Interventi & Interviste

10/11/2020 Roberto Ruozi

Uno sguardo d’insieme sul caso Wirecard

Il fallimento di Wirecard, società tedesca di tecnologie e servizi finanziari, dell’estate scorsa ha provocato reazioni immediate e dure del mondo finanziario, dei creditori, degli azionisti, delle autorità borsistiche e di quelle di vigilanza, nonché del mondo politico. A diversi mesi di distanza, l’argomento può essere affrontato con maggiore calma analizzando i molti soggetti coinvolti: dai responsabili aziendali ai revisori dei conti, falla BaFin alle autorità di vigilanza bancaria, passando per il mondo politico e la stampa.

Il fallimento di Wirecard l’estate scorsa ha creato veri e propri sconquassi nel sistema finanziario tedesco. Il suo scoppio inaspettato ha riguardato una fintech di grandissime dimensioni quotata alla Borsa di Francoforte e ha stupito il mondo soprattutto per ciò che l’ha determinato: una colossale frode che ha fatto sparire dalle casse sociali alcuni miliardi di euro. Le reazioni del mondo finanziario, dei creditori, degli azionisti, delle autorità borsistiche e di quelle di vigilanza, nonché del mondo politico, sono state immediate e dure. Come si può facilmente immaginare si è detto un po’ di tutto a proposito e a sproposito. Sono comunque ormai passati diversi mesi e l’argomento può essere analizzato con maggiore calma.

L’analisi può riguardare: a) l’organizzazione della frode e l’operato dei responsabili aziendali; b) l’attività dei revisori dei conti; c) l’azione della BaFin, cioè della Consob tedesca e quella del FREP, organismo deputato all’analisi e al controllo della governance e dei bilanci delle società quotate; d) l’atteggiamento di Deutsche Börse; e) quello delle autorità di vigilanza bancaria; f) il coinvolgimento del governo e della politica in generale; g) la funzione della stampa indipendente; h) le cose da fare per vedere se sia possibile che un evento del genere non si ripeta.

Quanto al primo punto, è chiaro che il fallimento non è stato casuale. La struttura aziendale e le ambizioni dei relativi responsabili erano infatti da tempo caratterizzate da un alto profilo di rischio e di scarsa trasparenza, premessa ideale per la creazione di un ambiente in cui la frode ha potuto essere compiuta nel migliore dei modi. Non si è trattato dunque di uno sfortunato incidente, ma di una catastrofe adeguatamente preparata. Rimane il dubbio sul perché di tutto, in quanto nessuno dei protagonisti sembra abbia tratto benefici dal fallimento. È quindi puntualmente accaduto che siano stati licenziali molti lavoratori, che i creditori non siano stati pagati, che gli azionisti abbiano perso tutto o quasi tutto il loro investimento, che i vertici aziendali siano finiti in carcere.

Sull’attività dei revisori contabili le critiche sono state feroci e non è escluso che qualche provvedimento possa essere adottato nei loro riguardi. Ci si chiede infatti perché essi non abbiano compreso la gravità della situazione di Wirecard e quali strumenti abbiano usato per controllare una galassia di società sparse nel mondo specialmente in Paesi noti per facilitare evasione fiscale, truffe, riciclaggi e altri simili reati. Come in tanti altri casi, il loro intervento è stato tardivo e quindi sostanzialmente inutile. Il problema di Wirecard, infatti, da questo punto di vista, non ha purtroppo rappresentato un’eccezione, ma ha confermato che l’attività delle società di revisione è troppo frequentemente insufficiente per raggiungere gli obiettivi che con la revisione normalmente dovrebbero essere perseguiti. L’importanza del tema va ben al di là del caso Wirecard e riguarda quindi la funzione e l ‘attività di tutte le società di revisione e, in particolare, delle big four, di cui ben due sono state coinvolte nel caso in esame. Non stupirebbe se il caso Wirecard provocasse una modificazione sostanziale oltre che formale della loro attività istituzionale.

Sotto accusa è finita anche BaFin, che ha come scopo proprio la vigilanza sui mercati finanziari e quindi anche sulle società quotate e non si è accorta di nulla, mantenendo fino all’ultimo Wirecard nel paniere delle trenta azioni più importanti del mercato tedesco. Non ha visto nulla perché non è stata capace di vedere o perché non disponeva degli strumenti adatti allo scopo? La risposta non è semplice, ma un piano predisposto dai Ministeri delle Finanze e della Giustizia tedeschi ha preannunciato un rafforzamento anche professionale della BaFin. Discorso simile è stato fatto per il FREP, che non si è accorto delle clamorose carenze della governance, dei bilanci e dell’attività dei revisori contabili di Wirecard.

