Articolo 3

11/04/2022 Simona Cuomo

La leadership delle donne รจ solo inclusiva?

Quando parliamo di donne leader, la rappresentazione collettiva fa riferimento a uno stile di gestione collaborativo, empatico, sensibile, gentile, predisposto all’ascolto dei propri collaboratori; donne quindi in grado di fare scelte giuste ed eque. Cosa dire però di quelle donne che hanno usato il potere in modo coercitivo e senza assumersi la responsabilità della comunità che hanno servito? Accedere al potere ed essere un leader nella società attuale implica dunque un percorso di consapevolezza che permetta di interiorizzare un’identità di leadership autentica, responsabile e rispettosa di quei valori, stili e modelli di comportamento ancora poco rappresentati nella cultura attuale e attribuiti al femminile. E questo vale sia per le donne che per gli uomini.

 

Quando parliamo di colmare o annullare il gender gap, una delle azioni di sistema (da parte del legislatore, delle istituzioni, delle imprese e delle associazioni) più cavalcate riguarda la promozione delle donne in ambito professionale, di modo da averne di più in posizione di potere. Le donne nei ruoli apicali di fatto sono ancora una minoranza[1] ed è stata necessaria una legge[2] per promuoverne la presenza nei board delle aziende quotate e pubbliche.

Il sottotesto di questa convergenza di intenti ci racconta che lo stile di leadership delle donne e i valori di cui sono portatrici potrebbero modificare il modo di fare business, di gestire la politica, di prendere le decisioni. Le donne sarebbero così agenti di un cambiamento e potrebbero guidare le imprese e gli Stati verso una prospettiva più etica e inclusiva. Che dire però di Elizabeth Holmes, famosa imprenditrice statunitense e amministratrice delegata, fondatrice di una società che ha promesso di rivoluzionare il modo di fare analisi ematiche usando volumi sorprendentemente piccoli di sangue, condannata per frode e associazione a delinquere? Che cosa possiamo concludere quando pensiamo a Anna Sorokin che per quattro anni ha finto di essere una ricca ereditiera sotto il nome di Anna Delvey e nel 2017 è stata arrestata per aver frodato banche, hotel e conoscenti negli Stati Uniti per un totale dimostrato di 275.000 dollari o più? Molti sono gli esempi di leader donne negative[3], nello stile e nella gestione delle persone. Tutti ricordiamo il Diavolo veste Prada che è diventato un simbolo della peggiore espressione della leadership femminile. Una donna aggressiva ed egocentrica, dura e per nulla empatica. Una donna che tutti definiscono «un uomo».

Queste e altre storie di donne al potere, che hanno espresso più o meno platealmente stili di relazioni e modelli comportamentali distanti dalle aspettative che le società rivolge a una donna, ci pongono di fronte a una riflessione più ampia. È vero che uomini e donne esercitano stili di leadership diversi? È vero che gli uomini sono più male oriented e quindi più incisivi, direttivi, più orientati alla decisione, all’obiettivo, alla performance e le donne più female oriented e quindi più collaborative, empatiche, sensibili, gentili, predisposte all’ascolto dei propri collaboratori? Se lo stile di leadership male oriented ha sacrificato le persone per il profitto, lo stile delle donne porterà al centro le persone e un modello più sostenibile di fare business? Parlare di stile di leadership femminile e maschile non significa però che tutti gli uomini siano in un certo modo e le donne in un altro, assecondando così una prospettiva statica e rigida. Gli esempi che abbiamo raccontato di fatto narrano il contrario. È quindi importante adottare un’interpretazione più sottile che porti a riconoscere il valore delle differenze e ad accorgersi che, se è vero che molto probabilmente ma non necessariamente le donne sono più vicine allo stile femminile e gli uomini a quello maschile, questa differenza costituisce un’opportunità per il valore che può creare per la collettività nel suo complesso. In altre parole, il femminile e il maschile potrebbero essere espressi da un leader, indipendentemente dal genere, a seconda della sua personalità, delle sue attitudini, del contesto, degli obiettivi, delle persone a cui si rivolge. Quello che sappiamo è che «la dominanza del maschile»[4] ha impedito al femminile di essere apprezzato e integrato nella cultura dominante. Ed è per questo che, quando le donne superano il soffitto di vetro, finiscono a volte per assorbire i modelli di comportamento più tipici dell’attuale cultura: vengono cooptate nei nuovi ruoli e si uniformano alla classe dirigente preesistente, per essere apprezzate e considerate all’altezza e parte del gruppo. Per esempio, secondo la «sindrome dell’ape regina», molte donne di potere si dimenticano della fatica fatta, della discriminazione subita e si aspettano dalle altre donne facciano lo stesso percorso secondo la prospettiva «se vuoi, puoi… come ho fatto io». Donne che non riescono a rompere gli schemi organizzativi, a cambiare il linguaggio, i comportamenti, che non riescono a innestare un’identità e un’energia proprie. La pressione al conformismo prevale sulla possibilità di esprimere nuovi valori e stili, per oggi esclusi dalla cultura prevalente. Il tema, quindi, non è il genere, ma riguarda la persona; in particolare riguarda il percorso che una persona fa, prima di accedere al potere. Accedere al potere ed essere un leader nella società attuale implica iniziare un percorso di consapevolezza che permetta di interiorizzare un’identità di leadership autentica, responsabile e rispettosa anche di quei valori, stili e modelli di comportamento ancora poco rappresentati nella cultura attuale e attribuiti in base a stereotipi al femminile. E questo vale sia per le donne che per gli uomini.

 



[1] Le donne in posizioni manageriali sono il 28% dei lavoratori, Eurostat, 2018.

[2] Con l’introduzione della legge 120/2011 detta «Golfo-Mosca», le società quotate e pubbliche sono state obbligate a introdurre quote di genere a scaglioni. Grazie a questa legge, le donne sono passate dal 5,9% (2008) al 38% (2021), https://www.consob.it/documents/46180/46181/rcg2020.pdf/023c1d9b-ac8b-49a8-b650-3a4ca2aca53a.

[4] P. Bourdieu, II dominio maschile, Milano, Feltrinelli, 1998.

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