China Watching

21/12/2020 Cecilia Attanasio Ghezzi

Il grande vincitore

Lockdown severo, tracciamento capillare tramite smartphone e tamponi di massa: sono questi i pilastri su cui si è fondata la strategia di Pechino per contrastare il diffondersi della seconda ondata di Covid-19. Una scelta vincente che ha permesso all’economia del Paese di crescere anche più velocemente del previsto.

«Se 300mila persone fossero morte di Covid in Cina, come avrebbe reagito l’occidente?» L’editoriale della versione inglese del Quotidiano del popolo[1] non lascia dubbi al senso di superiorità con cui la Repubblica popolare guarda alla gestione della pandemia nel resto del mondo. Soprattutto oggi che, con cinque vaccini in fase 3, di cui quattro già approvati per uso limitato o d’emergenza[2], pianifica la vaccinazione di 50 milioni di persone entro l’inizio di febbraio. Il governo di Pechino vuol farsi trovare pronto per le vacanze del capodanno cinese, che nel 2021 cade il 12 febbraio. Due dosi da inoculare rispettivamente entro il 15 gennaio e il 5 febbraio, e la speranza che i due vaccini firmati Sinopharm e Sinovac possano essere commercializzati già il prossimo aprile. E sì che a novembre 2020, il presidente della prima azienda (di Stato) farmaceutica aveva dichiarato che il suo vaccino era già stato inoculato senza effetti collaterali significativi a un milione di cinesi senza che peraltro siano ancora stati resi noti i risultati dell’ultima fase di sperimentazione.

Nel frattempo ci arrivano immagini di cittadini liberi di viaggiare per il Paese più popoloso del mondo senza obbligo di mascherina (per strada, perché nei treni e sugli aerei è ancora obbligatorio). La vita sembra tornata alla normalità: scuole e bar aperti e shopping compulsivo nella speranza di supplire al calo della domanda di prodotti dal resto del mondo. Stando ai dati ufficiali, i nuovi casi giornalieri si contano sulle dita di una mano, e sono perlopiù «importati». La Repubblica popolare non ha smesso di tamponare milioni di persone in pochi giorni per ogni accenno di nuovo focolaio né di costringere a una quarantena, in alberghi e a proprie spese, chiunque entri nel Paese. Un sistema di tracciamento è attivo ormai da mesi sugli smartphone di ogni cittadino: assegna un colore a seconda dell’esposizione al rischio e accorda di conseguenza la possibilità di spostamento.

A poco meno di un anno da quando l’epidemia del nuovo coronavirus è esplosa a Wuhan, Pechino dimostra di aver imparato molto dall’esperienza vissuta all’inizio del millennio con la Sars. Lockdown severo e tracciamento capillare sono stati i pilastri su cui si è fondata la ripresa del gigante asiatico che ha visto oltre 600 milioni di persone viaggiare durante la settimana della festa della Repubblica a inizio ottobre, senza che questo causasse una seconda ondata. Sì, ci sono stati alcuni casi sparuti. Ma parrebbe che niente sia sfuggito al controllo. Esemplare il caso della metropoli di Qingdao, che l’11 ottobre scorso ha registrato tre nuovi positivi e ha testato quasi 11 milioni di persone in cinque giorni per un totale di 12 casi positivi che sono immediatamente stati isolati[3]. Un tamponamento di massa che è già stato replicato in diverse altre città del Paese.

È anche per questo che l’economia cresce, stando ai dati ufficiali, anche più velocemente del previsto. Produzione industriale, investimenti e consumi sono stati pompati da stimoli e politiche mirate che per il momento sembrano funzionare[4], anche se si prefigura uno scontro sempre più feroce tra governo (e quindi Partito) e i colossi tecnologici che per la prima volta si tenta di regolamentare con una legge contro i monopoli[5]. Perché se la Cina è riuscita a mettere sotto controllo l’epidemia così velocemente, non è solo per la sua capacità di mobilitare le masse e la struttura autoritaria della sua politica. Il passaggio al digitale era già in una fase molto più avanzata della nostra quando l’epidemia è scoppiata, così come l’intelligenza artificiale applicata al controllo della popolazione. Tutte queste tecnologie sono state messe al servizio della limitazione dei contagi. E per il momento sembra aver funzionato. Quanto alle origini della pandemia, la Repubblica popolare continua a ripetere che potrebbe essere scoppiata anche al di fuori del suo territorio, anche se è stata finalmente autorizzata una missione dell’Organizzazione mondiale della sanità sul campo. Dovrebbe iniziare il mese prossimo, ma non è ancora chiaro come potrà ricostruire cos’è successo a Wuhan a un anno di distanza. Né se l’inchiesta sarà in grado di portare elementi nuovi su come e dove sarebbe avvenuto il salto di specie e sulla localizzazione dei primi focolai[6].

Cina vincitore