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Claudio Zara, Stefano Pogutz

Quale sviluppo sostenibile

Anticipiamo di seguito l'Introduzione di Claudio Zara e Stefano Pogutz al dossier "Verso l'economia circolare" che verrĂ  pubblicato sul n. 5-6/2018 di Economia & Management.

Con l’ingresso nel terzo millennio la comunità scientifica internazionale ha provato a comunicare con forza la necessità di ripensare il nostro modello di crescita per affrontare le grandi sfide sociali e la crisi ambientale che sta attraversando il pianeta. Il tasso di utilizzo delle risorse naturali è ampiamente superiore a quello di rigenerazione e diversi parametri che misurano lo stato di salute del pianeta appaiono ormai compromessi; tra questi, lo stato del clima, l’acidificazione degli oceani, la presenza di ozono nella stratosfera, l’impiego di acqua dolce. Il superamento di valori limite, detti planetary boundaries (1), comporta l’insorgere di rischi legati alla perdita di resilienza del sistema Terra. Le conseguenze di questo processo sono ancora difficili da prevedere, ma è chiaro che senza un rapido cambio di rotta l’umanità rischia seriamente di compromettere il proprio livello di benessere già dal prossimo decennio. Il nuovo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (2) conferma che la situazione in cui ci troviamo oggi è senza precedenti nella storia dell’umanità, e che il superamento della soglia di 1,5°C di temperatura porterebbe a cambiamenti irreversibili nello stato del pianeta. In sintesi, il capitale naturale è diventato una risorsa strutturalmente scarsa, e – purtroppo – non sostituibile. Non abbiamo a disposizione un Plan B.

Lo sviluppo sostenibile

In realtà, il tema dello sviluppo sostenibile non è nuovo. Da oltre 25 anni organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite, la World Bank e l’OECD, e policy maker influenti come l’Unione Europea hanno puntato l’attenzione sulla necessità di modificare i nostri modelli di produzione e consumo, avendo come obiettivo ultimo quello di proteggere la funzionalità degli ecosistemi naturali e di garantire una maggiore equità infra- e inter-generazionale. Il concetto di sviluppo sostenibile è normalmente associato alla Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite, nota al pubblico come «summit di Rio», tenutasi nell’ormai lontano giugno del 1992, a cui parteciparono oltre 170 governi e circa 17.000 persone. La necessità di modificare in modo profondo il nostro modello di sviluppo, visti i limitati risultati delle azioni sin qui intraprese dal mondo politico, delle imprese e della finanza, ha reso necessario definire e promuovere una nuova agenda per il governo del pianeta.

Il nuovo quadro di riferimento, approvato nel settembre del 2015 dai 193 Paesi dell’ONU, propone un programma di azione internazionale fondato su 17 obiettivi – detti in inglese Sustainable Development Goals (SDG), suddivisi in 169 target e in oltre 240 indicatori. Il nuovo piano per il rilancio della sostenibilità punta a coinvolgere tutte le componenti della società nella definizione di una strategia globale e nell’implementazione di una serie di iniziative concrete, dirette a raggiungere i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile. In particolare, l’Agenda 2030, pur rivolgendosi a diverse categorie quali istituzioni, società civile e singoli cittadini, vuole promuovere una spinta innovativa da parte della comunità delle imprese e della finanza. I nuovi SDG riconoscono a questi soggetti un ruolo chiave nella guida al cambiamento mediante lo sviluppo dell’innovazione, di nuovi modelli di business più sostenibili, di nuove logiche di investimento e di partnership con gli altri attori (ong, ricerca, istituzioni).

L’economia circolare

In questo quadro si inserisce il tema oggetto del dossier di questo numero di Economia & Management: l’economia circolare (di seguito, EC). Un obiettivo fondamentale per un cambio di rotta verso una maggiore sostenibilità ambientale, sociale ed economica è senza dubbio quello di modificare in modo sostanziale i nostri modelli di produzione e di consumo. Questa trasformazione è formalizzata nel testo del SGD n. 12, che recita «Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo», ma è rintracciabile anche in molti altri SDG come il n. 9 (Industry, Innovation and Infrastructure), il n. 7 (Affordable and Clean Energy), e il n. 8 (Decent Work and Economic Growth). Ma cosa significa esattamente modelli di produzione e consumo sostenibili?

