Fotogrammi

Gianni Canova, Severino Salvemini

Un padre, una figlia

Le regole valgono per gli altri, non per me

Per aiutare la figlia, un padre infrange i suoi principi etici e professionali e si conforma a quelle pratiche di corruzione che dominano la Romania contemporanea. Dal regista di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, un film secco e disincantato che mette a nudo la genesi delle logiche di compromesso. Nella vita come in azienda e nella professione. Un padre, una figlia di Cristian Mungiu, premio per la miglior regia a Cannes 2016.

Un padre, una figlia

Regia: Cristian Mungiu

Int.: Adrian Titieni e Maria-Victoria Dragus

Romania-Francia, 2016

Sognava di cambiare il mondo, il protagonista di Un padre, una figlia di Cristian Mungiu.

Cresciuto nel clima grigio e soffocante della Romania di Ceausescu, si era illuso che dopo la caduta del regime e del dittatore un mondo nuovo fosse alle porte. Lui, quanto meno, ci aveva creduto. E aveva impostato tutta la sua vita sul rispetto di quei valori che sperava potessero diventare comuni e condivisi: onestà, lealtà, coerenza, accettazione delle regole. Medico in una piccola città della Transilvania, piena di pettegolezzi, dicerie e controllo sociale come tutte le città di provincia, il dottor Romeo Aldea quei valori li ha fatti propri, incurante del fatto che in poco tempo anche la nuova Romania sia finita a galleggiare in una palude di bustarelle, raccomandazioni, spintarelle e corruzione dilagante non molto dissimile da quella dei tempi di Ceausescu. Lui però non si è mai piegato e ha fatto della sua diversità un punto d’onore. Fino al giorno in cui anche lui ha un problema. Un problema grosso. Il giorno prima dell’esame di maturità – Baccalaureat è il titolo originale del film… – sua figlia subisce un tentativo di stupro dietro la scuola. La ragazza è turbata, non è nelle condizioni psicologiche migliori per affrontare una prova impegnativa, rischia di non riuscire a ottenere quella votazione eccellente che sarebbe alla sua portata se non fosse sotto shock e che comunque è indispensabile per ottenere quella borsa di studio che le consentirebbe di andare a studiare a Cambridge. Il dott. Romeo ha costruito tutta la vita in funzione della figlia, per garantirle un futuro migliore. Per consentirle di andare via, di trovare la sua strada in un paese più giusto. Ora non può rischiare di mandare tutto all’aria per colpa di un «incidente». Così, anche l’integerrimo dott. Romeo ricorre all’aborrita raccomandazione. Accetta il gioco di scambio: io faccio un favore a te e poi tu contraccambi facendo un favore a me. Il mondo funziona così, non solo in Romania. Il dott. Romeo abbassa la testa, abbandona la «retta via» e si conforma alle regole del gioco: da quel momento finisce risucchiato in un vortice di ricatti, di sensi di colpa e di pressioni che lo porta a mettere in discussione tutta la sua vita. Arrivando a commettere anche lui l’errore di tanti manager: quello di ritenersi superiore alle regole che egli stesso ha definito e sostenuto. Ne discutono Severino Salvemini e Gianni Canova.

 

S.S. Mi sembra che il protagonista del film incarni alla perfezione il principio machiavellico secondo cui «il fine giustifica i mezzi». Da un lato ci sono i valori, gli ideali, i princìpi, le convinzioni. Dall’altro c’è il realismo che ti induce ad adottare quei comportamenti che comunque – al di là di ideali e valori – meglio ti garantiscono il raggiungimento dei tuoi obiettivi. Il dottor Romeo ha combattuto tutta la vita per garantire a sua figlia di vivere in un mondo che rispetti i valori in cui lui crede e ora – pur di non vedere sfumare quell’obiettivo – contravviene egli stesso ai valori in nome dei quali combatte.

 

G.C. Non è solo questo. Secondo me il protagonista del film di Mungiu assomiglia molto a quegli integralisti che predicano il rispetto delle regole uguali per tutti tranne che per loro stessi. In buona fede, beninteso: sanno quanto loro credono in quelle regole e lo sanno a tal punto che ritengono poco grave il fatto che a infrangerle siano proprio loro. Si sentono in qualche modo superiori e si autoassolvono. Molti manager e soprattutto molti leader politici agiscono così: predicano una purezza assoluta che essi stessi non praticano e che infrangono alla prima occasione. Convinti di battersi comunque – a qualunque costo – in nome degli ideali che contraddicono con la loro azione.

 

S.S. Beh, per il dottor Romeo Aldea direi che non si tratta di una «prima occasione». In gioco c’è il futuro di sua figlia. C’è una vita intera costruita in vista di quell’obiettivo. Ma quale padre non ha aspettative sui propri figli? Spesso dietro a queste aspettative c’è l’inconscio desiderio che i figli realizzino ciò che non si è stati capaci di raggiungere.

 

G.C. Non sono del tutto d’accordo. Il padre non è del tutto irresponsabile per il guaio che è successo alla figlia, come un manager non lo è mai per le difficoltà che attraversa la sua azienda. Se non avesse fatto scendere la figlia dall’auto sul retro della scuola, per la fretta di raggiungere la sua amante, e se la figlia non avesse dovuto attraversare a piedi una sorta di «terra di nessuno», forse non avrebbe subito l’aggressione che l’ha precipitata in uno stato di shock. Il padre lo sa, si sente colpevole, anche se non lo ammetterebbe mai. E così adotta un comportamento che apparentemente è a favore della figlia, ma in realtà mira a cancellare e rimuovere la sua responsabilità, e a liberarsi dal senso di colpa.

 

S.S. Da questo punto di vista hai ragione. Anche nelle organizzazioni complesse molti leader agiscono così. Sanno di essere corresponsabili di una situazione di crisi e per uscirne infrangono le regole, convinti che quell’infrazione, quell’abbandono della «rettitudine» sia solo momentaneo, e che commesso da loro non sia poi così grave… Ma nel momento in cui i valori iniziano a franare (complicità con i poliziotti corrotti, scambi interessati, patteggiamenti e richieste illecite, raccomandazioni e menzogne), si innesca un flusso difficile da arrestare, e il passaggio dal culto del rigore alla logica del compromesso rischia di essere irreversibile.

 

G.C. …e se invece non ci fosse nessun passaggio? Se Romeo fosse già da sempre come lo vediamo agire? È un «puro» ma nasconde alla figlia la relazione che ha con un’insegnante della sua scuola. Quando la figlia gli chiede perché suona sempre il clacson in auto, lui risponde: «Per sicurezza…». E lei: «Ma allora perché lo suoni anche quando non ci sono altre macchine?»: Ecco: il vero errore di Aldea è che agisce anche quando non c’è bisogno di farlo. È lo scrupolo della rassicurazione preventiva. In realtà, non vuole proteggere la figlia, vuole proteggere se stesso dalla sua ansia e dalla sua insicurezza. Che è poi l’errore in cui cadono tanti manager, convinti di operare per il bene dell’azienda ma in realtà interessanti soprattutto a proteggere se stessi e la propria carriera.

Un padre una figlia