Articolo 3

07/02/2023 Stefano Basaglia

Convivere con le diversità tra conflitti ed equilibri

Nel sentire comune il diversity management è stereotipicamente associato a un ideale di azienda «urbana», in cui le diversità sono molteplici ma rappresentate in maniera tendenzialmente monolitica da persone diverse. È bene invece ricordare che ogni persona incarna a un tempo più diversità, e che la loro gestione non deve limitarsi alla mera compilazione di una checklist.

Il discorso pubblico e mediatico relativo alle diversità e alla loro gestione tende a privilegiare un contesto urbano popolato da grandi imprese che operano in settori «alla moda» come le industrie della tecnologia e della creatività che hanno sedi di vetro e cemento e sono votate al lavoro «smart». Un film ci consente di andare al di là di questa rappresentazione da dépliant. Si tratta di La terra di Dio (God's Own Country), opera prima del regista inglese Francis Lee uscito nel 2017 e recentemente messo in cartellone dalla piattaforma di film d’autore Mubi. Il film non parla direttamente di gestione delle diversità, ma porta all’attenzione alcuni temi che sono di interesse anche per questa rubrica. In particolare, il film mostra come vengono vissute le diversità in un contesto rurale, lontano, quindi, dalle solite metropoli affluenti, dal dibattito sui talenti e l’accesso ai ruoli apicali, dalla discussione sulle cosiddette discipline STEM ecc.

Il film è ambientato in una fattoria inglese. Torniamo, quindi, ai «fondamenti», a un lavoro fisico, materiale, che segue i ritmi della natura e può essere «smart» solo se la natura lo consente. Il film dipinge come le diversità sono agite e si incontrano-scontrano (non si parla di quote, di rappresentanza, di politiche, di pratiche ecc.). Nella fattoria di famiglia vivono e lavorano Johnny Saxby (il protagonista), Martin Saxby (padre di Johnny) e Deirdre Saxby (la nonna paterna): tre generazioni a confronto. Il padre di Johnny si ammala, diventa invalido e la gestione della fattoria passa tutta nelle mani del figlio. Il rapporto tra Johnny e il padre è conflittuale. Si tratta di un classico conflitto tra generazioni differenti: modi diversi di vedere il lavoro e la vita. Johnny non riesce da solo a gestire la fattoria e per questo motivo decidono di assumere una nuova persona, Gheorghe, originario della Romania. All’inizio anche il rapporto tra Johnny e Gheorghe è conflittuale, Johnny si «diverte» a chiamare Gheorghe «gypsy»; ben presto, però, il conflitto si trasforma in attrazione fisica e alla fine i due si innamorano.

Questo film ha una struttura «semplice», è un film crudo e delicato al tempo stesso, ma ci parla dell’intersezione tra identità diverse: le generazioni, i ruoli famigliari, le condizioni di salute, la professione, l’orientamento sessuale e l’origine etnica. Il film mostra non solo come le diverse identità convivano in una stessa persona, ma anche come ciascuna di queste possa essere fonte di conflitti o incomprensioni a diversi livelli. Come dicevamo c’è la relazione tra tre generazioni diverse con ruoli famigliari differenti: la nonna paterna, una delle poche figure femminili del film, che fa da ponte tra il padre e il figlio; c’è il padre che invecchia, si ammala, diventa invalido e deve cedere la gestione della propria fattoria al figlio; c’è il figlio che deve capire se gli piace lavorare nella fattoria. C’è una rappresentazione dell’essere allevatore in un contesto che tende a far prevalere la dimensione «urbana». In un dialogo tra Johnny e una sua ex compagna di scuola questa rappresentazione è evidente: lui è colui che è rimasto in campagna, lei è quella che è andata all’università e in città. C’è la rappresentazione dell’omosessualità, della sua accettazione e manifestazione. L’orientamento sessuale va poi a sovrapporsi all’origine etnica: Johnny è inglese, autoctono, mentre Gheorghe è straniero, immigrato dalla Romania.

Per chi si occupa di diversità nelle organizzazioni, questo è un film con un messaggio importante: numerose diversità si incarnano in ciascuna persona. È importante aver sempre presenti tali complessità e la necessità di farle convivere. Stare attenti a non rendere la gestione delle diversità la mera compilazione di una checklist di cose da fare. Nonostante i conflitti e le resistenze iniziali, nel film queste diverse componenti trovano un loro equilibrio finale. Si spera che tale happy ending valga anche per le imprese.

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