In primo luogo, è necessario aumentare l’efficienza nella produttività delle risorse e dell’energia, fare di più con meno, usare meno capitale naturale per unità di valore generato, recuperare e riciclare gli scarti e i rifiuti. Inoltre, occorre pensare a soluzioni che siano economicamente e tecnologicamente praticabili, che generino utilità sociale per i lavoratori, che siano replicabili e scalabili.

Da ultimo, nel SDG n. 12 si fa riferimento sia alla fase di produzione di beni e servizi, sia a quella di consumo. Da un lato, ciò significa ripensare la sostenibilità delle filiere di produzione, in modo da minimizzare tutti gli impatti generati e le conseguenze sui sistemi socio-ecologici. Dall’altro, l’attenzione si focalizza sia sul prodotto/servizio nella fase di utilizzo e nel post-consumo, sia sul ruolo del cittadino-consumatore, che diventa un attore fondamentale per garantire il recupero delle risorse e una maggiore sostenibilità sociale.

In altri termini, con l’SDG n. 12 le Nazioni Unite aprono in maniera evidente a una messa in discussione del nostro sistema socio-economico, sin qui sviluppato e consolidato secondo una logica strettamente lineare, in cui le risorse sono ipotizzate infinite e a basso costo e dove i sistemi socio-ecologici sono in grado di assorbire i nostri inquinanti in maniera illimitata. La soluzione proposta è quella di un modello circolare, in cui l’attenzione alle inefficienze, alla scarsità del bene ambiente e alle iniquità sociali diventa parte della logica di progettazione dei prodotti/servizi, e in cui le filiere di produzione e consumo vengono riprogettate in modo da chiudere i percorsi delle materie prime, rendendo i rifiuti e gli scarti nuove risorse da valorizzare in altre catene del valore.

Le radici del concetto

L’idea dell’economia circolare ha radici profonde in quello che viene chiamato pensiero «ecologico» e nella moderna ecologia. Già negli anni Sessanta studiosi come Kenneth Boulding (3) e Nicholas Georgescu-Roegen (4) avevano sviluppato l’idea di un’economia come sistema chiuso, diversamente dall’approccio neo-classico che si basa sull’ipotesi di un sistema aperto in cui le risorse sono abbondanti e sostituibili. Entrambi, partendo da concetti quali la termodinamica e le teorie sistemiche, avevano messo in discussione il paradigma della crescita illimitata introducendo l’idea di limite all’utilizzo di capitale naturale.

In particolare Boulding, in un articolo dal titolo «The Economics of the Coming Spaceship Earth», aveva anticipato i fondamenti dell’economia circolare, introducendo la metafora del cowboy e dell’astronauta. L’economia del cowboy è aperta, lineare, e si basa sul presupposto dell’infinita disponibilità di risorse. Il cowboy si sposta nelle praterie con le sue mandrie, utilizzando i servizi degli ecosistemi, senza preoccuparsi degli impatti generati. L’abbondanza di risorse permette al cowboy di vivere in modo «romantico» e di non pensare agli effetti delle proprie azioni. Diversamente, la nostra economia è oggi come quella dell’astronauta, e il pianeta Terra è la nostra navicella spaziale. Ogni azione deve essere attentamente progettata in quanto, come in un’astronave, le risorse sono limitate e l’inquinamento retroagisce sul nostro stato. L’economia dell’astronauta è un’economia chiusa in cui i processi di produzione e consumo devono diventare circolari, minimizzando gli scarti e valorizzando al meglio le risorse.

