Articolo 3

25/11/2019 Zenia Simonella

Obesità: lo stigma diventa deumanizzazione

Circa un mese fa, l’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica ha indetto l’obesity day (https://www.obesityday.org/) e, nella conferenza organizzata a Roma per quell’occasione, è stata presentata la «Carta dei diritti e dei doveri della persona con obesità». L’incipit della Carta è: «I diritti delle persone con obesità sono gli stessi diritti umani e sociali (di quelli) delle persone senza obesità».

Perché si è sentita la necessità di scrivere una «Carta dei diritti e dei doveri della persona con obesità»?

I principali obiettivi dei promotori sono stati: sensibilizzare le persone ai temi della salute; e soprattutto combattere la discriminazione delle persone con obesità. Nel mondo la popolazione obesa è il 12,8%, mentre la percentuale di adulti in sovrappeso è il 39%; in Italia la percentuale di adulti obesi è stimata intorno al 10,8%[1].

Il modo di affrontare l’obesità, come problema sociale, e l’atteggiamento verso le persone con obesità non sono stati sempre i medesimi nel corso della storia: «A fare la differenza sono i pesi e le misure che, in tempi e luoghi diversi, vengono scelti per fissare la soglia della normalità»[2]. La discriminazione verso le persone con obesità comincia a emergere con il boom economico e la nascita della società dei consumi che ha cambiato il rapporto tra individui, ora consumatori, e la soddisfazione dei loro bisogni. Oggi, più che in altri tempi, l’obesità è una condizione fortemente penalizzante: se nel villaggio globale ci si affida «a parametri materiali e indicatori quantitativi, quasi biometrici (per regolare la nostra vita), a essere decisiva allora non è più la persona, ma l’efficienza della macchina corporea»[3]. Essere in forma e in salute diventa un’ossessione e il corpo assurge a essere misura di tutte cose:

Il corpo postmoderno è prima di tutto un ricettore di sensazioni: assorbe e assimila esperienze, e la sua capacitaÌ€ di essere stimolato lo trasforma in uno strumento di piacere. La presenza di una tale capacità è chiamata «benessere» (fitness); al contrario, lo stato di «mancanza di benessere» significa debolezza, indifferenza, svogliatezza, depressione, apatia verso gli stimoli; oppure indica una sensibilità limitata e un'attitudine «sotto la media» verso nuove sensazioni ed esperienze. «Essere depressi» significa non avere voglia di «uscire e di divertirsi». In un modo o nell’altro, i disordini più diffusi e preoccupanti sono i disordini del consumo[4].

Questa ossessione ha trasformato un problema legato alla salute delle persone in sovrappeso o con obesità in una sorta di epidemia planetaria[5], generando una «obesofobia». Peraltro, nelle culture individualiste come quella americana l’obesità viene vista come colpa individuale, quando invece è strettamente legata allo status socio-economico e ad altre caratteristiche della persona (il genere, l’età, l’etnia, categorie che si vanno a intersecare con la condizione sociale dell’individuo). Per esempio, negli Stati Uniti, dove la percentuale di persone con obesità si attesta intorno al 36,2%[6] una disoccupazione prolungata aumenta la probabilità di diventare obeso, per cui la percentuale passa da 22,8 tra le persone disoccupate per qualche settimane a 32,7 tra quelli che sono disoccupati da più di 52 settimane[7]. Inoltre, la percentuale di persone con obesità di origini ispanica (47%) o nera (46,8%) è più elevata di quella dei bianchi non ispanici (37,9%)[8]. Si tratta di persone che hanno in genere un basso livello d’istruzione e d’impiego e questa condizione sociale li spinge più frequentemente nella trappola dell’obesità (per esempio, attraverso il consumo di junk food). Anche in Italia – e in Europa – l’obesità è strettamente connessa alla condizione sociale: le persone meno istruite e appartenenti a gruppi meno abbienti hanno una probabilità doppia rispetto agli altri di diventare obesi e i figli di queste persone sono mediamente più obesi rispetto agli altri (29,5% contro il 18,5% di bambini obesi figli di genitori con un titolo di studio elevato). Le persone con obesità si trovano più al Sud, nei piccoli centri e nelle zone periferiche delle città metropolitane[9], mostrando il nesso, ormai noto in letteratura, tra disuguaglianze sociali e spaziali.  

