Interventi & Interviste
Il cibo alimenta l’arte (e non solo)
Ad Exilles, in Val Susa, durante una festa di paese incontriamo Lello Humbert, un medico di campagna, che nel bel mezzo di una chiacchierata/intervista, con gli occhi che hanno il sorriso dell’intelligenza, ci dice: «La tutela dell’ambiente e il rispetto della salute nuocciono gravemente all’economia»!
Avevamo appena iniziato il nostro viaggio attraverso le campagne italiane per cercare di raccontare, nell’anno dell’Expo di Milano consacrata al cibo, chi aveva scelto di tornare alla terra e di avere con essa un rapporto non predatorio, ma di rispetto e lealtà.
Ed ecco che alla seconda tappa, in un paese di montagna, incontriamo un medico che ci dà l’opportunità di andare oltre lo slogan dell’Expo «Nutrire il pianeta». È possibile fare oggi un’agricoltura, e quindi anche economia, rispettando l’ambiente e la salute delle persone? Economia e salute devono per forza essere antitetiche? Esiste un altro modello di pensiero economico che non metta al centro solo il profitto?
In quel 2015, con il nostro furgone Westfalia, abbiamo percorso più di 4000 chilometri per incontrare contadini, allevatori, apicoltori, artigiani, boscaioli, ma anche ricercatori, studiosi ed esperti in campo scientifico. Un mondo rurale fatto di uomini e donne che hanno trovato nel proprio contesto i modi per realizzare stili di vita in equilibrio tra lavoro, economia, comunità e paesaggio locale. Un’umanità silenziosa che coltiva la terra rispettando la natura, attuando quel futuro «sostenibile» che per molti è ancora una visione a venire. Persone che hanno deciso di rifiutare il produttivismo agricolo basato sulla follia del mercato «dove gli uomini son solo mani per far girare numeri e macchine […] dove gli animali sono solo carne, latte, uova, macchine per riprodursi di più e più in fretta […] dove il patrimonio genetico di piante e animali è territorio di manipolazione e brevetto»[1]. Esempi che dimostrano che possiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere.
Le interviste fatte poi anche ai ricercatori, studiosi ed esperti in campo scientifico hanno riconosciuto e legittimato queste pratiche e saperi, appartenenti da sempre alla comunità contadina, riconoscendone la validità e l’importanza per la salvaguardia dell’ecosistema e il rinnovamento della società, che non può prescindere da un consapevole rapporto con la terra e dalla salvaguardia della sua fertilità!
Questa ricerca sul campo di 4000 km, 26 tappe, 70 interviste, oggi è diventata un film-documentario Con i piedi per terra, che sta girando per festival nazionali e internazionali, cinema e rassegne.
Questo è stato l’inizio del percorso di Radici nel Cielo: un progetto di ricerca artistica che, partito attraverso il web e il videodocumentarismo, è arrivato in teatro, con uno spettacolo agri-culturale, portando l’esperienza diretta di quell’umanità che con la pratica propone un rinnovato rapporto con la terra a dialogare con scienza, filosofia, letteratura e poesia.
Con il teatro siamo andati a intervistare i nostri antenati, scrittori, poeti e artisti del passato che ci hanno rivelato il senso profondo che lega l’uomo alla terra, per aiutarci a meditare sulla sua fertilità e sui legami che dobbiamo ristabilire con lei: Leone Tolstoj, Maurice Maeterlimk, Jean Giono, Capo Seattle e altri ancora. Oggi continuiamo con lo studio dei contemporanei come Fritjof Capra, Stefano Mancuso, Carlo Rovelli, Arundhati Roy, Silvia Perez ecc.per proseguire un viaggio che vuole andare oltre!
Oltre la superficie delle cose, oltre le parvenze! Oltre quello sguardo spesso compiaciuto nell’ammirare l’eccellenza dei cibi ben confezionati, oltre le maniere degli chef stellati che preparano piccole porzioni di cibo incorniciate da enormi piatti stravaganti, oltre i confini dei nostri piccoli orizzonti rassicuranti! Oltre tutto questo c’è per esempio la necessità di provare a capire cosa sta accadendo alla terra dalla quale arriva il cibo che troviamo sugli scaffali e che finisce nei nostri piatti.
Si stima che nel mondo due miliardi di tonnellate di terre agricole vadano perse ogni anno a causa dell’industrializzazione della produzione agricola[2]. Produzione legate a monocolture che mirano a un rendimento sempre maggiore, creando distruzione, desertificazione, rottura degli equilibri ecologici.
L’industrializzazione del cibo, sfamando a basso prezzo le masse cittadine, con prodotti scadenti, impone un ribasso dei prezzi agricoli che aggrava l’esodo rurale. Le condizioni di vita di molti contadini nel mondo diventano sempre più disperate e insostenibili. Migliaia di loro ogni anno si suicidano[3].