Sulle responsabilità di BaFin e di FREP nelle vicende di Wirecard si è interessata anche l’ESMA, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, la quale ha pubblicato all’inizio di ottobre un corposo rapporto in argomento criticando vivamente l’attività delle due autorità e sottolineando la palese subordinazione della prima al potere politico, che invece sembrerebbe non aver coinvolto la seconda. In particolare, ha segnalato che esse avrebbero dovuto lavorare insieme, mentre non hanno mai collaborato.

Anche Deutsche Börse non ha fatto una bella figura pur non avendo responsabilità specifiche nella vigilanza sulle società quotate. Anch’essa sta comunque revisionando i suoi regolamenti riguardanti la quotazione e il miglioramento della qualità delle società incluse nell’indice Dax nel quale figurava anche Wirecard.

Il problema più delicato riguarda le autorità di vigilanza bancaria, che non sono mai state coinvolte nella questione perché Wirecard non era sottoposta al loro controllo in quanto considerata semplicemente una fintech e non un intermediario finanziario. Dal punto di vista formale sembra quindi che tali autorità non siano colpevoli. Da quello sostanziale ci si sta invece chiedendo se le cose debbano cambiare e se anche le fintech o almeno quelle aventi particolari dimensioni e particolari attività non debbano essere regolamentate al pari degli intermediari finanziari loro concorrenti. Anche a questo proposito il caso Wirecard non è molto originale riflettendo un problema riguardante le fintech in tutti i Paesi del mondo.

Anche la situazione del governo non è chiara. È indubbio che esso ha difeso l’operato di Wirecard come fosse un vero campione nazionale della finanza anche quando le notizie sulla sua precaria situazione erano ormai largamente diffuse. In proposito, si propone un problema già visto. Le forze governative conoscevano la situazione oppure no? L’opposizione sta attaccandole duramente ed è riuscita a far nominare una commissione parlamentare di inchiesta per far luce sulla frode e sulla sua gestione. Non si sa come andranno a finire le cose, ma è opinione condivisa che non si tratta solo di un’inchiesta specifica, ma di un’occasione per affrontare in termini più generali la situazione e lo sviluppo del sistema finanziario e bancario tedesco, fino a poco tempo fa elemento portante dell’economia del Paese e oggi punto debole su cui non si sa come e quanto contare.

Nel panorama suddetto è emerso un problema di carattere generale riguardate il ruolo della stampa indipendente, protagonista di primo piano nella vicenda di Wirecard. Innanzitutto, bisogna infatti ricordare che il Financial Times è stato il primo a sollevare dubbi sulla solidità finanziaria ed economica di Wirecard. Nessuno ha potuto contestare le sue affermazioni, che tuttavia hanno infastidito le autorità di vigilanza nazionali e specialmente BaFin, le quali hanno addirittura denunciato il giornale quasi per lesa maestà, avendo messo in discussione la reputazione del sistema finanziario tedesco. L’evoluzione delle vicende di Wirecard non solo hanno confermato le prime denunce del Financial Times, sconfessando l’atteggiamento delle autorità tedesche, finite a loro volta sotto accusa anche per insensato nazionalismo. Il giornale, tuttavia, non si è preoccupato più di tanto e ha continuato le sue indagini, che sono rimaste essenziali per capire che cosa sia accaduto. Nel caso ce ne fosse bisogno, la vicenda dimostra ancora una volta l’importanza della stampa indipendente nella scoperta e nella divulgazione dei principali fatti che succedono nel mondo.

L’ultimo punto dell’analisi riguarda ciò che si potrebbe/dovrebbe fare per cercare di evitare in futuro situazioni come quella qui esaminata. In proposito bisogna dire che pensare che non ci siano più frodi finanziare, è del tutto irrealistico, come la storia ha ampiamente dimostrato. Detto questo una maggiore responsabilità delle società di revisione e una più incisiva ed efficiente vigilanza, la quale andrebbe organizzata anche con una modificazione della natura delle grandi fintech, che non si vede perché debbano continuare ad essere trattate diversamente dagli intermediari finanziari, potrebbero ridurre le probabilità di frode. Non si dimentichi comunque che queste ultime sono mediamente costruite e gestite da persone più capaci, attrezzate, veloci e determinate ed efficienti delle autorità di vigilanza, i cui interventi sono quasi sempre in ritardo e avvengono quando i buoi sono già scappati dalla stalla. Cruciali nella questione rimangono quindi le caratteristiche e gli obiettivi degli autori delle frodi, su cui è purtroppo difficile agire. O essi condividono e mettono in pratica i normali principi dell’etica economica e finanziaria o si potrà fare ben poco. Non è una conclusione esaltante, ma è certamente realistica.

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