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Il marketing indossato
La tecnologia dovrebbe migliorare la tua vita, non diventare la tua vita
(Harvey B. Mackay)
Fino a tempi recenti, la consegna e l’installazione del prodotto rappresentavano il terminale ultimo dell’azione di marketing d’impresa. La transazione e la cessione di questo al cliente produceva, in sostanza, l’uscita del bene dalle competenze del produttore e distributore, secondo il noto concetto del sell-out. L’attività dell’impresa si complementava quindi con la parte di supporto all’utilizzo, nei contesti B2B, e con quella relazionale, finalizzata a gestire l’operatività del prodotto presso la base installata e a intervenire per risolvere sue eventuali criticità. Il processo descritto aveva nel suo complesso l’obiettivo di conseguire un riscontro di giudizio positivo del cliente sulla proposizione di valore erogata e trasferita, e di sviluppare la fidelizzazione dello stesso, comprovata nei fatti al momento del riacquisto.
Il flusso informativo generato dalla transazione non nasceva da un’interfaccia diretta real time impresa-prodotto, bensì da una più semplice formula di passaggio di feedback e risposta agli stimoli interrogatori dell’impresa con riferimento ai vari momenti del processo commerciale, raccolti dapprima in forma qualitativa e destrutturata e successivamente attraverso la compilazione di form in modalità locale o online. Un’eccezione a quanto appena descritto è rappresentata dall’affacciarsi sul mercato della domotica, che permette un’interazione dinamica tra cose nell’ambito del paradigma dell’Internet of Things[1].
La domotica
Le applicazioni più note e diffuse nel mondo della domotica fanno riferimento a sistemi remoti di controllo di sicurezza di spazi abitativi, nonché alle possibilità di attivazione e controllo di impianti per il riscaldamento o la climatizzazione dell’appartamento, o, ancora, alla pre-attivazione di elettrodomestici.
Nel corso dell’ultimo triennio sono, tuttavia, entrate in commercio nuove tipologie di prodotti, inquadrate genericamente sotto la categoria-ombrello dei wearable device.
Questi apparati, nello specifico, hanno dato luogo a una rivoluzione, massiva in senso copernicano quanto diffusa, del processo di interazione e integrazione tra impresa e singolo cliente[2], rendendo tale legame pervasivo, calandolo nella vita reale quotidiana ed estendendone in misura esponenziale il ciclo di vita della relazione. I wearable vengono indossati dal cliente nel corso della sua normale attività quotidiana di lavoro o svago e permettono una produzione continua di dati sul comportamento del cliente, a partire dalle informazioni sui parametri vitali dell’individuo.
Da un punto di vista operativo, i wearable device sono, in sostanza, tutte quelle tecnologie portabili e indossabili, modellate in chiave di comfort attorno al corpo delle persone, che viene utilizzato come supporto naturale e attivatore del loro funzionamento. La rilevazione e il monitoraggio di segnali del corpo, anche di natura emozionale, permettono a queste tecnologie di diventare un valido assistente per i bisogni del cliente, ampliandone le capacità sensoriali.
La macrocategoria dei wearable device nasce in realtà nel corso dei primi anni Ottanta, con lo sviluppo del primo orologio calcolatore e dei supporti per il superamento del deficit di udito. Certamente, tuttavia, essa trae rinnovata linfa espansiva in tempi molto più vicini, grazie a nuovi piani di progettazione impostati verso la ricerca dell’ulteriore miniaturizzazione dei formati, abbinati all’aumento delle capacità di memoria periferica degli apparati e alla diversificazione delle categorie di impiego dei prodotti sviluppati. Ecco dunque che nella famiglia dei wearable si collocano oggi gli smartwatch, le smart band e gli activity tracker, ma anche calzini col sensore, anelli di fidanzamento bluetooth, reggiseni antistress; nei prossimi anni dovrebbe anche moltiplicarsi l’offerta di occhiali a realtà aumentata e di abiti smart.
Nonostante il settore sia ancora in una fase di primo sviluppo, già nel 2014 gli analisti di Morgan Stanley identificavano potenzialità di fatturato per l’industria per gli anni a venire per 1,6 trilioni di dollari[3], con una previsione di 70 milioni di dispositivi installati entro il 2018 per i soli activity tracker per il fitness[4]. In tale studio veniva descritto l’impatto sul mercato dei wearable device come capace di dar luogo a nuove categorie di offerta, distruggerne alcune delle attuali e stimolare una profonda accelerazione del cambiamento anche all’interno di quei settori a prima vista esclusi dal momento tecnologico puro[5].