La trasformazione dell’agricoltura contadina in agricoltura industriale oltre ad aumentare la specializzazione, la meccanizzazione, la chimicizzazione, e l’utilizzo della genetica, esonera il contadino dal trasformare i suoi prodotti in alimenti per un discorso di sicurezza alimentare. Contemporaneamente però, l’industria alimentare, presentata come garanzia di qualità e igiene, si approvvigiona di frutta e verdura coltivata con una chimica a monte fatta di pesticidi, erbicidi, fungicidi, concimi chimici; di carni, latte e derivati , che sono pieni di antibiotici, farmaci e virus generati dal modello intensivo di produzione agroindustriale; di una chimica a valle fatta di conservanti, coloranti, edulcoranti, stabilizzatori, sostanze antiossidanti, acidificanti, correttori di acidità, antiagglomeranti, antischiumogeni, emulsionanti ecc.. (la lista sarebbe troppo lunga da riportar tutta!)
Malformazioni, tumori, malattie della pelle, problemi respiratori di uomini donne e bambini, e ancora, anomalie congenite, aborti spontanei, sono tutte realtà drammaticamente associate all’utilizzo degli agrochimici, come viene testimoniato dal viaggio/reportage in Argentina di Pablo Piovano (fotografo). Agrochimici che oggi sono controllati da poche e grandi corporation, che hanno scelto la via della fusione per controllare e governare ancora di più questo settore di produzione così importante per l’agricoltura.
Parafrasando il nostro medico di campagna di Exilles, oggi il modello di agricoltura dominante, che fa fare profitti da capogiro alle multinazionali del cibo e della chimica nuoce gravemente alla salute e alla tutela dell’ambiente. Un modello che trova trai suoi sponsor anche istituzioni internazionali, come la BMI, il FMI e il WTO, che nelle parole dovrebbero lavorare per il progresso civile ed economico dell’umanità, ma che hanno spinto in passato, e lo fanno tutt’ora, sempre più agricoltori verso crescenti forme di monocolture.
Monocolture che riflettono un’idea monoculturale di progresso a senso unico che sta devastando l’uomo e la terra che lo ospita compromettendone la stessa vita.
Nel suo studio all’Università di Bologna, Claudio Porrini (entomologo) ci ha confermato che il problema oggi è dato dall’assunzione di visioni monoculturali, sicuramente super specializzate, ma che senza un metodo di confronto trasversale resteranno sempre riduttive e incomplete, rispetto a una complessità del vivente che di per sé richiede il confronto di una pluralità di punti di vista.
È urgente tornare a un pensiero organico, sistemico, un pensiero che sappia dialogare in maniera interdisciplinare e vada oltre i confini della settorialità, frutto di una separazione ben più profonda.
Come sostiene il filosofo Roberto Mancini nella sua Riflessione sulla necessità di trasformare l’economia «il problema principale del male è la separazione. Una società e una mentalità così ossessivamente puntate sul potere del denaro, in pratica identificato con la vita e con la condizione universale della vita, hanno costruito un’economia che uccide... Si tratta di un sistema di percezione del reale, di sé, degli altri e del mondo dove la distanza è maggiore della prossimità, dove la repulsione, l’indifferenza, la competizione e la persecuzione prevalgono sull’empatia, sulla solidarietà, sull’amicizia e sulla cooperazione... un rapporto nel quale la negazione del legame diventa la logica dominante». Continuo sintetizzando e parafrasando, ma senza tradire, il pensiero di Mancini, il quale afferma che nel sistema economico globale oggi vigente gli esseri umani sono ridotti a essere risorse, quando va bene, esuberi quando va male, oppure scarti nella peggior dei modi. La dignità umana, che in chiave interculturale ritroviamo nelle lunghe tradizioni delle sapienze antropologiche, viene negata e deformata nei suoi tratti costitutivi dall’homo-economicus che cade nella disumanizzazione.
Continuo citando Mancini: «Il termine etica nella sua radice allude al dovere di imparare ad abitare insieme senza distruggerci e senza distruggere il mondo. Etica è coabitazione del mondo»; e allora «se l’etica indica il compito di coabitare insieme il mondo senza distruggerci e senza distruggerlo allora il dovere dell’economia è quello di allestire le condizioni di questa coabitazione».
Cercando di indagare le motivazioni di questa separazione, ci siamo messi nuovamente in cammino per realizzare un nuovo spettacolo teatrale, dal titolo In attesa del giudizio, con cui porteremo a compimento il progetto di Radici nel cielo.
Partendo da un mito antico quello di Caino e Abele, da cinque ferite che dalla terra gridano al cielo, porteremo le multinazionali in giudizio chiamate a rispondere delle loro azioni. Uno spettacolo che va alla ricerca delle cause di un agire che sta lasciando dietro di sé devastazioni, ferite e morti e che chiede a tutti, non solo alle multinazionali, di rispondere alla domanda: «Caino, come sta tuo fratello?» E come in un processo ascolteremo l’accusa e la difesa, cercheremo di portare testimoni, di dare voce a chi non solo sostiene che un’alternativa è possibile, ma che già c’è chi si è messo all’opera senza aspettare il domani, fiducioso del fatto di «dover fare oggi il necessario, domani il possibile e dopodomani... l’impossibile»[4]!!!