Articolo 3

22/06/2020 Simona Cuomo e Zenia Simonella

Lavorare da casa o lavorare in ufficio? Entrambi, grazie

Abbiamo più volte espresso la nostra opinione sul tema del lavoro agile durante il periodo di quarantena[1].
Riprendiamo il tema poiché negli ultimi giorni il dibattito pubblico è risultato particolarmente acceso in virtù degli interventi del giuslavorista Pietro Ichino e del Sindaco di Milano Giuseppe Sala[2]
Abbiamo chiesto a Chiara Bisconti, assessora al Benessere, qualità della vita, sport e tempo libero, verde, tutela animali, risorse umane del Comune di Milano dal 2011 al 2016, promotrice ed esperta della pratica del lavoro agile, la sua opinione su tali interventi.    

Quale è la sua opinione rispetto alle recenti dichiarazioni di Pietro Ichino e di Giuseppe Sala sul lavoro agile?

Usare delle generalizzazioni per esprimere un’opinione su un fatto porta sempre a delle semplificazioni e ad atteggiamenti pregiudiziali. La frase di Ichino, riportata dai media, si basa su una generalizzazione riferita alla pubblica amministrazione e dimostra una scarsa conoscenza della pratica del lavoro agile: quel commento etichetta la pubblica amministrazione come un ente monolitico che non può essere associato a un modo più evoluto di lavorare.

Quando sono arrivata al Comune di Milano non conoscevo il mondo della PA; ma non è stato difficile accorgersi della grande articolazione di servizi, professionalità, competenze che fanno di questa istituzione una grande azienda. Chi lavora negli enti pubblici capisce che c’è una profondità di competenze e una passione per il proprio lavoro così come accade nelle aziende private. Come nel privato si possono trovare persone disamorate e persone appassionate. In ogni caso stiamo parlando di persone che lavorano e non c’è differenza in termini di motivazione e dedizione al proprio mestiere. È quindi offensivo sostenere che da una parte (nel privato) si possa applicare lo smart working[3] e dall’altra (nel pubblico) no. Il lavoro agile richiede innanzitutto un ripensamento del modo di lavorare, di organizzare le attività, le relazioni, il tempo e la vita. Se lo estremizzi applicando la mentalità del «o tutto o niente», cioè o lo si fa o non lo si fa, non funziona. Anche nelle posizioni in cui si pensa non sia possibile applicarlo è invece possibile trovare un modo: ma è necessario entrare nello specifico, vedere puntualmente come sono organizzate le attività. La pratica del lavoro agile è dunque potenzialmente applicabile a qualsiasi contesto lavorativo. Quando lavoravo in Nestlé siamo andati a vedere cosa facessero gli operai per accorgerci che alcune delle loro attività potevano essere eseguite da remoto, sia perché c’erano i computer sia perché l’attività di un operaio qualificato non era stare attaccato alla macchina 8 ore al giorno. Anche questa è una generalizzazione che non permette di cogliere le attività reali di una mansione.  

C’è dunque un bias su una categoria e poi c’è un’incomprensione sullo strumento.

La discussione si polarizza sempre: «Io vorrei stare sempre a casa»; oppure: «Io vorrei sempre andare in ufficio». Il lavoro agile, all’opposto, è poter scegliere. Quello che abbiamo vissuto non è lo smart working, anche se molti lo hanno etichettato così. E tale fraintendimento sta bloccando la possibilità di usare questo strumento a settembre. Il ragionamento di Sala lo si sente fare in tante organizzazioni. Si rischia di affossare l’apprendimento che possiamo trarre da quello che è successo in questi due mesi: è stata fatta una sperimentazione indotta dall’emergenza, ma ha fatto capire, anche ai più resistenti, che il lavoro agile si può applicare: non con le modalità «forzate e difficili» di questo periodo, ma con quelle della libera scelta. Le frasi che sono state dette prestano il fianco a coloro che hanno ancora delle resistenze e non vedono l’ora di cavalcare tutto questo per ritornare alla situazione di cosiddetta normalità. Le dichiarazioni del Sindaco di Milano sono indicative della mancata comprensione della differenza tra il lavoro da remoto vissuto in questo periodo e il lavoro agile. L’unico modo è sfuggire alle polarizzazioni. Peraltro, sarà il modo di lavorare del futuro, e si farà: non si lavorerà più tutti alla stessa ora nello stesso ufficio.

Le parole di Sala, qui, legittimano un ritorno al passato, in assenza di un apprendimento?

Sì, purtroppo. Non si è compreso come il lavoro agile non porti un vantaggio solo per l’azienda, ma anche per la città. È il miglior modo per gestire i picchi degli spostamenti, per lavorare sul tema dell’impatto ambientale, per rivitalizzare le periferie. Lo smart working fa stare le persone nei territori dove hanno scelto di abitare. Quindi, c’è un vantaggio generale. C’è un benessere per l’intera città. Ci sono molte città che stanno andando avanti sul tema.

Che cosa pensi del dibattito sulla revisione della legge sul lavoro agile?

Credo che la legge del 2017 sia stata fatta bene. È un modo corretto di interpretare e disciplinare il lavoro agile. La discussione che sta animando il sindacato porta a dire che sia necessario riscriverla, dare nuovi contenuti, inquadrare i lavoratori agili a parte; ma questo creerebbero freni e blocchi. Bisogna lasciare la legge così com’è. Il sindacato, piuttosto, dovrebbe fare un lavoro molto preciso di contrattazione di secondo livello per portare lo smart working dentro i contratti aziendali. Questo vale anche per il diritto alla disconnessione. Bisogna lavorarci, non toccando la legge ma lavorando sulle regole organizzative. L’azienda dovrebbe avere l’obbligo di prendere delle misure: dalle 18 in avanti non si fanno riunioni; dalle 19 in avanti non devi obbligatoriamente rispondere a una mail, anche se ognuno è libero di inviarla. Bisogna dare regole di funzionamento. Si può agire su questo, regolamentando con creatività.



[1] Su E&M Plus sono stati pubblicati diversi contributi sul tema: «La fiducia alla base del lavoro agile», 20 maggio 2020; «Per favore, non chiamiamolo “smart working”», 20 aprile 2020; «Una nuova divisione del lavoro è possibile?», 26 marzo 2020; «Come cambia il lavoro ai tempi del coronavirus», 26 febbraio 2020, https://emplus.egeaonline.it/it/31/articolo-3.

[3] Nel lessico organizzativo, i termini «smart working» e «lavoro agile» vengono usati alternativamente, senza distinzione di significato.

 

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