Interventi & Interviste

05/09/2022 Roberto Ruozi

Uno sguardo (positivo) sul futuro delle banche italiane

Già da qualche tempo le banche italiane dimostrano una più chiara consapevolezza sul da farsi e sono finalmente tornate a lavorare con maggiore tranquillità. Si sono lasciate alle spalle buona parte dei loro problemi più gravi, che le avevano tormentate almeno per un decennio, come la qualità dell’attivo e specialmente dei prestiti, ottenendo una forte riduzione di quelli deteriorati, e la patrimonializzazione, che è stata rinforzata con aumenti di capitale e accantonamenti di utili. La situazione strutturale è quindi meno volatile e il sistema non sembra più distratto nemmeno da volontà/esigenze di concentrazione. Questo apre prospettive decisamente ottimistiche sul futuro delle nostre banche e sulla situazione economica del nostro paese.

La situazione economica del nostro paese è abbastanza confusa e rende difficili le previsioni sulla sua evoluzione anche riferite al breve periodo. A parte la questione energetica che peserà non poco sulla nostra economia – e che non si sa se e come potrà essere risolta, con tutte le conseguenze del caso – numerosi altri indicatori sembrano far pensare che si stia cominciando a rientrare nell’ambito di un modello di sviluppo che da anni era scomparso, senza peraltro essere stato sostituito da alternative valide. Gli indicatori nuovi e più importanti che caratterizzeranno tale modello sono l’inflazione, i tassi d’interesse ad altezza «normale», alcuni aspetti dell’occupazione e un ritorno a una crescita a ritmi non molto sostenuti ma probabilmente più duraturi in un contesto in cui, con tutti i problemi e le riserve del caso, il nostro sistema produttivo pare essere stato in buona parte ristrutturato per essere in grado di meglio affrontare la variabilità dei mercati interni e internazionali, oggetto di vere e proprie rivoluzioni ancora in corso. 

Questi scenari sembrano farci tornare entro modelli di sviluppo economico già noti e sperimentati anche con successo in un non lontanissimo passato e dovrebbero consentire decisioni più stabili e razionali sia ai produttori sia ai consumatori che opereranno all’interno di uno scenario di riferimento. Questo, seppure non perfetto, può essere considerato migliore rispetto a quello «straordinario» sperimentato più di recente che ha lasciato l’economia allo sbando più completo, anche per effetto di una serie di avvenimenti imprevisti e drammatici come la pandemia e la guerra in Ucraina. A completare il quadro degli elementi imprevisti si è aggiunta in Italia la crisi di governo e l’anticipazione delle elezioni, che non penso tuttavia potranno ostacolare un percorso economico virtuoso come quello prima accennato.

Da quanto detto credo si capisca che sono abbastanza ottimista sull’evoluzione dell’economia italiana nel futuro prossimo e mi chiedo anche che cosa possa accadere alle nostre banche, le quali fortunatamente da qualche tempo in qua mi sembra abbiano una più chiara consapevolezza sul da farsi e siano finalmente tornate a lavorare con maggiore tranquillità. Si sono lasciate alle spalle buona parte dei loro problemi più gravi, che le hanno tormentate almeno per un decennio, come la qualità dell’attivo e specialmente dei prestiti, ottenendo una forte riduzione di quelli deteriorati, e la patrimonializzazione, che è stata rinforzata con aumenti di capitale e accantonamenti di utili. Gli utili, pur leggermente aumentati sia per le banche significative sia per quelle minori, non hanno tuttavia ancora portato il rendimento del capitale bancario a livelli competitivi rispetto a quello dei potenziali investimenti finanziari alternativi. La valutazione borsistica delle banche quotate è perciò rimasta bassa, penalizzata anche dalla ridotta distribuzione di dividendi, che nel 2022 sono tornati seppure in misura non soddisfacente.

Anche sulla generale tendenza positiva del nostro sistema bancario sono abbastanza ottimista, pur rendendomi conto che previsioni in materia non sono facili. Fra i motivi – per taluni aspetti assai discutibili - del mio ottimismo rilevo che la stragrande maggioranza delle nostre banche ha preso piena coscienza dei propri problemi e che, in contemporanea, anche l’ambiente in cui operano ha accettato l’idea che alcuni provvedimenti strategici e operativi, sollevati da anni ma mai affrontati con la necessaria determinazione, specie proprio per remore ambientali, non possono più essere rinviati anche se hanno effetti e costi sociali immediati non semplici da digerire.

