioni formali delle imprese e della progressiva diffusione di modelli più agili, i problemi legati al conflitto tra lavoro e vita privata restano tanti. Così come tanti sono i cambiamenti necessari per affrontare il tema in maniera adeguata. E se alcuni riguardano le aziende (diminuzione del carico di lavoro, aumento della forza lavoro, adozione di soluzioni di flessibilità spazio-temporale), altri riguardano le singole persone e la società. Su tutte, la necessità di non concepire più la donna come madre o responsabile di ogni attività di “cura” degli altri.

 

Kramer contro Kramer, un film del 1979 tratto dall’omonimo romanzo del 1971, ci aiuta a comprendere quale sia la questione fondamentale del rapporto tra lavoro e vita privata. Joanna Kramer decide di lasciare il marito, Ted Kramer, manager di una agenzia pubblicitaria e il figlio Billy, di sette anni. Questo fatto sconvolge la vita di Ted che, per la prima, volta sperimenta direttamente il conflitto tra il lavoro, ossia la richiesta di una presenza costante da parte dell’agenzia presso cui lavora e dei suoi clienti, e la vita privata, in questo caso la cura del figlio Billy, ossia portarlo a scuola, stare con lui nel caso di malattia, preparargli la cena, ecc. Questo conflitto “distrae” Ted dal lavoro. L’agenzia decide di licenziarlo. In questo sta il problema del conflitto tra lavoro, vita privata e genitorialità.

 

A distanza di cinquant’anni, i problemi legati al conflitto tra lavoro e vita privata sono gli stessi. Questa non è una buona notizia. Le imprese, al di là delle dichiarazioni formali, desiderano avere un pieno controllo del tempo dei propri lavoratori, qualunque sia il loro ruolo e/o livello. In base ad un’indagine realizzata dal diversity management lab di SDA Bocconi, la donna/uomo senza bambini hanno una probabilità percepita maggiore di promozione della donna/uomo con bambini (con un effetto più forte per le donne rispetto agli uomini)[1].

 

Da questo punto di vista, la flessibilità spazio-temporale propria del lavoro agile e/o ibrido può essere una soluzione solo parziale, perché se risolve il problema dello spazio, non risolve quella del tempo, anzi può aggravare il potenziale conflitto. Una soluzione più efficace potrebbe essere aumentare il numero di lavoratori, in modo tale da distribuire su più persone il carico di lavoro. La presenza di organici ridotti è fonte non solo del conflitto tra lavoro e vita privata per il singolo lavoratore, ma anche di conflitti tra lavoratori, perché se un lavoratore si assenta per questioni personali e/o famigliari, il suo lavoro ricade sulle spalle degli altri, aumentando il conflitto in capo ai propri colleghi. Da questo punto di vista anche lo strumento delle cosiddette “ferie solidali” così tanto pubblicizzate dai media, rappresenta un modo per “scaricare” l’onere dell’aiuto dall’impresa ai singoli lavoratori. Questi aspetti possono essere tra le cause dei fenomeni di stigmatizzazione delle persone che devono curare i propri famigliari (figli e/o genitori anziani e/ coniugi/compagni) e/o malate. Ci sono, però, professioni o occupazioni in cui il singolo lavoratore acquista un ruolo così critico e specifico, per conoscenza del contesto, che non è facile sostituirlo. Per queste occupazioni/professioni l’aumento del numero di persone disponibili può non essere una soluzione immediata. In questi casi, bisogna affiancare all’aumento di persone una logica di gruppo di lavoro che può rendere meno critico la presenza di una singola persona.

 

Infine, è importante che tutti quanti, nel caso in cui si voglia rendere il mondo del lavoro più eguale ed inclusivo, abbandonino alcuni “totem”. Uno di questi è quello che tende a far coincidere il ruolo di donna con quello di madre e ad associare le attività di cura (dei figli e/o di altre persone) alla donna stessa. A questo proposito, una recente decisione da parte di un tribunale italiano ci è utile per sottolineare questo aspetto. Premettiamo che nel trattare questo caso ci basiamo sulle informazioni rese disponibili sui media dai diretti interessati. Un’avvocata chiede al tribunale di rinviare un’udienza per legittimo impedimento perché doveva stare in ospedale con suo figlio. Il collegio del tribunale ha respinto la richiesta precisando che il bambino avrebbe potuto essere accompagnato in ospedale dal padre. Questa decisione è stata fortemente criticata dall’avvocata, dall’ordine degli avvocati e da tutti i media[2]. In realtà, il collegio del tribunale, con la sua decisione ha iniziato a picconare il totem della maternità e ha portato al centro del discorso il concetto di genitorialità. Nel caso delle famiglie eterosessuali, l’attività di cura non deve essere necessariamente di competenza della madre. Se non si esce da questa associazione automatica sarà molto difficile raggiungere una parità tra uomini e donne. In alcuni casi, le tutele e le protezioni destinate solo ad una categoria rafforzano l’esclusione. Al lavoro, bisogna iniziare a pensare che, uomini e donne, hanno le stesse necessità di bilanciamento tra lavoro e vita privata e nelle famiglie bisogna suddividersi tutte le attività che siano di lavoro, cura, svago, ecc.

 

Tanti sono i cambiamenti necessari per affrontare il tema del conflitto tra lavoro e vita privata. Alcuni cambiamenti riguardano le imprese (diminuzione del carico di lavoro, aumento della forza lavoro, adozione di soluzioni di flessibilità spazio-temporale, ecc.), altri riguardano la società e le singole persone. La strada della parità è ancora lunga.

 

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