In questo senso, si distinguono tre differenti categorie di wearable device capaci di elaborare dati, di dialogare con uno smart connected device (PC, smartphone o tablet), se non addirittura di connettersi autonomamente in rete senza appoggiarsi ad altri apparati:
- I complex accessories. Si tratta di dispositivi che richiedono la connessione a uno smartphone per poter essere pienamente operativi e funzionali rispetto ai desiderata del cliente. In questa categoria rientra gran parte delle smart band e degli activity tracker per il controllo dell’attività sportiva. I complex accessories consentono di raccogliere dati, immagazzinandoli in remoto e trasmettendoli, all’interno di fasce di comunicazione prefissate, allo smartphone. In alcuni casi, questi addirittura comunicano tramite display, necessitando comunque sempre di una connessione a uno smartphone o tablet, per poter salvare le attività ed elaborarle. Tali informazioni poi possono essere trasmesse in forma estesa a un’entità terza, quale l’impresa appunto, attraverso l’integrazione con l’app nativa del dispositivo, per procedere alla loro elaborazione e integrazione in nuovi contenuti mediali. Il flusso informativo potrà assumere anche carattere inverso, con la trasmissione da parte dell’impresa, tramite app o, nel prossimo futuro, direttamente sull’activity tracker, di messaggi e contenuti di carattere promo-pubblicitario, finalizzati a stimolare un comportamento d’acquisto da parte del cliente.
Gli activity tracker
La caratteristica differenziale degli activity tracker è proprio quella di funzionare quali unità di memoria locali, generalmente al polso dell’utilizzatore, per il rilevamento e la conservazione dei parametri vitali, a riposo o sotto stress fisico-sportivo, dell’individuo. Questa funzionalità locale si addice sia alla tipologia di utilizzo che ne fa il consumatore, sia alla valorizzazione del contenuto fisico-tecnico del prodotto all’interno di un prezzo comunque accessibile per una larga popolazione[6]. I più recenti activity tracker, in verità, incorporano anche soluzioni avanzate per l’interazione real-time con lo smartphone di riferimento nel trasferimento dei dati raccolti o, altresì, per la segnalazione sul proprio display di una chiamata telefonica in arrivo.
- Gli smart accessories. Si tratta di dispositivi con funzionalità tecniche più complesse rispetto ai precedenti, che prevedono tipicamente la possibilità di recepire e installare sull’apparato app o software di terze parti. Per il loro funzionamento omnicomprensivo[7] rimane comunque necessario un costante collegamento sincronizzato con uno smartphone o tablet, a sua volta connesso a internet. Esempi di questo tipo di prodotti sono rappresentati da molti tra i più noti smartwatch, nella fattispecie quelli non dotati di SIM card e subordinati tecnicamente al main device.
L’Apple Watch
Il prodotto più noto della categoria è oggi senza dubbio l’Apple Watch di Apple, il più diffuso smartwatch al mondo e, de facto, il category creator[8]. L’Apple Watch non è un telefono, né un apparato completamente autonomo, perché necessita, per ricevere e trasmettere contenuto, di essere costantemente allineato via bluetooth con un iPhone. Il wearable dell’azienda di Cupertino permette di svolgere una molteplicità di funzioni, a partire dalla risposta a chiamate telefoniche e a messaggistica tradizionale e Voip, fino alla memorizzazione delle carte d’imbarco per il volo aereo nell’app del vettore o la ricezione di comunicazioni afferenti al meteo, personalizzabili sulla base delle preferenze e dei settaggi del cliente[9].
- Gli smart wearables. Si tratta, a ben vedere, della categoria di prodotti con contenuti tecnologici più avanzati. Questi dispositivi, infatti, possono operare in piena autonomia, senza la necessità di fare ponte e appoggiarsi per le funzionalità complessive di apparato ad altri device, come nei casi precedenti. Attraverso una connessione nativa diretta promossa verso la rete, essi permettono di sviluppare numerose funzionalità integrate di nuova generazione. In questa categoria rientrano i famosi esempi di Google Glass o gli smartwatch dotati di SIM propria. Qui si insinueranno altresì le potenzialità degli strumenti per la riproduzione della realtà virtuale e aumentata, quali gli Oculus.
I Google Glass
Che fine hanno fatto i Google Glass? Descritti con grande enfasi solo due anni fa come la rivoluzione dell’entertainment per il consumatore, nonché collegati a numerose applicazioni di natura professionale, sono a oggi scomparsi dai radar del grande pubblico. Dopo una serie di attività di beta test non è chiaro se Google ne abbia deciso una rielaborazione prima della produzione su grandi numeri, oppure, silenziosamente, abbia deciso di accantonare il progetto.
L’Oculus
Nel caso degli strumenti di realtà aumentata, quali l’Oculus[10], la modalità di interazione strumento-individuo sarà impostata con il download di contenuti in realtà virtuale da parte del server dell’impresa fornitrice, che simuleranno un’esperienza avvincente di navigazione in luoghi, situazioni e ambienti straordinari.