La situazione strutturale è quindi meno volatile e il sistema non sembra più distratto nemmeno da volontà/esigenze di concentrazione. In buona misura ciò che in proposito era da fare (o, meglio, che si è ritenuto di fare) è stato fatto e nuove potenziali operazioni del genere si possono ormai contare sulla punta delle dita di una mano. Del resto ricerche recenti hanno messo in evidenza che le economie di scala, le quali dovrebbero essere uno dei maggiori obiettivi della concentrazione bancaria, non esistono quando riguardano le banche grandi essendo presenti solo in quelle il cui attivo è inferiore a 500 milioni di euro e ciò ha contribuito a far accantonare un tema che per molti anni ha assillato e non sempre premiato le nostre maggiori banche.

Il già citato miglioramento della qualità del portafoglio prestiti – che si presume possa continuare nel tempo sia per la migliorata capacità tecnica delle banche sia per la meno pesante situazione del sistema produttivo cui i prestiti sono destinati – contribuirà certamente all’ulteriore miglioramento della redditività bancaria. Le banche hanno poi capito che l’importanza del cost/income ratio, già fortemente ridotto negli ultimi anni, è tornata al centro dell’attenzione per la gestione ordinaria. La riduzione e il controllo dei costi si sta del resto dimostrando ancora più importante dell’aumento dei ricavi ai fini del miglioramento del reddito aziendale. I ricavi potrebbero, tuttavia, tornare a svolgere un ruolo decisivo, specie se il livello dei tassi di interesse rimanesse più alto di quello sperimentato negli ultimi anni o addirittura continuasse a salire, ciò che attualmente è largamente atteso. È del resto noto che gli spread di norma aumentano quando il livello dei tassi cambia e, soprattutto, quando cresce e già quest’anno potrebbero essere determinanti ai fini del miglioramento della redditività bancaria.

Il fenomeno potrebbe cambiare anche i rapporti fra ricavi da interessi e ricavi da commissioni. Su questi ultimi le banche hanno fortemente puntato negli anni recenti anche cambiando parzialmente il loro modello di business. I rapporti in questione, tuttavia, alla luce di spread diversi dovranno essere riveduti ovviamente senza penalizzare le commissioni che stanno dando il loro importante contributo alla redditività delle banche e che potrebbero migliorare ancora se si verificasse una ripresa del mercato finanziario, ciò in verità prima o poi accadrà.

Rimane un ultimo tema, peraltro decisivo, nel panorama prima descritto. Alludo all’IT, sul quale è stato scritto molto e anche fatto molto purtroppo non sempre bene e con gran spreco di risorse. Anche qui il tempo si sta dimostrando galantuomo e ha indotto le banche, da un lato, ad aggiornare e a razionalizzare i loro sistemi (compresi i canali distributivi con tutto quello che ciò ha comportato sulla rete degli sportelli e sul numero del personale) che finora sono stati impostati e utilizzati in modo spesso non coordinato. La «produttività» dell’IT sta quindi aumentando e sta sollevando parecchio il conto economico delle banche migliori.

In conclusione, ciò che sta accadendo nel nostro sistema bancario non costituisce una grande novità dal punto di vista concettuale. Sui vari aspetti di questi accadimenti si è parlato per anni, peraltro con accordo quasi sempre unanime, ma non si è fatto molto, certamente non tutto quanto era necessario e non bene come avrebbe dovuto essere fatto. Ci sono forti motivi per giustificare tale comportamento subottimale e i risultati che ne sono conseguiti. La grande novità è che tale comportamento è cambiato piuttosto radicalmente sia per la spontanea volontà delle banche sia per la dinamica dei mercati in cui esse operano e degli operatori con i quali hanno a che fare. Le prospettive sono meglio delineate, i timori, le indecisioni e le distorsioni si stanno dileguando e lasciano spazio a determinazione, coerenza, capacità decisionale e sostegno dall’ambiente esterno. Buoni risultati sono già stati ottenuti. Il bello dovrebbe/potrebbe tuttavia ancora venire. Già nel breve termine le cose potrebbero migliorare, ma spazi per ulteriori miglioramenti ne rimarranno ancora a lungo e anche piuttosto grandi. Si spera perciò che il risveglio delle banche non sia solo un fatto temporaneo, ma ci si augura che possa diventare un nuovo elemento portante del loro modello di business.

 

 

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