Articolo 3

08/03/2023 Simona Cuomo

Donne e potere: cosa ci insegnano le recenti «dimissioni illustri»

Recentemente ha fatto notizia la decisione delle Prime ministre di Scozia e Nuova Zelanda e dell’Amministratrice delegata di YouTube di rassegnare le proprie dimissioni senza che ci fossero, almeno nelle dichiarazioni pubbliche, ragioni di natura politica o economica. Le loro storie ci aiutano a rileggere secondo una nuova prospettiva la grammatica del potere che ha prevalentemente modellato la leadership fino ai tempi più recenti, rammentandoci che essa non si limita al ruolo ma si estende, soprattutto, alla persona che lo interpreta.

In questi primi mesi del 2023 la Prima ministra della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, la Prima ministra scozzese, Nicola Sturgeon, e l’Amministratrice delegata di YouTube, Susan Wojcicki, hanno pubblicamente annunciato le loro dimissioni in anticipo rispetto alla fine del loro mandato nel caso delle premier e senza richiesta esplicita da parte del CDA per quanto riguarda l’AD. Pur considerando le rispettive specificità, queste dimissioni «illustri» sembrano appartenere allo stesso copione: il desiderio di riacquistare la propria vita e il proprio tempo che difficilmente si concilia con un lavoro che richiede un impegno e una dedizione totali; un lavoro che dunque non solo lascia poco spazio agli affetti e alle passioni personali, ma crea stress e consuma le energie.

La Prima ministra neozelandese ha rassegnato le dimissioni a causa della stanchezza che non le permetteva di «rendere giustizia» al proprio incarico[1]. «Sono umana. Noi diamo tutto quello che possiamo per tutto il tempo che possiamo e poi arriva il momento. E per me quel momento è arrivato» ha spiegato. La premier scozzese Nicola Sturgeon ha scelto di dire addio al suo incarico spiegando: «Il tempo di andarmene è giunto. […] Nicola Sturgeon è stata un politico per tutta la vita. Ora voglio dedicare un po’ di tempo a Nicola Sturgeon l’essere umano. Vi sembra egoistico? Spero di no. La mia famiglia è la mia roccia»[2]. La CEO di YouTube Susan Wojcicki, una delle donne più apprezzate della Silicon Valley, per spiegare la sua decisione ha dichiarato: «Dopo quasi 25 anni qui, ho deciso di fare un passo indietro dal mio ruolo al vertice di YouTube e iniziare un nuovo capitolo incentrato su famiglia, salute e progetti personali che mi appassionano»[3].

Questi annunci sono quindi stati sorprendenti non solo per l'anticipo della fine dei mandati, ma soprattutto perché raccontati come una decisione personale, slegata da crisi politico-istituzionali o di business. Queste leader hanno parlato di sé come «donne» al di là del ruolo, ricordandoci che il ruolo è uno strumento da utilizzare al servizio di una comunità di cittadini o lavoratori e chi lo interpreta è una persona. E che a un certo punto la persona può avvertire di aver esaurito le proprie energie emotive, intellettive e fisiche per un ruolo che richiede, se interpretato con passione e responsabilità, una dedizione totale.

È proprio questa interpretazione “umana” del ruolo che permette di assumerlo con la responsabilità di sapere quando si è la persona giusta per fare da guida e quando non lo si è più. Arriva quindi un momento per i leader di lasciare il proprio ruolo, riconoscendo il proprio limite. Molte sono state le riflessioni rispetto a queste decisioni, perché di solito le carriere politiche e manageriali di alto livello non hanno questo epilogo. Non vengono in mente esempi analoghi di leader che abbiano dichiarato pubblicamente di non essere più la persona adatta. E che questo epilogo sia stato scritto da tre donne appare estraneo a molti che lo hanno giudicato un atto di debolezza o, peggio, di incompetenza da parte delle donne, ritenute inadatte a gestire il potere. Ma non capita forse a tantissime persone, compresa a chi scrive, che fanno lavori molto meno impegnativi, con responsabilità inferiori, che prendono decisioni che non comportano le conseguenze delle decisioni che prende un leader, di sentirsi a un certo punto stanchi, senza energie, di pensare che magari quel lavoro non fa più per loro?

Provando a riflettere su di sé e sulla propria storia professionale, non dovrebbe quindi sorprendere il fatto che una persona che ha svolto un incarico con un livello di responsabilità più grande dica di aver esaurito la spinta e le energie. Forse dobbiamo ribaltare il punto di vista su cosa sia la normalità rispetto all’interpretazione di un ruolo di leadership e, più che leggere queste dimissioni come un atto di incompetenza, pensare che in certi casi altri leader senza energie abbiano preferito restare al potere sfruttando anche evidentemente delle rendite di posizione, talvolta sapendo talaltra nemmeno accorgendosi del fatto che non erano più in grado di svolgere l’incarico.

Non è secondario, infine, che tutto questo sia successo a delle donne. Forse ha a che vedere anche con il rapporto tra le donne e il potere e più ancora tra le donne di potere e i modelli a cui sono chiamate a conformarsi. Modelli che sono in evidente conflitto con la preoccupazione per la cura del sé e del complesso delle relazioni a cui si intende dare valore. È difficile non intravedere in queste storie l'effetto di esclusione che i sistemi di potere esercitano verso le donne, o meglio la componente femminile nella cittadinanza del potere.

Fino a oggi la grammatica del potere è stata modellata al maschile. E così molte donne ricoprono alte cariche facendosi spesso vanto della propria capacità di competere e resistere. Ma queste storie di onestà e autenticità sembrano scardinare questa grammatica. E questi eventi potevano forse accadere solo in questo tempo in cui l’attenzione alla dimensione del benessere e della qualità di vita ha acquisito per tutti un nuovo peso. Può essere allora prezioso il messaggio di queste storie; se si comprende come le storie individuali si nutrono di processi collettivi rendendoli palesi, se diventano uno stimolo per una rinnovata riflessione sul significato che è possibile attribuire al potere e al modello di ruolo che attraverso il potere si vuole rappresentare.

Foto iStock - Martin Barraud