Riconoscere e gestire il rischio paese
Presentiamo di seguito in anteprima un estratto del volume di Mario Antonio Vinzia e Riccardo Mazzoni Finanza per la crescita internazionale. La gestione dei rischi e il finanziamento delle attività all'estero, di prossima uscita nella collana Leading Management.
Nell’ambito della loro operatività con l’estero le aziende si espongono a una serie di rischi che non riguardano la specifica controparte con cui è stata conclusa un’operazione commerciale o finanziaria, ma che sono collegati al paese in cui essa risiede e che possono mettere a repentaglio l’economicità dell’operazione stessa.
L’insieme di questi rischi configura il rischio paese o country risk. Si tratta di un concetto molto ampio, per il quale non esiste ancora una disciplina unitaria e che può essere definito come il complesso dei rischi che emergono nel momento in cui si effettua un investimento in un paese estero, prevalentemente imputabili alle differenze di tipo politico, economico e sociale esistenti tra il paese originario dell’investitore e il paese in cui viene effettuato l’investimento. In altre parole il rischio paese ha una natura multidimensionale e riguarda tutte le fonti di potenziale difficoltà che non emergerebbero operando nel mercato domestico. Meldrum D.H. (2000), partendo da questa ampia definizione, individua sei categorie di rischio paese:
1. rischio sovrano (sovereign risk) che riguarda la capacità (ability to pay) o la volontà (willingness to pay) di governi nazionali, banche pubbliche o enti pubblici nazionali di onorare impegni contratti in relazione a operazioni finanziarie e/o commerciali. Si tratta quindi del rischio a cui ci espone in un’attività commerciale o finanziaria avente come controparte esclusiva il governo o altri enti, istituzioni o imprese pubbliche di un paese straniero. In genere il debitore sovrano è considerato il miglior rischio del paese, poiché oltre a battere moneta uno stato può attraverso la leva fiscale o altre manovre economiche recuperare forzosamente i fondi necessari al rimborso dei suoi debiti. In realtà non è sempre così, dato che può accadere che un’entità non sovrana (per esempio una corporate) possa essere giudicata meno rischiosa dello stato in cui risiede. Il sovereign risk quindi riguarda la possibilità che un debitore sovrano non sia in grado o non intenda rispettare gli obblighi contratti con una controparte estera, mentre il country risk è un concetto ben più ampio e riguarda la probabilità che le autorità di un paese non siano in grado di controllare le condizioni economiche, politiche e sociali del loro paese al punto da pregiudicare la capacità o volontà di un debitore locale, non solo sovrano, di rispettare gli impegni presi con una controparte straniera.
Pertanto Meldrum individua le seguenti ulteriori tipologie di rischio paese:
2. rischio economico, che riguarda fattori quali la crescita/decrescita economica, il calo delle esportazioni e/o il disavanzo commerciale, lo stock di indebitamento, la capacità residua di indebitamento e/o l’adeguatezza delle risorse valutarie, il tasso d’inflazione ecc. Tali rischi possono essere oggetto di analisi previsionali sulla base di un approccio macroeconomico;
3. rischio politico, che si riferisce a eventi di natura non economica (restrizioni al commercio estero, espropriazioni e/o nazionalizzazioni, capacità di formulare, implementare e far rispettare il diritto, burocrazia e/o corruzione, livello di democrazia e grado di rappresentazione delle minoranze, grado di sperequazione e iniquità sociale ecc.). Tali rischi sono meno facilmente prevedibili in quanto si riferiscono soprattutto all’ambiente legale e sociale; la loro valutazione pertanto assume necessariamente connotati di soggettività;
4. rischio di trasferimento, che concerne la sicurezza del sistema bancario e la sua indipendenza dal controllo del governo, la possibilità che le autorità monetarie del paese possano introdurre restrizioni ai movimenti di capitale, alla convertibilità della valuta locale, al rimpatrio di dividendi e/o profitti, all’introduzione di oneri (per esempio fiscali) in sede di trasferimento di mezzi finanziari all’estero;
5. rischio di cambio, che riguarda la possibilità che variazioni delle parità valutarie fra la moneta del paese e quella dell’operatore straniero possano deprezzare il valore di attività detenute nel paese estero o comunque ridurre il valore delle esportazioni. Tale effetto può essere conseguito anche per via della decisione delle autorità monetarie del paese di cambiare regime valutario, per esempio abbandonando un sistema a cambi fissi a beneficio di un sistema a cambi variabili secondo il mercato;
6. rischio di posizione, che si riferisce all’ubicazione geografica-territoriale del paese e quindi al fatto che lo stesso possa subire più o meno il contagio
dei paesi limitrofi in cui potrebbero esservi situazioni di conflittualità interne o esterne, situazioni di iniquità sociale e povertà foriere
di disordini sociali in misura tale da influenzare il paese.
Il rischio paese non impatta allo stesso modo su operatori economici diversi e la tassonomia proposta da Meldrum fa unicamente riferimento ad attività quali gli investimenti industriali nel settore privato, gli investimenti in attività finanziarie a breve termine e i prestiti a breve e medio-lungo termine. Non vi è quindi un focus specifico sulle esportazioni e di conseguenza sulle transazioni commerciali di operatori nazionali con clienti esteri che, anch’esse, possono subire il rischio paese.
Quest’ultimo, infatti, incide in modo diverso a seconda della tipologia di operazione posta in essere, dato che:
• un esportatore è tipicamente esposto al rischio di non essere pagato o di essere pagato in una valuta non accettabile e la portata della sua esposizione dipende dalla tipologia di transazione commerciale, ossia se si tratta di:
– vendita di beni e/o servizi, nel qual caso l’operatore nazionale è esposto al rischio di subire restrizioni valutarie o altre imposizioni tali da non consentire l’incasso dei suoi crediti nella valuta contrattualmente prevista a seguito della prestazione resa;
– realizzazione di progetti, nel qual caso ai rischi citati al precedente punto si possono aggiungere quelli relativi alla possibilità di subire la revoca della commessa mentre è in produzione o l’indebita escussione delle fideiussioni a garanzia della buona esecuzione dei lavori o ancora la confisca di beni temporaneamente esportati per eseguire i lavori di costruzione;
• un investitore, inteso come entità domestica che realizza un proprio investimento industriale in un paese estero, è esposto a ulteriori e diverse tipologie di rischio quali la possibilità di subire espropriazioni e/o nazionalizzazioni, modifiche legislative che compromettono il diritto di proprietà o il controllo e la disponibilità dei propri asset o che introducono restrizioni sui capitali al punto da rendere difficile il rimpatrio dividendi, atti di sabotaggio e disordini civili che causano blocchi produttivio perdite degli asset posseduti ecc.
Le singole componenti del rischio paese vanno quindi lette in relazione al tipo di operatore, e dell’attività posta in essere; in base alle possibili combinazioni sono disponibili diversi strumenti di mitigazione del rischio.
Per quanto riguarda invece la parte di rischio che non può essere eliminata, occorre cercare di assicurarsi una corretta remunerazione per il rischio assunto.
Ma prima di tutto occorre esaminare le principali fonti informative utili per valutare e monitorare nel tempo l’entità del rischio paese in relazione agli investimenti esteri e al commercio internazionale.