Un altro contributo storico al concetto di economia circolare fu quello dato dal biologo americano Barry Commoner, che nel 1971 scrisse un volume intitolato The Closing Circle in cui contrapponeva la logica dei processi naturali, che funzionano con cicli chiusi (il ciclo del carbonio, il ciclo dell’acqua, il ciclo dell’ossigeno), a quella dell’economia e dei processi industriali e di consumo, lineari e aperti (5). L’introduzione di sostanze quali le materie plastiche, gli insetticidi, i solventi chimici o il largo impego dei combustibili fossili, estranei ai cicli naturali, hanno progressivamente alterato la dinamica dei processi del nostro pianeta, con effetti sulla resilienza ecologica senza precedenti.

La metafora di Boulding, l’approccio sistemico di Georgescu-Roegen e la visione ciclica di Commoner gettarono le basi per il concetto di economia circolare, ispirando gli economisti ambientali David Pearce e Kerry Turner, che nel 1989 lo formalizzarono compiutamente nel bestseller Economics of Natural Resources and the Environment (6), ma influenzarono anche gli studi di altri autori quali Robert Frosh and Nicholas Gallopulos (7) e di Robert Ayres, che sul finire degli anni Ottanta e negli anni Novanta elaborarono il concetto di ecologia industriale e quello di simbiosi industriale.

L’economia circolare oggi

Da allora sono passati molti anni, lo stato ambientale del pianeta è ulteriormente peggiorato come effetto della crescente pressione antropica, ma è anche emersa la consapevolezza di essere arbitri del nostro destino. L’EC propone un nuovo paradigma per ri-progettare la nostra società e la nostra economia, riconoscendo l’interdipendenza tra economia, società e ambiente e costruendo proprio su questa interdipendenza il nostro futuro. Ciò significa intraprendere un percorso tutt’altro che semplice, che ci impone un profondo cambiamento orientato a innovare il design e la progettazione dei prodotti, come pure i modelli di produzione e di consumo oggi dominanti, per cercare di chiudere quel cerchio alla base dei cicli della natura, che abbiamo spezzato.

Affinché l’EC si possa tradurre da modello economico a business practice (pratica di business) è però necessario un altrettanto importante lavoro di concettualizzazione da parte delle discipline economico-manageriali, l’ambito in cui anche E&M si muove. L’osservazione della letteratura denota un’ancora insufficiente presenza del pensiero manageriale nel dibattito. Su questo punto il recente lavoro di Peter Lacy e di Jacob Rutqvist (8) ha l’indubbio pregio di portare un contributo di individuazione e di formalizzazione delle attività necessarie da introdurre all’interno della catena del valore delle imprese per modificarla da lineare a circolare, come nel caso della reverse logistic e del remanufacturing, e della conseguente proposta di nuovi modelli di business che permettano di implementare delle pratiche competitive e redditizie. Molto deve essere ancora fatto e scritto sulle condizioni di contesto che possano favorire la transizione verso il paradigma economico circolare. Implicando l’EC un approccio sistemico, è fondamentale che tutti gli elementi abilitanti siano attivati. Tra di essi l’innovazione tecnologica, l’innovazione manageriale, i già citati modelli di consumo e la finanza. Questi temi, e alcuni di essi in particolare, qual è il caso del rapporto tra l’EC e il capitale necessario per finanziare la transizione, rappresentano altrettanti campi di frontiera su cui è auspicabile che la ricerca scientifica aziendalistica si possa orientare nei prossimi anni al fine di offrire un contributo fattivo di orientamento dei processi di cambiamento che dovranno affrontare buona parte dell’economia e, più in particolare, alcuni settori di grandissima rilevanza quali l’energia, la chimica, i trasporti, l’agricolo e alimentare, il tessile, il packaging e le costruzioni.

Il dossier

In questo ambito rientra la proposta ai lettori di questo dossier, che vuole iniziare a dare una prima risposta ad alcuni dei quesiti che girano intorno al tema dell’EC.

