Articolo 3

08/02/2021 Simona Cuomo

Ridefinire l’organizzazione del lavoro post-covid: l’esperienza di illimity

Marco Russomando ci ha raccontato come illimity, la banca di cui è responsabile HR, ha gestito il senso di isolamento, l’incertezza e le problematiche gestionali dei dipendenti durante i mesi di pandemia: dal rafforzamento della comunicazione interna, all’attivazione di corsi per rafforzare le competenze di relazione, fino all’organizzazione di una campagna di sensibilizzazione per ridurre lo stress generato dall’iperconnessione e dalla perdita di socialità, sono molte le attività che hanno fatto percepire forte il senso di comunità e di appartenenza.

A partire da questa esperienza, a luglio 2020 ha preso vita un nuovo modello di lavoro, «l’illimity way of working», che garantisce la possibilità di lavorare da casa al 50 per cento e che non prevede alcun sistema di monitoraggio della presenza online. Un modello basato sulla cultura della fiducia e della responsabilità, che agevola lo scambio e la collaborazione aziendale.


Durante l’anno della pandemia il modo di lavorare è improvvisamente mutato: un’analisi su 12 mila dipendenti negli USA, in Germania e in India[1] rileva come il lavoro da remoto (erroneamente definito smart working[2]) sia diventato una componente ordinaria del modo di lavorare. L’aspettativa è quella di non cancellare questa esperienza che, se correttamente reinterpretata, può essere una fonte di apprendimento organizzativo.

Nei discorsi manageriali un’etichetta è diventata di moda, il «new normal», usata per definire la transizione verso un modello di lavoro che, a partire da quanto avvenuto durante il 2020, ne assuma gli aspetti più costruttivi. Un’analisi condotta dall’Osservatorio sul Diversity, Inclusion and Smart working di SDA Bocconi School of Management nell’autunno 2020[3] evidenzia come l’esperienza massiva di remote working sia stata utile per superare gli ostacoli di implementazione e alcune resistenze psicologiche che, pre-pandemia, aleggiavano intorno al lavoro agile e ne impedivano una corretta diffusione e applicazione[4]. Se la pandemia ci ha dimostrato che le barriere tecnologiche sono facilmente superabili, le barriere legate alle dinamiche sociali (senso di isolamento, nostalgia, affaticamento, invasione ecc.) necessitano di maggiore attenzione e riflessione. Quest’ultimo aspetto rimane un punto critico dell’adozione del lavoro agile che dovrebbe integrare il lavoro d’ufficio, e non sostituirlo definitivamente. In caso contrario, diventerebbe una semplice misura di efficienza e di razionalizzazione dei costi, e si finirebbe per snaturare lo strumento.

Per riflettere su come le aziende pensano di affrontare il cosiddetto «new normal», abbiamo intervistato Marco Russomando, il responsabile HR di illimity, la banca fondata nel 2018 da Corrado Passera. Fin dalla sua nascita illimity ha adottato una cultura aziendale basata sul lavoro per obiettivi e non per quantità di ore trascorse davanti alla scrivania. Già nel periodo pre-Covid-19 c’era la possibilità di svolgere lo smart working un giorno a settimana, accordandosi con il proprio manager, per andare incontro alle esigenze personali o di altra natura dei dipendenti. Questo modello è stato istituzionalizzato nel 2019, siglando un regolamento aziendale ad hoc sul lavoro agile. Già in questa fase, illimity ha neutralizzato uno degli aspetti critici dello smart working: gli illimiter (così vengono chiamati i dipendenti) hanno infatti mantenuto i ticket restaurant indipendentemente dalla presenza fisica in ufficio. A partire da fine febbraio 2020 tutti i dipendenti, già dotati di pc e cellulare aziendali, sono passati al 100 per cento in smart working: «È stato molto facile e veloce», sostiene Russomando, «poiché la peculiarità di illimity è proprio quella di essere una realtà fully digital e in cloud, che permette quindi di garantire facilmente la normale operatività anche da remoto. I dispositivi in dotazione garantiscono a tutti gli illimiter di essere tra loro sempre connessi. La complessità maggiore si è riscontrata nel processo di onboarding dei nuovi assunti, poiché è sicuramente più difficile, attraverso la tecnologia, condividere i valori e i modelli aziendali, integrare la persona nel gruppo di lavoro, favorire la socializzazione di una persona fino a quel momento estranea a un contesto».

