China Watching

03/05/2021 Cecilia Attanasio Ghezzi

La Cina rurale e il ritorno ai giovani

Negli ultimi 20 anni, nella Repubblica popolare cinese si è allargato lo iato tra nuovi poveri e nuovi ricchi e, soprattutto, tra campagne e città. Pechino ha però deciso di intervenire incentivando la ricerca di lavoro degli under 30 nelle zone rurali del Paese, ed evitando le migrazioni verso le zone costiere più ricche.

Quando lo scorso febbraio Xi Jinping ha dichiarato ufficialmente di aver sconfitto la povertà, i funzionari assegnati al progetto sono stati trasferiti alla «rivitalizzazione rurale» con il compito di affrontare problemi ancora più complessi come lo spopolamento, l’invecchiamento della popolazione e la mancanza cronica di lavoro delle aree dell’entroterra. «La Cina è ancora il più grande Paese in via di sviluppo del mondo» aveva dichiarato in quell’occasione la vice ministro della propaganda Xu Lin. E aveva aggiunto: «Per affrontare le diseguaglianze, l’inadeguato sviluppo delle aree interne al Paese e diminuire lo squilibrio tra territori urbani e rurali, la strada è ancora lunga». Le autorità locali dovranno vigilare sul fatto che il reddito dei cittadini non scenda nuovamente sotto la soglia di povertà, fissata a 2,30 dollari al giorno. In ballo ci sono sussidi e politiche di sviluppo che dureranno almeno per i prossimi cinque anni. Si tratta di ripensare l’agricoltura, sviluppare il turismo e, soprattutto, portare nelle campagne giovani capaci di usare le infrastrutture tecnologiche per colmare il gap che separa le campagne dalle città.

Anche se le linee guida emanate dal Comitato centrale del Partito comunista e dal Consiglio di Stato fanno pensare all’iniziativa voluta decenni fa da Mao Zedong e che costrinse i giovani istruiti a rieducarsi nelle campagne, il problema è ben più serio. Per la Repubblica popolare si tratta di evitare di cascare nella «trappola del reddito medio» affrontando di petto la più grande diseguaglianza del Paese: il 44 per cento della popolazione vive nelle ricche e industrializzate aree costiere, ma il reddito medio pro capite degli abitanti delle aree rurali rappresenta appena il 39 per cento rispetto a quello degli abitanti delle aree più ricche.

Sappiamo che per 40 anni l’economia cinese è stata tra le più veloci a crescere dell’intero globo, un’epoca inaugurata nel 1978 dal cosiddetto «padre del socialismo con caratteristiche cinesi» Deng Xiaoping. «Lasciate che qualcuno si arricchisca per primo» disse nel 1992 confermando riforme e aperture. Ed è stato preso alla lettera. Nel 2021 la Repubblica popolare è diventata il Paese che ospita più miliardari al mondo[1]: 1058 contro i 696 degli Stati Uniti. Il Pil del Paese è raddoppiato ogni otto anni e un totale di 800 milioni di poveri sono stati sollevati dalla povertà[2]. Ma nel frattempo si è allargato lo iato tra nuovi poveri e nuovi ricchi e, soprattutto, tra campagne e città. Ma per Pechino è tempo di invertire il trend.

La nuova politica si chiama «fanxiang qingnian», ovvero il ritorno dei giovani, ed è coadiuvata da una crescente insofferenza delle nuove generazioni per le metropoli. Gli affitti sono cari e la qualità della vita oggi non ha nulla da invidiare alla provincia, anzi. I treni ad alta velocità permettono spostamenti rapidi a prezzi contenuti, e internet accorcia ulteriormente le distanze. Da metà 2019, almeno 100mila influencer si sono trasferiti nelle campagne e si sono messi a vendere online i prodotti locali, creando un mercato di qualità dove prima c’era solo sfruttamento.

Anche l’attitudine al lavoro è cambiata. Sono in costante calo i giovani disposti a passare lunghe giornate in catena di montaggio, distanti centinaia di chilometri dalla famiglia. Preferiscono diventare fattorini, o trovare qualche lavoretto che permetta loro di sopravvivere senza allontanarsi troppo da casa. Le statistiche ufficiali parlano di un numero di migranti sotto i trent’anni che si sarebbe addirittura dimezzato nell’ultima decade[3]. E il Partito li appoggia.

La Lega dei giovani comunisti sta aiutando 100mila giovani migranti a trovare lavoro nei loro paesi di origine. Lì sarà più facile accedere al sistema scolastico e a quello sanitario, anche se la qualità di entrambi è nettamente inferiore. È quella che Scott Rozelle chiama «la Cina invisibile»[4], 840 milioni di persone – circa 1/9 della popolazione mondiale – che fino a oggi sono stati al di fuori dai radar e che, secondo l’autore, potrebbero essere «il più grande problema che la Cina si troverà affrontare. E di cui nessuno sa nulla».

 

 



[1] «Hurun Global Rich List 2021», Hurun, 2 marzo 2021.

[4] S. Rozelle, Invisible China: How the Urban-rural Divide Threatens Chinas Rise, University of Chicago Press, 2020.

iStock-497443692