Il primo contributo, a cura di Ellen MacArthur Foundation, affronta il tema di quale sia la definizione di EC con prevalente orientamento al business e ai sistemi economici. Ciò che appare fondamentale sottolineare è che l’EC è un vero e proprio paradigma sistemico che pone l’economia al centro; facendo economia in modo efficiente, resiliente, ristorativo e innovativo è possibile fare impresa meglio, nel rispetto del nostro ecosistema e del benessere sociale.

L’articolo di Luigi Ruggerone, partendo da un modello econometrico volto a rappresentare i fattori di produttività del lavoro nelle economie in transizione, ragiona su quali siano le condizioni alla base di una transizione di successo per un sistema economico. L’indicazione è quella che la transizione non è necessariamente destinata al successo ma, al contrario, il nuovo paradigma economico deve favorire condizioni di redditività tali da attrarre i capitali finanziari necessari per sostenere gli investimenti e favorire il riassorbimento dell’occupazione. Questo si consegue anche attraverso una maggiore produttività del lavoro nell’economia circolare rispetto a quella del modello lineare.

Poiché l’economia si muove all’interno di un framework di policy, è apparso opportuno offrire una rassegna «ragionata» delle principali politiche finora avviate in tema di EC. Marco Frey e Stefano Pogutz sviluppano un’analisi comparata internazionale, con uno specifico focus sulla UE, al fine di proporre delle chiavi di lettura degli orientamenti che stanno seguendo i policy maker delle principali aree geopolitiche per spingere il sistema socio-economico verso la chiusura dei cicli di produzione e di consumo.

Il passaggio dall’approccio macroeconomico e delle politiche regolamentari a quello dei settori e delle imprese è affrontato nel contributo di Goffredo Amodio, Aldo Pozzoli e Hebrienne Argenio. Gli autori argomentano che la transizione rappresenta una concreta opportunità di business per l’economia italiana in generale, e per le nostre imprese in particolare, e che fare impresa in modo circolare è già oggi una realtà sufficientemente sviluppata da consentire di codificare cinque tipologie di modelli di business circolari e innovativi.

L’articolo di Amodio e colleghi apre la strada a una serie di tre contributi che entrano nel dettaglio di alcune delle implicazioni organizzative per le imprese che avviano la trasformazione circolare. Questi lavori riguardano, per esempio, la progettazione dei prodotti, l’approvvigionamento, la logistica, la relazione da sviluppare con il mercato dei consumatori. Nel primo Fabio Iraldo e Francesco Perrini introducono al lettore la prospettiva del Life Cycle Thinking e lo strumento del Life Cycle Assessment (LCA) come approccio per misurare, già in fase di design del prodotto, il suo grado di circolarità e i carichi di utilizzo di materiali e di energia che la sua realizzazione implica.

Nel successivo articolo Alberto Grando affronta il tema del design dei prodotti, che è una delle attività chiave dell’implementazione pratica dei concetti di circolarità. I prodotti devono essere progettati fin dall’origine per cercare di aumentare il livello di riciclo e di riutilizzo dei materiali e consentire la sostituzione di materie prime finite e tossico-nocive con materie prime rigenerabili e biologiche. La capacità di mantenere le risorse nell’economia richiede che i prodotti siano progettati anche tenendo in considerazione la fase di utilizzo, al fine di favorire cicli prolungati e più efficienti di consumo e, in generale, il possesso rispetto alla proprietà dei beni.

Valeria Belvedere sviluppa un’analisi sulle diverse variabili che influiscono sull’impatto ambientale provocato dalle attività logistiche e sulle azioni che possono essere intraprese per aumentarne il livello di sostenibilità, dalla riprogettazione degli ingombri e imballaggi dei prodotti fisici al tipo di servizio che può essere proposto ai consumatori. L’attenzione verso il settore della logistica appare di interesse anche alla luce della crescente importanza che questa attività va ad assumere all’interno di alcuni modelli di business circolari; per esempio, nei casi di product as a service e di product life extention, laddove risulta essere fattore fondamentale il controllo fisico e il successivo ripossesso del prodotto.

