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Carcere e inclusione lavorativa: l’esperienza della Cisco Networking Academy
La potenzialità rieducativa e inclusiva del lavoro è confermata da molti studi che hanno evidenziato il legame tra lavoro in carcere e riduzione della recidiva. Ma che cosa impedisce un corretto percorso di rieducazione prima e di inclusione nel modo del lavoro poi?
Lo abbiamo chiesto a Francesco Benvenuto e Lorenzo Lenzo, da anni impegnati nella Cisco Networking Academy, un programma di formazione per detenuti che permette di ottenere certificazioni informatiche per operare sui sistemi ICT Cisco. Attivo dal 2002, solo in Italia il programma di formazione coinvolge oltre 60.000 persone all’anno in diverse carceri.
Quando si parla di inclusione nel mondo del lavoro, difficilmente ci si riferisce alle persone ex detenute, che spesso, dopo essere usciti dal carcere e aver scontato la loro pena, hanno difficoltà a reintegrarsi nella società.
Secondo alcuni dati del Ministero della Giustizia, il 69 per cento dei detenuti rilasciati dalle prigioni italiane poi recidivano e tornano in carcere[1]. Questa situazione contraddice il quadro dei diritti previsto dal nostro sistema giudiziario; ricordiamo infatti che la nostra costituzione (art 27, comma 3) dichiara che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Inoltre, la legge 354 articolo 21 del 1975 abilita i detenuti a uscire dal carcere per svolgere un’attività lavorativa oppure per frequentare un corso di formazione professionale. Tale legge è stata successivamente integrata (legge 10 ottobre 1986, n. 663, legge Gozzini) per abilitare il lavoro anche intra moenia[2].
La potenzialità rieducativa e inclusiva del lavoro è confermata da diversi studi che hanno evidenziato il legame tra lavoro in carcere e riduzione della recidiva[3]. Che cosa impedisce un corretto percorso di rieducazione prima e di inclusione nel modo del lavoro poi?
A questo scopo abbiamo intervistato Francesco Benvenuto, direttore delle relazioni istituzionali di Cisco Italia, che da volontario segue il progetto di rieducazione formativa nelle carceri, e Lorenzo Lenzo, responsabile della Universo Cooperativa Sociale che ha come mission quella di stabilire un ponte fra l’acquisizione di competenze all’interno del carcere e la loro valorizzazione all’esterno. La Cisco Networking Academy è un programma di formazione che permette a studenti di tutto il mondo di ottenere certificazioni informatiche per operare sui sistemi ICT Cisco (solo in Italia si parla di oltre 340 Academy che formano oltre 60.000 persone all’anno). Lo stesso programma è stato attivato a partire dal 2002 in diverse carceri per lo più del Nord-Italia, ma non solo (Milano, Torino, Monza, ma anche Regina Coeli a Roma e Secondigliano a Napoli) per più di 200 detenuti con lunghe pene, alcuni di loro minorenni, reclusi presso l’Istituto di pena Beccaria di Milano.
«Laddove c’è un’amministrazione del carcere aperta e sensibile al tema della rieducazione», sostiene Benvenuto, viene creato con il patrocinio di Cisco un vero e proprio laboratorio informatico dentro le mura del carcere dove i detenuti svolgono la loro formazione. «Il programma è sfidante e impegnativo non solo dal punto di vista delle competenze e dello studio, ma perché i detenuti devono rispettare le regole del sito, pena la loro uscita dal programma», sostiene Lorenzo Lento. Queste regole riguardano la necessità di confrontarsi e sostenersi a vicenda, indipendentemente dal tipo di reato commesso. Viene chiesto quindi un impegno emotivo e morale per superare i vincoli della cultura del carcere che storicamente si fonda su una gerarchia dei reati. Tale gerarchizzazione culturale delle pene crea fra i detenuti differenti livelli di stigma; ci sono cioè reati che i detenuti considerano per così dire accettabili (per esempio la rapina) e altri che impediscono al detenuto la sua inclusione con gli altri (per esempio lo stupro).
I risultati della Cisco Academy non riguardano solo la possibilità di ottenere una certificazione abilitante ma anche la garanzia di iniziare un percorso riabilitativo della persona a tutto tondo. Questo percorso diventa un biglietto da visita per la legittimazione sociale del detenuto, un’opportunità per superare le molte resistenze per il reinserimento nel mondo del lavoro. Non a caso, nel corso degli anni sono stati impiegati nel settore ICT decine di detenuti che hanno terminato il percorso formativo della Cisco, tutti hanno comunque trovato lavoro e il risultato più importante è che per tutti la recidiva è stata pari a zero. Ma perché un’azienda, al di là dello scopo di responsabilità sociale, dovrebbe assumere un ex detenuto, seppur formato e certificato? «Perché la qualità del loro lavoro è altissima, per loro è tutto, l’unico modo per poter ritornare alla società, alle loro famiglie», sostiene Benvenuto. Per allargare l’esperienza di Cisco ad altre imprese, e quindi iniziare un lavoro più sistemico sulla rieducazione e sull’inclusione del mondo del lavoro delle persone detenute, è necessario lavorare su diversi aspetti, secondo i nostri intervistati, prima di tutto sul carcere stesso, che è un’organizzazione difficile da gestire e con una missione complessa, come sostengono i colleghi Filippo Giordano, Carlo Salvato ed Edoardo Sangiovanni in un libro appena pubblicato[4]. Bisognerebbe rivedere i processi burocratici, poiché, come sostiene Lorenzo Lento: «Il carcere non è un luogo di per sé favorevole al lavoro. Il lavoro richiede flessibilità mentre in carcere ci sono grandi rigidità […] gli impegni dei detenuti, per esempio i colloqui con gli avvocati, hanno la priorità sul lavoro; inoltre molteplici sono le difficoltà per incontrare i detenuti per un colloquio professionale», ma soprattutto bisognerebbe sensibilizzare diversi attori (HR, selezionatori ecc.) a includere questi soggetti nel mondo del lavoro.
[1] «Carceri: perché il 70% dei detenuti torna a commettere reati», Corriere della Sera, 3 novembre 2019.
[2] «Carcere, lavoro e impresa sociale. Verso una effettiva rieducazione dei detenuti?», Secondo welfare, 20 aprile 2021.
[3] K.T. Schnepel, «Good Jobs and Recidivism», The Economic Journal, 128, 2018, pp. 447-469; S. Sedgley, C.E. Scott, N.A. Williams, D. Frederick, «Prison’s Dilemma: Do Education and Jobs Programmes Affect Recidivism?», Economica, 77, 2008, pp. 497-517; Antigone, «Torna il carcere», XIII Rapporto sulle condizioni di detenzione, 2017, antigone.it.
[4] F. Giordano, C. Salvato, E. Sangiovanni, Carcere. Assetti Istituzionali e organizzativi, Milano, Egea, 2021.