Che cosa ci riserverà il futuro attraverso i wearable e quali ulteriori opportunità scaturiranno per i processi di marketing aziendali dal loro utilizzo?
Per ciò che concerne la prima domanda, è lecito attendersi che l’evoluzione logica dei wearable sarà verso forme di immagazzinamento e scambio dei metadati prodotti non solo in modalità biunivoca impresa-cliente, ma sempre più in chiave estesa peer-to-peer. Già oggi, nei fatti, i clienti possono condividere i dati di performance raccolti attraverso il loro wearable per mezzo delle piattaforme di social media. È facile prevedere un ulteriore passo nella forma di scambio uno-a-uno dei dati tra apparati di prossimità di singoli clienti. Ancora, alla struttura dei wearable verranno certamente estese le funzionalità di interazione con gli altri apparati digitali, quali quelle già presenti attraverso la beaconisation sugli smartphone.
Per le imprese, la grande possibilità è di superare l’affollamento dello strumento di emailing, nonché la sua frequente percezione di spamming, a favore di impulsi commerciali diretti verso il singolo cliente, inizialmente attraverso lo smartphone e in chiave futura direttamente sul wearable. A ben vedere, si tratterà di una forma di comunicazione davvero istantanea in termini di reazione rispetto alla condizione di dato prodotta.
È inoltre plausibile una sempre maggiore estensione del mondo wearable al contesto degli utilizzi professionali e industriali, con la possibilità di personalizzare anche in questi contesti una comunicazione mirata e una pronta risposta di fronte agli utilizzi prodotti.
Che cosa aspettate dunque per puntare sugli investimenti del wearable marketing?
Il braccialetto Myo
Myo è un innovativo braccialetto wearable realizzato nell’ambito di una start-up statunitense. Viene indossato al braccio e, attraverso la lettura della muscolatura, traduce i movimenti del corpo in input di comando per apparati hardware e software. Le applicazioni, inizialmente confinate al solo mondo del B2C, come nel caso del supporto al videogaming e alla realtà virtuale, sono oggi particolarmente estese al mondo professionale. Numerose, infatti, sono già risultate per esempio le declinazioni di utilizzo nell’ambiente della formazione universitaria, nel contesto delle operazioni chirurgiche e nella realizzazione di componentistica industriale miniaturizzata.
(David Jarach è docente di Marketing, Marketing Management-Advanced e Marketing dei Servizi di Trasporto presso l’Università Bocconi di Milano. È inoltre docente senior, Core Faculty, dell’Area Marketing di SDA Bocconi School of Management)
[1] La domotica rappresenta nello specifico la modalità di comunicazione tra cose all’interno di un ambiente delimitato quale la casa, mentre l’Internet of Things prefigura l’estensione del format ad altre tipologie di impieghi, soprattutto nell’ambito industriale e professionale.
[2] Si ricorda, invece, come la domotica preveda un’interazione cosa-cosa, stimolata ma non governata in forma biunivoca e real time dal cliente. Questi, in sostanza, si limita a una pianificazione delle attività delle macchine o, al più, a trasmettere un input univoco per l’attivazione dell’apparato.
[3] Nel 2014 sono stati circa 19 milioni i dispositivi di wearable technology venduti nel mondo, di cui oltre 600.000 in Italia.
[4] Secondo ABI Research (2013), i dispositivi tecnologici indossabili nel complesso raggiungeranno, entro il 2018, i 485 milioni di unità vendute.
[5] Fonte: www.wearabledevices.com.
[6] Tipicamente il prezzo finale al consumatore dei più sofisticati e complessi activity tracker insiste nell’intorno dei 150 euro.
[7] A ben vedere l’Apple Watch, quando non connesso via bluetooth con lo smartphone, perde gran parte delle sue funzionalità integrate, conservando solamente quella relativa all’indicazione dell’ora, come un normale orologio.
[8] Nei fatti, esistevano già prima del lancio dell’Apple Watch altri smartwatch, in prima istanza di produttori giapponesi e coreani. È da sottolineare, tuttavia, come gli stessi avessero prodotto un marginale riscontro di mercato. Apple non ha mai divulgato cifre precise sulle vendite degli Apple Watch: ciò farebbe pensare a un’accoglienza comunque non trionfale anche per il prodotto della casa californiana. è indubbio, tuttavia, che l’Apple Watch abbia risvegliato l’attenzione sulla categoria degli smartwatch, rinvigorendone l’attrattività presso il grande pubblico, a partire dai fan dei prodotti Apple.
[9] Ancora una volta, tali opzioni di personalizzazione di contenuto vengono selezionate dal cliente sul suo smartphone.
[10] Oculus è stata rilevata dal patron di Facebook, Mark Zuckerberg, che punta sulla realtà virtuale aumentata come il business del futuro.