China Watching
Il Rinascimento cinese e i giochi olimpici invernali
Quando il comitato olimpico ha assegnato le Olimpiadi invernali 2022 sette anni fa, a Pechino si parlava di «airpocalypse»: la capitale cinese e la sua regione erano al centro dell’attenzione globale per l’inquinamento tanto alto da costringere la popolazione a stare in casa e le fabbriche a chiudere. La tradizione degli sport invernali si basava su appena qualche anno di esperienza e l’aridità dell’area che avrebbe dovuto ospitare gli eventi outdoor era tale che, nonostante le rigide temperature, ben di rado nevicava. Il presidente Xi Jinping si mise in gioco in prima persona: «Terremo fede alle nostre promesse» e, vista l’esperienza delle Olimpiadi Pechino 2008, furono in pochi a dubitarne. E infatti nessuna promessa è stata disattesa, ma la Repubblica popolare è oggi un Paese completamente diverso, e così anche il clima che si respira ha influito sulla preparazione dei Giochi.
Certo, la qualità dell’area è notevolmente migliorata e una nuova linea ferroviaria ad alta velocità ha ridotto da quattro a un’ora la percorrenza tra la capitale e Zhangjiakou – la città vicino alla quale si svolgerà la maggior parte degli eventi all’aperto. Ma per il resto si utilizzeranno stadi e infrastrutture costruite per l’evento del 2008 (lo stadio a nido d’uccello e il watercube) e i costi saranno limitati al miliardo e mezzo di dollari. Ma l’impatto ambientale è ancora tutto da calcolare.
A Chongli, la Cortina d’Oriente, gli impianti sciistici si sono moltiplicati e nel 2019 i turisti invernali sono arrivati a 2,8 milioni contro gli appena 480mila di tre anni prima. Le precipitazioni sono scarse, quindi si spara neve a più non posso. E non solo sulle piste, perché quando le telecamere di tutto il mondo la inquadreranno, la regione dovrà competere con l’arco alpino. Almeno a colpo d’occhio. Si calcola che serviranno due milioni di metri cubi d’acqua, in un’area che normalmente può contare su un quinto del fabbisogno medio di acqua del Paese.
E in tutto ciò, lavoratori, volontari, atleti, funzionari e giornalisti dovranno vivere in bolle separate a causa delle misure anti Covid-19 e nessuno potrà uscirne per tutta la durata delle Olimpiadi, è proibito persino incontrare i propri famigliari. La vendita dei biglietti non è aperta al pubblico e tamponi quotidiani e mascherine obbligatorie cercheranno di garantire la politica «zero Covid-19» cinese. E l’isolamento non sarà solo sanitario.
Almeno una decina di Paesi, capeggiati dagli Stati Uniti, hanno deciso di boicottare diplomaticamente l’evento per protestare contro gli abusi dei diritti umani nello Xinjiang, e gli sponsor sono talmente sottotono che sembrano quasi vergognarsi della visibilità che si sono comprati. Per tutta risposta il presidente cinese offrirà una cena di gala per aprire i Giochi. Ospite d’onore sarà Vladimir Putin, con cui seguiranno incontri bilaterali che cercheranno di sciogliere alcuni nodi sull’Ucraina, lontano dalla sfera di influenza nordamericana.
La Cina di oggi è quattro volte più ricca di quella del 2008, e non ha più interesse a impressionare l’Occidente con scintillanti skyline e infrastrutture di nuova generazione. A livello di relazioni internazionali, è passata dalla teoria denghista del «mantenere un profilo basso e attendere il momento giusto per ottenere dei risultati» alla «diplomazia dei lupi guerrieri». Il successo di queste Olimpiadi non sarà misurato sul medagliere, ma sulla capacità di Pechino di dimostrare al mondo di aver vinto la sfida della pandemia e di sapere affrontare a testa alta – e con le proprie sfere d’influenza – le sfide di uno scacchiere globale sempre più polarizzato. Non è un caso che lo stesso Xi Jinping riconduca quest’edizione dei Giochi al «Rinascimento cinese», ovvero riportare la Cina al ruolo di grande potenza come fu nell’antichità.