China Watching

29/03/2021 Cecilia Attanasio Ghezzi

La Cina che verrà

Durante l’ultimo Congresso nazionale del popolo, 3mila membri del partito comunista cinese hanno approvare il 14esimo piano quinquennale, ovvero la direzione che prenderà la seconda economia mondiale nei prossimi cinque anni. A saltare agli occhi è l’aumento delle spese militari, indice di un maggior attivismo in politica estera, e i maggiori investimenti nel campo dell’intelligenza artificiale, delle biotecnologie e dell’agricoltura: segno della volontà di ridurre sempre di più la dipendenza dal mondo esterno

Tutti in tiro e vaccinati per l’appuntamento politico più importante dell’anno. A inizio marzo, a Pechino, nella grande Sala del popolo che si affaccia su piazza Tian’anmen, si sono riuniti i circa 3mila membri del Congresso nazionale del popolo, ciò che più somiglia al nostro parlamento. Per una settimana all’anno, i delegati di ogni parte del Paese si ritrovano nella capitale per confrontarsi e votare a porte chiuse o meglio, considerando il sistema politico in questione, per conoscere e ratificare i provvedimenti legislativi nazionali. Quest’anno si è trattato di approvare il 14esimo piano quinquennale, ovvero la direzione che intende prendere la seconda economia mondiale nei prossimi cinque anni.

Il messaggio di apertura, affidato al consueto discorso del premier Li Keqiang, non ha lasciato dubbi sull’ottimismo con cui la nazione più popolosa al mondo guarda al futuro. Grazie alla forza della sua economia e alla solidarietà della sua gente, Pechino ha affrontato con successo un difficile 2020. Nonostante la pandemia, l’ostilità di molti dei Paesi del primo mondo, la crisi demografica e la resistenza di Hong Kong a essere governata secondo gli stilemi comunisti, la Cina guidata da Xi Jinping si è dimostrata capace di vincere le sfide che si è preposta e di potersi sinceramente considerare un modello alternativo alle democrazie liberali. E anzi, è proprio questo il punto su cui si batterà in vista del centenario del Partito comunista che verrà celebrato con gran fanfara il prossimo luglio.

Se l’anno scorso la leadership annunciò quella legge sulla sicurezza nazionale che in meno di un anno ha spazzato via a suon di arresti ogni forma di dissenso nell’ex colonia britannica, quest’anno è stata varata una modifica alla legge elettorale di Hong Kong che assicuri che la città sia «governata da patrioti», ovvero verranno ridotti i membri per elezione diretta del mini-parlamento. Infatti, nonostante il complicato sistema che regola il LegCo sia costruito in modo da tutelare lo status quo, c’era la concreta possibilità che movimento pro-democrazia prendesse la maggioranza dei seggi e costringesse la governatrice Carrie Lam alle dimissioni. Un’ipotesi prevista dalla mini-costituzione di Hong Kong che evidentemente a Pechino fa troppa paura. La Repubblica popolare non ha intenzione di perdere la faccia, e la sua autorità non può essere messa in discussione.

Ma quello che salta più agli occhi, è l’evidenza della fine dell’era della crescita economica a due cifre e l’attenzione crescente alla riduzione del debito pubblico. La seconda economia del mondo comincia a soffrire gravemente delle stesse debolezze delle democrazie liberali, specie da un punto di vista demografico. I diversi accenni alla «trappola della bassa natalità» non solo pongono l’accento al decremento del 15 per cento delle nascite rispetto all’anno scorso, ma evidenziano un trend sociale che ormai sembra possibile invertire: ci si sposa meno e più tardi, aumentano i divorzi e le coppie che scelgono di avere un solo figlio. Non è però ancora chiaro come lo Stato ha intenzione di intervenire sul tema.

Si nota invece un protagonismo sempre più marcato nello scacchiere internazionale. È in quest’ottica che va letto il costante incremento delle spese militari. Quest’anno sarà del 6,9 per cento, poco di più di quello del 2020. La difesa sotto Xi Jinping è diventata una priorità e ormai l’Esercito di liberazione popolare di cui è il comandante in capo, può vantare un badget che è secondo solo a quello statunitense. Negli ultimi vent’anni, inoltre, le spese sono state indirizzate alla modernizzazione e ai programmi di espansione delle flotte che pattugliano il Pacifico, specie le acque contese del Mar cinese meridionale e quelle di Taiwan. E c’è da sottolineare che nel nuovo piano quinquennale si menziona specificamente il progetto che più metterà sotto pressione gli attuali equilibri geopolitici: la cosiddetta «Via della seta polare» che cercherà di mettere sotto l’egida di Pechino le risorse energetiche e le nuove rotte artiche che risulteranno dallo scioglimento dei ghiacci.

Gli investimenti nella ricerca su intelligenza artificiale, computer quantistici, neuroscienza, semiconduttori, genetica e biotecnologia come anche il più prosaico obiettivo di incrementare la produzione agricola sono invece da leggersi come segno della volontà di ridurre la dipendenza dal mondo esterno che, nella visione sinocentrica, è attualmente soggetto a un incontrollabile caos. La promessa di una crescita economica superiore al 6 per cento, in ultimo, «permetterà di affrontare ogni sfida e superare ogni difficoltà». Parola di premier.

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