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Settimana corta e lavoro agile: ascoltiamo i lavoratori
Nel dibattito attuale sulla settimana corta non vengono affrontati, se non in maniera residuale, alcuni aspetti cruciali per una sua efficace implementazione. Il rischio principale è quello di una mancata integrazione con il lavoro agile, con il conseguente ritorno a un modello tradizionale in cui lo spazio ed il tempo - e non il risultato - sono le unità di misura di riferimento. Per scegliere quale modello adottare (settimana corta nelle sue differenti varianti, lavoro agile o un mix dei due) sarà necessario ascoltare i lavoratori caso per caso, in modo da costruire una progettualità che risponda ai loro effettivi bisogni in una specifica azienda.
Si parla tanto di settimana corta nelle sue diverse forme applicative attuate in via sperimentale in alcune imprese italiane[1]. In questo dibattito non vengono però affrontati, se non in maniera residuale, alcuni aspetti cruciali. Perché un’impresa vuole adottare la settimana corta? Come si integra questa opzione rispetto a quanto adottato in materia di lavoro agile?
Per quanto riguarda il tema del senso, chi attualmente sta adottando la settimana corta sembra insistere sul tema della produttività e di una migliore conciliazione vita-lavoro. In tema di produttività individuale, dal punto di vista teorico e del buon senso applicativo, è coerente che chi adotta un modello “100-80-100” (100% di stipendio, 80% di ore lavorate, 100% di produttività) si aspetti un aumento della produttività per ora lavorata. Questo, tuttavia, non sarebbe valido se il modello adottato fosse quello di comprimere l’orario di lavoro in 4 giorni, lavorando fino a 9 ore al dì: questa concentrazione potrebbe infatti generare un carico eccessivo che comporterebbe una perdita di concentrazione e nel lungo periodo una situazione di stress[2]. E in circostanze di questo tipo, come indicano numerosi studi sullo stress da lavoro correlato[3], la produttività potrebbe all’opposto decrescere.
Dal punto di vista della conciliazione tra vita e lavoro, la settimana corta non sembra lasciare spazi di autonomia e scelta al lavoratore su come e quando organizzare il proprio tempo privato e di lavoro che verrebbe eteronormato dall’organizzazione, con le attività private che rischierebbero di concentrarsi nel giorno libero aggiunto al fine settimana. Che dire però della gestione quotidiana delle faccende domestiche? Se è possibile rimandare appuntamenti medici e altre attività concentrandole nel giorno libero, le attività di cura, vuoi dei figli che delle persone anziane, mal si sposano con questa proposta.
Una terza motivazione, poco presente nel dibattito, potrebbe riguardare il vecchio adagio: “Lavorare meno per lavorare tutti”. Alcuni studi[4] ci dicono però che le misure prese in tal senso negli anni Novanta non hanno costituito un acceleratore dell’occupazione.
Per quanto riguarda l’integrazione tra settimana corta e lavoro agile, dal punto di vista teorico i due istituti potrebbero felicemente convivere: non solo si lavora un giorno in meno, ma nei giorni di lavoro lo si può fare anche in “smart”. Su questo punto, su cui non ci sono riscontri nel dibattito in corso, viene da porsi un altro quesito: se ho introdotto un modello di lavoro agile basato sulla capacità di auto-organizzarsi nel rispetto delle esigenze del proprio team, senza vincoli di giorni e con alcune semplici regole per gestire i tempi condivisi (ad esempio: convocazione delle riunioni non prima delle x e non dopo le y; pianificazione dei rientri in sede almeno con x giorni di anticipo, etc.), che vantaggi ulteriori potrebbe generare la settimana corta? L’unico si otterrebbe nel caso in cui l’azienda adottasse il sopracitato modello “100-80-100”, dando la possibilità di lavorare agilmente in quell’80% di tempo.
Infine, se non integrata al lavoro agile, la settimana corta, potrebbe rappresentare culturalmente un passo indietro dal punto di vista gestionale. Se la filosofia che accompagna il lavoro agile [5] richiede un cambio del modello di leadership (dal controllo alla delega/condivisione) e una gestione delle attività basata sugli obiettivi e non sulla presenza (con conseguente crescente autonomia e responsabilizzazione dei lavoratori), la settimana corta tout court, cioè non integrata con la possibilità di lavoro in smart, sembra riportare a un modello tradizionale, in cui lo spazio ed il tempo - e non il risultato - tornano ad essere le unità di misura di riferimento.
Su queste questioni sarebbe importante ascoltare i lavoratori caso per caso, in modo da costruire un modello di flessibilità del lavoro che risponda ai loro effettivi bisogni in quella specifica azienda. Il modello di flessibilità dell’organizzazione del lavoro che un’impresa decide di adottare deve rispondere sia ad un principio di equità interna (quindi deve essere utilizzabile per la maggioranza dei lavoratori) sia alle concrete esigenze di conciliazione delle persone. Qualsiasi soluzione che non parta da questi presupposti rischia di essere caduca, nonostante l’interesse pubblico che suscita.
[1] https://nuvola.corriere.it/2023/03/14/settimana-corta-dove-si-lavora-4-giorni-pagati-come-5-ma-a-volte-ce-il-trucco/
[2] https://emplus.egeaonline.it/it/31/articolo-3/1416/settimana-corta-lavorare-meno-e-in-contesti
[3] https://www.altalex.com/documents/news/2015/06/15/i-danni-da-stress-lavoro
[4] Cyprien Batut, Andrea Garnero, Alessandro Tondin; (2022), “The employment effects of working time reductions: Sector-level evidence from European reforms”, Industrial Relations, https://doi.org/10.1111/irel.12323
[5] https://emplus.egeaonline.it/it/61/archivio-rivista/rivista/3431492/articolo/3431543?hl=lavoro%20agile
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