Gli studi mostrano che nel mercato del lavoro le persone obese hanno meno probabilità di trovare un lavoro, di avere un aumento di stipendio e di ottenere avanzamenti di carriera. Nei processi di recruiting e selezione le persone obese sono valutate peggio rispetto a candidati non obesi a parità di istruzione e  competenze[10]. In uno studio recente riportato da Marino Niola[11], il 93% dei responsabili del personale intervistati ammette di essere influenzato dalla taglia dei candidati durante la selezione. Nei luoghi di lavoro, nel quotidiano, le persone obese riportano più frequentemente forme di micro-aggressività e di discriminazione rispetto ad altre categorie[12]. Le donne obese sono ancor più penalizzate rispetto agli uomini[13]: storicamente più svantaggiate nel mercato del lavoro, al genere sommano anche lo stigma del peso, che è legato strettamente all’aspetto fisico, un tema, come sappiamo, sentito particolarmente dalle donne (https://emplus.egeaonline.it/it/31/articolo-3/1014/perche-la-vecchiaia-e-piu-difficile-per-le-donne).

L’obesità viene vista come una problematica vicina a quella della malattia e della disabilità, tanto che nell’agosto del 2019 la Corte Suprema di Washington ha dichiarato illegale la discriminazione di una persona obesa, assimilando l’obesità alla disabilità[14].  

Gli stereotipi sulle persone obese sono molto diffusi: un’analisi dei quotidiani inglesi svolta da alcuni ricercatori[15] mostra che l’obesità viene rappresentata come una degenerazione morale. Altri stereotipi riguardano la loro rappresentazione come individui pigri, privi di volontà, non intelligenti, sporchi, immorali, senza autocontrollo[16]. Gli stereotipi sulle persone obese e la loro stigmatizzazione è un fenomeno pervasivo, ma comune: ciò che emerge di non comune negli studi recenti sull’obesità come stigma, e che desta preoccupazione, è il fenomeno della de-umanizzazione delle persone obese: quell’atteggiamento attraverso il quale si tende a rappresentarle come più vicine agli animali e quindi le si rende meno umane. Il tema della de-umanizzazione dei gruppi stigmatizzati è già noto in letteratura, soprattutto in relazione alla questione etnica.

Una delle più gravi conseguenze di questo atteggiamento è l’aumento del minority stress e dell’aggressività fino alla completa esclusione sociale dei membri del gruppo stigmatizzato.   



[2] M. Niola, «Umiliati e obesi», in Archivio antropologico mediterraneo, XXI, 2019, n. 20. p. 3.

[3] Ivi, p.7.

[4] Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone. Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 58

[5] World Health Organization, Obesity: Preventing and Managing the Global Epidemic, Report, 2000.

[7] S. Crabtree, «Obesity Linked to Long-Term Unemployment in U.S.», Gallup, 18 giugno 2014 https://news.gallup.com/poll/171683/obesity-linked-long-term-unemployment.aspx.

[8] C. M. Hales, M. D. Carroll, C. D. Fryar, C. L. Ogden, «Prevalence of Obesity Among Adults and Youth:

United States, 2015-2016», NCHS Data Brief, No. 288, ottobre 2017 https://www.cdc.gov/nchs/data/databriefs/db288.pdf.

[9] Italian Obesity bBromter Report (2019), p. 48.

[10] R.M. Puhl, «Bias, Stigma, and Discrimination», The Oxford Handbook of the Social Science of Obesity, ottobre 2011 https://www.oxfordhandbooks.com/view/10.1093/oxfordhb/9780199736362.001.0001/oxfordhb-9780199736362-e-033.

[11] M. Niola, «Umiliati e Obesi», in Archivio antropologico mediterraneo, 2019, XXI, n.20. p. 8.

[12] D. Carr, M.A.Friedman, «Is obesity stigmatizing? Body weight, perceived discrimination, and psychological well-being in the United States», Journal of Health and Social Behavior, 2005, 46(3), pp. 244-259. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16259147.

[13] R. Pingitore, B.L. Dugoni, R.S. Tindale, B. Spring, «Bias against overweight job applicants in a simulated employment interview», Journal of Applied Psychology, 1995, 79(6), pp. 909-917 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7852208.

[14] «Washington State Supreme Court Determines Obesity Discrimination Unlawful», DiversityInc, 1 agosto 2019 https://www.diversityinc.com/washington-state-supreme-court-determines-obesity-discrimination-unlawful/.

[15] S.W. Flint, J. Hudson, D. Lavallee, «The portrayal of obesity in U.K. national newspapers», Stigma and Health, 2016, 1(1), pp. 16-28 https://psycnet.apa.org/record/2015-44630-001.

[16] R.M. Puhl, C.A. Heuer, «Obesity Stigma: Important Considerations for Public Health», American Journal of Public Health, 2010, 100(6), pp. 1019-1028, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2866597/.

Diversitylab