Fotogrammi
Il cerchio
La dittatura della trasparenza
Il cerchio
Regia; James Ponsoldt
Int. Tom Hanks e Emma Watson
Usa, 2017
Una brava ragazza americana. Una come tante. Famiglia modesta ma dignitosa. Studi regolari. Un fidanzato non entusiasmante ma devoto. Un lavoro. Di routine, in un ambiente non particolarmente accogliente, ma sicuro. Mae Holland vive così. Sopravvive. Senza sbalzi. Senza guizzi. Normale. Finché un giorno, grazie alla complicità di una rampante room mate conosciuta in un MBA, viene assunta dall’azienda dei suoi sogni: Il Cerchio, appunto. Che è una corporation immaginaria, ma fonde in sé quello che oggi sono le grandi multinazionali del web, da Google a Facebook, da Twitter a Instagram. La sede di lavoro è in un campus avveniristico della Silicon Valley, modernissimo, accogliente, con tutti gli ingredienti dell’organizzazione energizzante: i quadri di Basquiat alle pareti; i mobili di Calatrava; la mensa a nove piani vetrati; il luogo dove prendere a prestito le biciclette o i kayak o i deltaplani; la discoteca per la notte e pure una foresteria dove al risveglio i dipendenti possono scegliere gli abiti trendy da indossare la giornata successiva. Crescita professionale garantita per tutti e un sorriso come brand. Mae si trova subito a suo agio nell’ambiente e fa propri i principi di fondo della cultura aziendale, sintetizzati in motti come: «I segreti sono bugie», «Condividere è prendersi cura», «La privacy è un furto». I valori massimi sono la socializzazione di tutte le informazioni (ma proprio tutte) e la totale trasparenza. L’invenzione più importante del Cerchio è TruYou, software che riunisce tutte le identità e le password di un utente: un unico «bottone» per la tua vita online. Un servizio così semplice, da estromettere dalla comunità sociale chi non si adegua. La carriera di Mae Holland è pressoché fulminea. Capisce i segreti nascosti delle norme aziendali e finisce per essere l’emblema della ideologia del «sempre osservato e visibile». Ma qualche dubbio si insinua invece nello spettatore: che è indotto a interrogarsi sull’effettiva efficacia e sull’opportunità di condividere una simile «visione». Ne discutono Severino Salvemini e Gianni Canova.
G.C. Una premessa. Io ritengo Il cerchio di Dave Eggers uno dei più importanti romanzi dell’ultimo decennio. Una lettura quasi obbligatoria non solo per tutti gli uomini di cultura ma anche per chi studia le forme di organizzazione aziendale. Non posso dire altrettanto del film che ne è stato tratto, che mi pare riesca a rendere solo in parte la complessità dell’analisi del romanzo, travisandone anche il senso nel finale. Ma su questo tornerò. La cosa che mi pare comunque più importante sia nel libro che nel film è il modo in cui rende visibile a tutti le modalità con cui le nuove tecnologie e i cosiddetti social media potrebbero essere il germe di nuove forme di totalitarismo non imposte dall’alto ma scelte e adottate direttamente dal basso.
S.S. è vero. I «cervelli» dell’azienda usano le nuove tecnologie per garantire più sicurezza e risolvere problemi, anche se l’applicazione di queste tecnologie mette e rischio il diritto alla privacy. Il vero nemico contro cui combattono è il segreto: nella loro filosofia, se nessuno avesse più alcun segreto il mondo sarebbe migliore. Il che significa trasparenza assoluta. Condivisione totale. Condividere le esperienze fa parte della policy aziendale. Vivere un’esperienza e non postarla, non condividerla, viene considerato come un atto di egoismo intollerabile. Il Cerchio pratica una sorta di comunismo delle emozioni e delle conoscenze. Tutti sanno tutto di tutti, tutti condividono ogni emozione degli altri. I dipendenti adorano Il Cerchio, ne sono quasi dipendenti, e non riescono neanche più a immaginare un altro possibile modo di vivere.
G.C. A cominciare da Mae. Che manda messaggi continui a tutti (clienti, capi, colleghi e collaboratori) e invia like a tutti gli eventi che incrocia. Ciò le consente di scalare il ranking interno che misura e valuta le sue interazioni digitali. Desiderosa di mostrare a tutti quanto vale, entra progressivamente nelle sabbie mobili del dipendente modello, che le fanno sovrapporre vita personale e vita lavorativa, senza più riuscire a distinguerle.
S.S. Chi invece sta fuori, dal Cerchio e dal sistema, viene guardato con sospetto. Chi rifiuta la dittatura della trasparenza viene braccato come un pericoloso criminale. Come accade all’ex fidanzato di Mae, a cui il plot riserva una tragica fine. Non c’è spazio per il dissenso nel mondo perfetto del Cerchio. Anche perché il dissenso non può essere condiviso, pena il crollo di tutto il sistema.
G.C. Questo è il paradosso. Nel mondo raccontato da Dave Eggers tutto sembra amichevole, sorridente, friendly. Penso anche solo a come – nel film – il «capo» interpretato da Tom Hanks gestisce le assemblee: vestito casual, sempre con una tazza con il logo del Cerchio fra le mani, pronto al sorriso e alla battuta, senza segreti. Salvo quello che riguarda la proprietà e i profitti del Cerchio: su questo c’è opacità totale.
S.S. Più vai avanti nella visione, non a caso, più ti senti assalire da un vago senso di inquietudine. C’è come un effetto-acquario: ti sembra di vivere in un mondo in cui socializzi costantemente dove sei, cosa fai, cosa ascolti, come vesti, cosa mangi, cosa pensi, chi desideri, e così via. E a lungo andare questo spasmodico bisogno di essere sempre interconnessi, reperibili e aggiornati ti risulta intollerabile.
G.C. Vero. Ma più nel romanzo che nel film. Il romanzo chiude in modo pessimista sulla presa d’atto di un consenso generalizzato a un sistema in cui il controllo sociale viene stimolato spontaneamente dal basso. Il film finisce invece per salvare il sistema espellendo le «mele marce» che ancora nascondevano margini di opacità. Benvenuti nel mondo della totale sottomissione alla rete e della dipendenza dalla connessione 24 ore su 24. Che sia davvero questo il futuro che ci aspetta?