Articolo 3

05/12/2022 Simona Cuomo

Quando una donna รจ al potere

Il dibattito seguito all’elezione di Giorgia Meloni a premier – prima donna della storia repubblicana a ricoprire questa carica – ha mostrato come l’accesso delle donne al potere e agli spazi pubblici sia ancora contrassegnato da commenti negativi che non riguardano l’operato della persona ma la sua identità. Si tratta di una dinamica diffusa anche in altri Paesi: alcune ricerche hanno infatti sottolineato come le candidate donne in politica vengano coinvolte più degli uomini in discussioni che riguardano il loro carattere e la loro personalità più che i loro programmi politici, e attaccate più di frequente rispetto ai candidati uomini, soprattutto dai social.

 

Giorgia Meloni è la prima donna premier della Repubblica Italiana. Il discorso che si è sviluppato attraverso i media tradizionali e sui social, a partire dalla campagna elettorale fino a queste prime settimane del suo incarico, mostra come l’accesso delle donne al potere e agli spazi pubblici sia ancora contrassegnato da commenti negativi che non riguardano l’operato della persona ma la sua identità.

Anziché augurare alla prima donna italiana eletta capo del governo buon lavoro e intravedere in questa elezione un segnale di progresso collettivo, hanno prevalso i giudizi su Giorgia Meloni come donna. «Non è una donna»[1] è stato detto durante la campagna elettorale perché si è mostrata lontana dal bagaglio del femminismo non condividendo, per esempio, le quote rosa nei CDA e in Parlamento; «Non rappresenta le donne»[2], perché nella prima dichiarazione rilasciata ha scelto di far precedere il titolo formale di «Presidente del Consiglio» dall’articolo maschile «il», anziché dal femminile «la»; Non viene da una famiglia rispettabile[3] perché suo padre è stato condannato a nove anni di reclusione per narcotraffico e perché l’ha abbandonata quando era ancora in fasce facendola crescere sola con la madre; Non è una buona madre e non è un buon Presidente[4], perché al G7 di Bali ha portato la figlia Ginevra con sé («avrebbe potuto lasciare la figlia al padre»; «come fa ad occuparsi della figlia se è al G7»; «come fa ad occuparsi del G7 se si deve occupare della figlia»).

Si è trattato di un dibattito pubblico che ha avuto lo scopo di delegittimare una donna tout court che nella sua vita personale si misura, come molte donne, con la ricerca di un equilibrio sostenibile fra i ruoli e con padri assenti. Per il resto è la sua storia politica che spiega i suoi comportamenti pubblici, non il suo genere. Analogamente alle scelte di Meloni, una ricerca[5] sulle quote rosa nei board società quotate e pubbliche in Italia, evidenzia come molte consigliere elette grazie alla legge Golfo Mosca, fossero contrarie alle quote rosa e fossero distanti dalle questioni legate alla parità tra uomini e donne e alla discriminazione di genere ancora operante. Non è lecito pensare che tutte le donne siano portatrici dello stesso pensiero femminista e/o che interpretino la causa delle donne e la loro conseguente emancipazione dal dominio del patriarcato da una stessa prospettiva. Quindi non è il genere di chi comanda che conta, ma è il modello di interpretazione del potere che guida i comportamenti, indipendentemente dal genere. Questo sguardo critico, spesso denigratorio, dell’opinione pubblica non è capitato solo a Giorgia Meloni ma è una costante che riguarda le donne che accedono al potere e che si espongono a livello pubblico: alcune ricerche[6] sottolineano come le candidate donne in politica vengano coinvolte più degli uomini in discussioni che riguardano il loro carattere e la loro personalità più che i loro programmi politici, e attaccate più di frequente rispetto ai candidati uomini dall’aggressione mediatica, soprattutto dai social. Entrare in campagna elettorale per una donna e fare carriera in politica ha un impatto negativo sulla reputazione della persona e, in alcuni casi, sulla propria sicurezza fisica. Questo è un aspetto critico che evidenzia la permanenza di differenze legate al genere e che sottolinea l’esistenza di una cultura patriarcale che ostacola la parità e che depotenzia e delegittima tutte le donne, indipendentemente dal loro credo politico. Potremmo allargare lo sguardo e aspettarci che se ci sono donne al potere che non interpretano il pensiero femminista, ci siano uomini che potrebbero farsi portavoce dei temi di equità e inclusione che riguardano, nella società attuale, la parità, il rispetto e la non discriminazione non solo degli uomini e delle donne. A ogni modo, forse molte donne avrebbero desiderato come prima donna Premier una donna portavoce del pensiero femminista; come donne però non possiamo non vedere in questo passaggio storico una conquista a vantaggio di tutte, indipendentemente dal credo politico di Giorgia Meloni, rispetto al quale ciascuno è libero di prendere le distanze e dissentire.

 



[5] «“Diversità e inclusione”» non sono (ancora) un affare da CdA», E&MPlus, 15 luglio 2021.

[6] «Female 2020 Democratic Presidential Candidates Face a 'Gender Penalty' Online, Study Finds», Time, 5 novembre 2019; L. Di Meco, «She persisted. Women, politics and power in the new media world», The Wilson Center, 2019.

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