Articolo 3

20/07/2020 Zenia Simonella

A 25 anni dalla Conferenza di Pechino: un bilancio

Nei prossimi giorni si festeggeranno i 25 anni dalla Conferenza di Pechino (4-5 settembre 1995), la quarta conferenza mondiale[1] convocata dalle Nazioni Unite sul tema dell’eguaglianza di genere.

In quell’occasione si pose al centro per la prima volta il concetto di genere, si adottarono i principi di empowerment e di mainstreaming, si definì una piattaforma con obiettivi strategici in 12 aree considerate critiche[2]

L’ONU ha pubblicato recentemente il rapporto Gender Equality. Women’s Right in Review 25 Years After Beijing[3], dove ha mostrato i passi compiuti e quelli ancora da compiere, soprattutto in termini di eliminazione della discriminazione nel mercato del lavoro, accesso alle posizioni apicali, riduzione del gender pay gap. Molto dunque resta da fare e probabilmente siamo ben lontani dalla fine del patriarcato, come sostenne dieci anni fa Hanna Rosin nell’articolo «The End of Men», pubblicato sul The Atlantic[4].

Nel dibattito accademico, più che di fine del patriarcato, si parla di «rivoluzione ancora in stallo». Secondo la studiosa Sarah Friedman[5], la ragione deve essere rintracciata da una parte nell’attenzione esclusiva all’ampliamento delle opportunità di crescita delle donne; dall’altra nell’assenza di una riflessione più ampia sulla costruzione del genere maschile (in termini di ruolo e di aspettative di comportamento). Per questa ragione, l’egemonia maschile rimarrebbe intatta.  

In effetti, gli uomini ritengono genericamente che «l’eguaglianza di genere sia un tema importante» tanto quanto lo ritengono le donne[6]; d’altro canto, molto più delle donne pensano che «dagli uomini ci si aspetti troppo per raggiungerla»[7]. Il loro debole coinvolgimento nel riflettere e nel promuovere l’equità di genere rende ancora il tema «un affare da donne».

Secondo uno studio di IBM[8], il 65 per cento dei manager uomini intervistati, appartenenti alle 2300 imprese coinvolte nella ricerca, ritengono che sarebbero stati promossi ugualmente se fossero state donne, malgrado la scarsa presenza di queste in posizioni apicali nelle loro aziende. Gli uomini tenderebbero quindi a minimizzare il ruolo delle distorsioni di genere nei processi di valutazione, soprattutto quando il tema non è centrale per l’impresa. Infatti, solo il 18 per cento delle 2300 imprese aveva posto la questione del genere come tema prioritario nel 2019.

A 25 anni da Pechino, la riduzione del divario di genere rimane un obiettivo strategico ancora da perseguire. 

Il passaggio ulteriore da compiere (per le imprese, ma non solo) è la promozione di una cultura inclusiva a 360 gradi, dove gli uomini contribuiscono attivamente alla sua costruzione.



[1] Le altre si sono svolte a Città del Messico (1975), Copenaghen (1980), Nairobi (1985). Dopo Pechino ci furono le conferenze di New York (2005) e di Milano (2015). 

[4] «The End of Men», The Atlantic, luglio-agosto 2010.

[7] Ibidem.

Uguaglianza