Interventi & Interviste
L’Unione bancaria europea: una proposta da discutere
Qualche settimana fa il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha pubblicato sul Financial Times un articolo in cui, partendo da un non-paper del suo ministero, sintetizzava il suo pensiero sull’Unione bancaria europea (UBE). L’articolo è stato, ed è tuttora, oggetto di grande interesse.
Come è noto, l’UBE venne decisa alcuni anni fa per creare un mercato bancario unico europeo basato su tre pilastri fondamentali: una vigilanza comune sulle banche; una normativa unica sulla risoluzione delle crisi bancarie; un’omogeneizzazione e un’integrazione delle norme sull’assicurazione dei depositi bancari. Al momento solo i due primi pilastri sono stati realizzati. L’uniformazione delle disposizioni nazionali in materia di assicurazione dei depositi e le regole della solidarietà fra i vari Paesi non sono invece ancora state neppure affrontate. Questo è avvenuto soprattutto perché la Germania, insieme ad alcuni Paesi nordici, vi si sono opposti temendo di essere chiamati a intervenire anche nelle crisi riguardanti altre aree con banche ritenute più deboli delle loro.
Il fatto che Scholz abbia ripreso l’argomento, mirando a risolvere i problemi dell’UBE, è importante anche se non si sa se sia stato sollecitato dal puro desiderio di completare l’UBE o piuttosto dalla constatazione di avere in casa sua un sistema di grandi e piccole banche con problemi niente affatto minori di quelli degli altri Paesi dell’Unione, che potrebbero averne bisogno.
Il pensiero di Scholz va comunque al di là della semplice considerazione del terzo pilastro dell’UBE e coinvolge tutta l’Unione Europea per il bene della quale ritiene opportuno adottare almeno i seguenti essenziali provvedimenti:
- una supervisione che assicuri un trattamento uguale per tutte le banche in crisi. Le attuali norme in materia riguardano infatti solo le grandi banche, mentre sarebbe opportuno che riguardassero anche quelle di dimensioni inferiori, eliminando gli effetti distorsivi della concorrenza che l’attuale sistema può creare;
- anche le definizioni di insolvenza bancaria, attualmente diverse nei singoli Paesi per le banche non significant, dovrebbero essere uniformate a quelle delle banche più grandi;
- il trattamento delle crisi di filiali di banche operanti in Paesi diversi da quello della loro sede legale dovrebbe essere uniformato a quello delle banche nazionali;
- occorrerebbe ridurre il rischio dei portafogli bancari, estendendo anche ai titoli governativi le norme sui rischi delle altre attività, imponendo quindi adeguati accantonamenti o svalutazioni quando fossero richiesti dal loro rischio, che varia da Paese a Paese;
- per ridurre il rischio delle suddette attività si potrebbe abbassare l’attuale ratio NPL / attività portandolo, per esempio, al 5 per cento del valore lordo e al 2,5 per cento del valore netto degli NPL;
- le regole sull’assicurazione dei depositi dovrebbero essere uguali in tutti i Paesi membri. Si potrebbe pure prevedere la costituzione di un fondo europeo, che svolga funzioni di riassicurazione dei depositi assicurati a livello nazionale e che intervenga quando i singoli fondi non fossero sufficientemente capienti. Gli Stati potrebbero infine intervenire a sostegno di tali depositanti quando anche il fondo europeo non fosse sufficiente.
Le proposte di Scholz sono teoricamente molto interessanti e in linea di massima vanno condivise. Pertanto sarebbe opportuno che esse fossero discusse e poi realizzate, sempre con le necessarie modificazioni suggerite dalle diverse autorità europee e nazionali coinvolte. A livello politico, purtroppo, le cose non sono del tutto condivise, specie perché inciderebbero in modo diverso sulle singole realtà nazionali. Il nostro ministro dell’Economia, per esempio, si è già dichiarato contrario all’eventuale norma che trattasse il rischio dei titoli statali come quello delle altre attività presenti nei portafogli delle banche. In effetti le nostre banche hanno volumi di titoli statali molto più ampi e per giunta con rischio maggiore e necessiterebbero quindi di accantonamenti o svalutazioni che inciderebbero più pesantemente che nelle banche degli altri Paesi sui patrimoni e sui connessi ratios di vigilanza. Bisogna tuttavia osservare che tali obiezioni sono legittime, ma non inficiano la validità della proposta di Scholz. Basterebbe infatti che il nostro debito pubblico rientrasse nella normalità ed esse verrebbero meno.
Nel complesso si deve comunque pensare che le proposte di Scholz, benché molto articolate e logiche, non saranno accolte né integralmente né in tempi brevi. Fra l’altro, oltre alle resistenze italiane e a quelle di alcuni Paesi nordici prima segnalate, anche nella stessa Germania il nuovo atteggiamento del ministro tedesco non è stato accolto con entusiasmo. Alcune sue proposte dovrebbero invece essere attuate in ogni caso perché l’importanza di una vera UBE è primaria per l’ordinato svolgimento sia dell’attività bancaria, sia di quelle economiche e finanziarie dell’Unione Europea. A questo proposito, Scholtz conclude il suo programma affermando che in ogni caso, anche se le proposte precedentemente esposte fossero realizzate, una vera UBE non ci sarebbe se non si eliminassero le possibilità di arbitraggio fra le banche dei diversi Paesi membri consentite dai loro diversi livelli di tassazione. Auspica quindi un loro allineamento, cosa sacrosanta, ma di cui si ritiene che le autorità nazionali ed europee non si occuperanno neppure in un orizzonte di medio periodo.
(Roberto Ruozi è Professore emerito dell'Università Bocconi)