Articolo 3

13/11/2019 Simona Cuomo

Perché la vecchiaia è più difficile per le donne

«Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. Ci ho messo una vita a farmele venire». Anna Magnani

La longevità, considerata un fenomeno positivo a livello individuale, sta diventando un aspetto critico a livello collettivo, sia nella società che nel mondo del lavoro. L’ageismo è una forma di pregiudizio e svalorizzazione ai danni di un individuo, in ragione della sua età; in particolare verso le persone anziane (1). In virtù di questo pregiudizio, nel 2020 avere più di 45 anni nelle imprese italiane può rappresentare uno stigma e quindi una fonte di discriminazione. Gli studi sottolineano infatti che l’ageismo si concretizza in pratiche manageriali e comportamenti organizzativi ostili nei confronti dei lavoratori over 45, e sembrerebbe causare: un arresto del loro sviluppo professionale, qualora non sia stata raggiunta una posizione manageriale; una difficoltà per questi lavoratori di rientrare nel mercato del lavoro, qualora espulsi; un generale disinvestimento dell’organizzazione sull’ingaggio e la motivazione dei lavoratori senior, considerati non più saggi e esperti ma lenti e poco efficienti (2).

Questo giudizio che pesa sull’identità dei lavoratori, varcata la soglia dei 45 anni, risulta in contraddizione con i dati strutturali del nostro Paese. Da un lato l’invecchiamento della popolazione: in Italia, come in altri Paesi europei, lo storico sorpasso della componente anziana della popolazione su quella più giovane è avvenuto da circa vent’anni; dall’altro, il quadro normativo siglato dalla legge Fornero nel 2011 che ha drasticamente posticipato l’età della pensione. In questo contesto di generale difficoltà per le persone e i lavoratori che invecchiano, i dati raccolti dall’Osservatorio DIS di SDA Bocconi sottolineano che lo stigma dell’età che grava sulle identità professionali ha un peso maggiore più per le donne che per gli uomini (3).  In tal senso si parla di accumulazione degli svantaggi: essere una lavoratrice donna è in generale più limitante che essere un lavoratore uomo; ma essere una lavoratrice donna over 45 è anche più limitante dell’essere una lavoratrice giovane.

Perché dunque per le donne l’età crea un’ulteriore difficoltà?  Il tema sembra collocarsi negli stereotipi di genere che le donne subiscono con l’avanzare dell’età anagrafica (4). Con l’invecchiamento le donne devono affrontare non solo alcune condizioni inevitabili nel ciclo di vita di ogni essere umano (come per esempio l'indebolimento delle forze e della salute, lo scemare della memoria ecc.), ma qualcosa in più. Invecchiando, le donne subiscono lo stigma del decadimento fisico che le rende socialmente meno belle e desiderabili e professionalmente meno pronte per dei passaggi di ruolo e di responsabilità. Mentre è ancora diffusa la convinzione che gli uomini con l'età possano acquistare fascino e interesse, nelle conversazioni sono frequenti frasi come «è ancora una bella donna», «sembra più giovane»: espressioni che segnalano come la norma sociale di riferimento per la reputazione e la considerazione sociale e professionale delle donne sia la «bellezza della gioventù». La dittatura della bellezza, secondo i canoni estetici della gioventù, diffusa e incoraggiata dai mass media e dal web, travolge tutti, uomini e donne, vecchi e giovani, ma sembra condizionare soprattutto le donne più anziane. Il rispetto di certi modelli e canoni estetici viene sottilmente imposto come condizione indispensabile per il successo. E il bisogno di aderire a tale modello, contravvenendo alla propria identità fisica e psichica, è tale da rendere sempre più ricco il mercato dei prodotti di bellezza e della chirurgia estetica (5). Durante l’invecchiamento, che spesso coincide anche con un’età di forte cambiamento ormonale dovuto alla menopausa, si crea per le donne un circolo vizioso: da un lato la lotta contro l’invecchiamento fisico attraverso la manipolazione del proprio corpo rende le donne psichicamente fragili; dall’altro il burka estetico e il conseguente stigma professionale rendono impervio il riuscire a mantenere un atteggiamento di serenità nei confronti dei cambiamenti fisici che la vecchiaia comporta. 

Tutto ciò è raccontato efficacemente nel video  «Vecchio a chi» di Procter & Gamble (6) realizzato per combattere gli stereotipi che gravano sulle donne (ma anche sugli uomini) over 50; è la testa e non il corpo in sé a fare la  differenza, ed è la passione con cui si guarda  al futuro che permette di avere sempre più progetti che ricordi e di invecchiare attivamente.

La sfida della società e delle imprese sembra dunque quella non solo di combattere lo stigma dell’ageismo, ma anche di promuovere «l’invecchiamento attivo» che, secondo la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, è «un processo di ottimizzazione delle opportunità̀ relative alla salute, alla partecipazione e alla sicurezza, allo scopo di migliorare la qualità̀ della vita delle persone anziane» (7).

 

(1)   R. Butler, «Combating ageism», in International Psychogeriatrics, 2009, 21(2), p. 211.

(2)   S. Cuomo, A. Mapelli, Engagement e carriera: Il peso dell'età, Milano, Egea, 2014.

(3)   S. Basaglia, C. Paolino, Z. Simonella, «Tra vecchi totem e nuova rottamazione. La gestione della diversità nelle imprese italiane», in Economia & Management, 1, 2015.

(4)   F. Rigotti, De senectute, Milano, Einaudi, 2018.

(5)   L. Zanardo, Il corpo delle donne, Milano, Feltrinelli, 2015.

(6)   «Vecchio a chi», Procter & Gamble https://www.youtube.com/watch?v=oO2FBvpMVLA.

(7)   WHO, Active ageing: a policy framework, aprile 2002 https://www.who.int/ageing/publications/active_ageing/en/; A. Walker,  T. Maltby, «Active ageing: A strategic policy solution to demographic ageing in the European Union», International Journal of Social Welfare, 21, 2012, pp. 117-130.

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