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Conflitti di campo
Göteborg, autunno 2016. La principale fiera del libro dei Paesi del Nord Europa, che celebra i 250 anni della legge costituzionale svedese sulla libertà di stampa, la prima al mondo, è oggetto di un‘incredibile attenzione mediatica per aver ammesso fra gli espositori una casa editrice che pubblica una testata di estrema destra. Il dibattito sui media tradizionali e sui social si sviluppa per oltre 15 mesi, durante i quali circa 12.000 articoli vengono pubblicati da media di tutti i tipi e più di 18.000 tweet vengono dedicati al tema. In questo dibattito pubblico, l’episodio della fiera del libro viene collegato e diventa simbolo di altri cambiamenti sociali importanti, come la crescente legittimità e normalizzazione dei movimenti nazionalisti di estrema destra in Europa, e nello specifico dei Democratici Svedesi, partito populista svedese che alle elezioni del 2019 ha ricevuto il 17 per cento dei voti. Intanto, l’ente organizzatore della fiera del libro – una società privata – avvia un lungo e profondo processo interno di discussione e di definizione dei principi da rispettare per gli espositori e dei valori in cui l’ente organizzatore crede. Questo diventa anche un processo di riflessione e di definizione collettiva dell’identità della fiera e dei suoi confini. Nei 15 mesi di intenso dibattito pubblico, che coinvolge due edizioni della manifestazione 2016 e 2017, la fiera del libro si trasforma da momento istituzionale di riferimento per la filiera editoriale per presentare, discutere e vendere libri e diritti nella principale occasione in cui discutere sulla libertà di espressione e sui suoi limiti nelle società democratiche contemporanee, con particolare riferimento alla crescita dei movimenti di estrema destra. Gli organi di governo della fiera, che è organizzata da una società privata, si trovano improvvisamente coinvolti in un ambito definito da attori, regole del gioco e strumenti di legittimazione completamente diversi rispetto a quelli su cui avevano pazientemente lavorato per anni. Intanto la fiera con le sue consuete attività e i suoi consueti attori deve andare avanti. A novembre del 2017, la fiera annuncia che l’editore di estrema destra in questione non sarà ammesso alle prossime edizioni.
Torino, primavera 2019. Come da tradizione, nella seconda settimana di maggio si inaugura il Salone del Libro di Torino, la principale fiera del libro in Italia. Per gli organizzatori, l’edizione 2019 segue una fase «faticosa» legata alla decisione della principale associazione di categoria (l’AIE) di realizzare nei due anni precedenti una fiera a Milano (Tempo di Libri) che nel 2019 non si terrà. E quindi il Salone di Torino 2019 si presenta come un’edizione particolarmente inclusiva, coinvolge le diverse associazioni di categoria, è progettata con particolare cura. In cartellone l’intervento, il giorno di apertura, di Halina Birenbaum, una scrittrice polacca sopravvissuta ai campi di sterminio. Una settimana prima dell’inaugurazione, circola la notizia sui social media che Altaforte, una piccola casa editrice vicina a CasaPound, presenterà al Salone un libro intervista con Matteo Salvini scritto da una giornalista. Immediatamente si scatena il dibattito mediatico sull’opportunità dell’ammissione di Altaforte al Salone e si creano fazioni opposte – #iovadoatorino e #iononvadoatorino – che si scontrano sul significato della partecipazione e della non partecipazione individuale e collettiva alla manifestazione. In mezzo alle opposte fazioni e in una bolla mediatica sempre più grande, articolata e rumorosa, in cui si mescolano folclore, propaganda, satira, informazione ci sono due attori importanti: l’ente gestore – che ha una governance molto complessa, che coinvolge Comune, Regione, MIBAC, diverse fondazioni bancarie, associazioni per la promozione della lettura, e sponsor privati – chiamato a prendere posizione; e la società civile che si interroga con sentimenti alternanti sul paradosso della tolleranza: è facile essere tolleranti quando si ha fiducia nella tolleranza dell’altro; fare cultura significa prender posizione, ma rispetto a che cosa? E fino a che punto leggi e procedure regolano la sostanza delle relazioni civili? Non si può regolare la fiducia. Alla fine la scelta di estromettere la casa editrice dal Salone, con gli inevitabili strascichi giudiziari, partirà dalla decisione di prendere posizione fra parti in conflitto (la casa editrice legittimamente presente al salone vs l’ospite palesemente vittima del pensiero e della prassi sostenuti dalla casa editrice), scegliendone una, e assumendosi quindi il rischio di perdere in giudizio per il mancato rispetto di un contratto.
Da una prima e preliminare analisi, l’esplosione dei due casi sembra incredibilmente simile, anche se la risposta degli enti gestori è stata diversa nei tempi e nella sostanza. Quello che ci sembra importante rilevare ed evidenziare qui non è tanto la giustizia di una o dell’altra scelta fra due fazioni opposte del dibattito pubblico, quanto alcune dinamiche di trasformazione contemporanea di manifestazioni come le fiere del libro, che ci sembrano rilevanti e potenzialmente attuali per altri eventi e per altri settori sociali. In questi due casi, la crescente mediatizzazione della nostra società, che influenza nella sostanza le nostre pratiche quotidiane, ha contribuito a trasformare eventi temporanei di settore in eventi simbolici al centro di un dibattito più ampio e complesso rispetto a quello che si crea attorno alle transazioni di scambio economico della filiera di riferimento. I media, tradizionali e sociali, giocano un ruolo fondamentale nell’orientare il dibattito e dunque formare significati su un certo tema, hanno le loro pratiche e i loro tempi. Lo studio del caso di Göteborg[1] dimostra come il dibattito sulla libertà d’espressione e i suoi limiti, sviluppato e sostenuto dai e attraverso i media, si sia appropriato dell’esistente campo di scambio[2] – quello della filiera editoriale – e l’abbia dirottato verso un nuovo ruolo, nuovi attori, nuove regole, almeno durante un certo intervallo di tempo. Dopo questo periodo, quando il valore simbolico dello specifico evento nel dibattito sulla libertà di espressione o su fascismo contro antifascismo si esaurisce, la discussione si placa e il campo discorsivo costruito su questo tema troverà probabilmente linfa vitale altrove, magari dirottando un altro campo di scambio.
Manifestazioni culturali come le fiere del libro si prestano particolarmente, per la loro natura, per dirottamenti di questo genere. Come altri eventi culturali, si configurano come occasioni commerciali di compravendita e promozione di libri e diritti, ma anche come momenti di scambio culturale per operatori (attraverso incontri professionali) e per il pubblico ampio. Sono manifestazioni in cui la cultura ha un valore commerciale e il commercio (di libri ed altro) ha un valore culturale, e in cui cultura e commercio non si pongono in semplici relazioni di opposizione, bensì in relazioni molto più complesse e fuori dal controllo degli enti gestori, come i due casi dimostrano. È bene saperlo. Ed essere preparati.
(Paola Dubini è Professoressa di Economia Aziendale presso l’Università Bocconi e Ricercatrice ASK Bocconi
Elena Raviola è Professoressa di Business e Design all'Accademia di Design, presso l'Università di Göteborg, Svezia)
[1] E. Raviola et al., When the right-wing enters our living room: Contesting and shifting fields at the Gothenburg Book Fair, Paper to be presented at EGOS 2019, Edinburgh.
[2] Sulla teoria istituzionale dei campi organizzativi si veda C. Zietsma et al., «Field or fields? Building the scaffolding for cumulation of research on institutional fields», Academy of Management Annals, 11(1), 2017, pp. 391-450.