Il modello di lavoro 100 per cento da remoto imposto dalla pandemia ha tuttavia creato un senso di affaticamento, fino a generare uno stress perpetuo: alcuni lavoratori hanno dovuto gestire la complessità di avere l’intero nucleo familiare a casa; altri hanno passato un periodo di tempo molto prolungato completamente da soli. Per gestire il senso di isolamento, l’incertezza e le problematiche gestionali è stato aperto un canale di comunicazione diretto con il responsabile del personale: «Le persone possono prendere un appuntamento con me per 15 minuti e discutere delle criticità». illimity ha anche rafforzato la comunicazione interna, con aggiornamenti da parte del Team HR sulla situazione coronavirus e sulle buone pratiche da adottare; è stata inoltre diffusa la newsletter «Buone Notizie» in cui si racconta come l’azienda si stia adeguando all’emergenza e su come sia la vita degli illimiter durante la quarantena.

La direzione HR ha aperto anche un canale di comunicazione con i manager: «Una volta al mese, con la prima linea e tutti e i 60 manager ci incontriamo virtualmente per un momento di confronto e utilizziamo una chat interna per tenerci sempre aggiornati». Sono stati attivati nuovi corsi e-learning per approfondire le conoscenze tecniche ma soprattutto rafforzare le soft skill, che sono il «vero motore di illimity». Inoltre, è stata organizzata una campagna di sensibilizzazione allo scopo di ridurre lo stress generato dall’iperconnessione e dalla perdita di socialità. «Abbiamo chiesto maggiore efficienza nell’organizzazione delle call, per evitare di essere sempre al telefono, e di non scrivere tante mail; abbiamo invitato i manager a chiamare le proprie persone anche solo per sapere come stanno», ci racconta Russomando. Se inizialmente si è avvertita una sensazione di smarrimento, queste attività hanno fatto percepire forte il senso di comunità e la necessità di mantenere aperto il confronto e lo scambio: «I manager hanno compreso di essere una cinghia di trasmissione». Grazie a queste misure di sostegno alle persone non si sono rilevati problemi di caduta della performance, «ma si è scoperto di essere ugualmente efficienti anche a distanza». Russomando sostiene pertanto come non sia stato necessario introdurre alcun sistema di monitoraggio della presenza online: «Tali sistemi di controllo inibiscono la costruzione della fiducia, che è il collante necessario per far funzionare il lavoro da remoto».

A maggio 2020 è stata lanciata una survey interna per raccogliere i desiderata delle persone una volta finita la pandemia. Poiché i dipendenti hanno espresso il desiderio di ritornare al «new normal», con la possibilità di lavorare da casa al 50 per cento, è stato coerentemente definito, già nel mese di luglio 2020, il nuovo modello di lavoro che sarebbe stato introdotto da settembre: «L’illimity way of working». Questo modello, in via sperimentale nei mesi di settembre e ottobre, ha modificato l’organizzazione degli spazi «dal concetto di scrivania personale a quello di scrivania della mia area», introducendo un sistema di prenotazione della postazione all’interno dello spazio riservato al gruppo di lavoro attraverso un’app apposita.

Con l’introduzione a ottobre delle restrizioni legate alle aree regionali, la decisione di illimity è stata quella di considerare permanente le restrizioni legate alla zona rossa. I dipendenti sono tornati a lavorare al 100 per cento da remoto «con la possibilità di recarsi in ufficio per esigenze di business, previa approvazione del responsabile di divisione e solo se la persona se la sentisse». La decisione parte dalla consapevolezza che le persone si aspettano «stabilità, anche nell’incertezza». «Non appena entreremo nel “new normal”, verrà nuovamente implementato il modello “illimity way of working”». In questo momento la vera preoccupazione riguarda il fatto che «le persone cominciano ad avvertire la pesantezza di questa distanza forzata e il desiderio di riscoprire la prossimità».

L’esperienza di illimity insegna che il lavoro a distanza è un eco della capacità di un’organizzazione di lavorare bene con meno forme di controllo: per fare funzionare questo modello bisogna però far crescere una cultura della fiducia e della responsabilità, agevolando lo scambio e la collaborazione: «Se tra le persone c’è fiducia e si sentono responsabili il luogo in cui si trovano non è così importante». Una riflessione più critica riguarda la dematerializzazione degli spazi che accompagna l’implementazione del lavoro agile così come anche previsto dal modello illimity way of working: la perdita di una scrivania fissa e l’esigenza di prenotare la propria postazione rischia, se non inserita olisticamente nel nuovo modo di lavorare, di disincentivare la presenza in ufficio e quindi di non incidere sul bisogno di relazione, che è il bisogno primario espresso dai dipendenti.


illimity