Dopo questi approfondimenti di carattere organizzativo-manageriale si è voluta spostare l’attenzione verso la finanza come esempio di fattore abilitante la transizione verso l’EC. Il tema del rapporto tra l’EC e la finanza può essere ricondotto al più ampio filone di letteratura che affronta la relazione tra sistema finanziario ed economia reale, che si declina su alcune tematiche stereotipate quali il ruolo del sistema finanziario nella crescita dell’economia reale, l’efficiente allocazione delle risorse e il rapporto tra la finanza e l’innovazione tecnologica. La letteratura è diffusamente concorde nel riconoscere una relazione positiva e significativa tra crescita dell’economia reale e sviluppo dell’innovazione da una parte e disponibilità di risorse finanziarie e presenza attiva di finanziatori e investitori dall’altra. Più dibattuta è la tesi se tale relazione sia di tipo causale, ossia se la presenza di un sistema finanziario favorevole al finanziamento possa innescare processi di crescita economica e di innovazione. Al di là del dibattito che esiste sulla causalità della relazione, è evidente che la presenza di opportunità favorevoli per il sistema finanziario può essere un importante trigger di attivazione di un suo orientamento favorevole a seguire e, al limite, a incoraggiare la transizione verso l’EC. L’articolo di Claudio Zara è volto prima a individuare le implicazioni per il sistema finanziario indotte dalla transizione e poi a definire le opportunità per esso, che diventano altrettante motivazioni ad assumere un ruolo attivo e di supporto all’adozione del paradigma circolare.

La raccolta di articoli si chiude con due contributi di aziende che hanno abbracciato l’approccio dell’economia circolare, a dimostrazione di come la transizione e il cambiamento sono una realtà possibile. Come testimoni delle imprese industriali, Luca Meini, Nicole Della Vedova e Giulia Genualdi presentano l’esperienza di Enel. È importante sottolineare come l’approccio descrittivo adottato dagli autori, che trattano il tema in termini di portafoglio di progetti di circolarità, metta bene in evidenza la pervasività del concetto in esame lungo tutta la catena del valore, dal procurement alla raccolta di capitale finanziario sui mercati, passando per tematiche quali la riprogettazione/rivalutazione di siti dismessi e lo sviluppo di metriche volte a misurare il livello di circolarità già raggiunto dalle business unit del Gruppo.

Come esempio di azione nell’ambito del sistema finanziario, l’articolo di Massimiano Tellini illustra la strategia circolare di Intesa Sanpaolo. Anche in questo caso si sottolinea l’approccio sistemico al tema, che si declina lungo diversi ambiti di lavoro. Tra di essi: far conoscere l’EC alle aziende clienti e favorire la loro transizione, anche in ottica di protezione e di rigenerazione del portafoglio di impieghi; supportare lo start up e lo scale up di aziende innovative nell’EC, al fine di diffondere il seme del cambiamento all’interno del sistema economico e partecipare alla creazione di alcuni dei campioni di domani; finanziare la spesa per gli investimenti che la transizione implica attraverso strumenti concreti quali il plafond per i prestiti circolari e il veicolo di investimento nell’equity di imprese strategiche per il cambiamento; favorire il circular procurement nelle scelte di acquisto del Gruppo.

(Claudio Zara è Tenured Professor e Researcher presso il Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi e Professor nel Knowledge Group Banking and Insurance di SDA Bocconi School of Management. Ricopre ruoli di governance in uno dei primi dieci gruppi bancari italiani. 

Stefano Pogutz è ricercatore presso il Dipartimento di Management e Tecnologia dell’Università Bocconi. Ha un PhD in Management presso la Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa. È membro del Sustainability Lab della SDA Bocconi School of Management. Dirige il Faculty Group «Business and the Environment» del CEMS (The Global Alliance in Management Education) e dal 2018 è Direttore del comitato scientifico della One Ocean Foundation)

Note a piè

(1) J. Rockström et al., «A Safe Operating Space for Humanity», Nature, 46, 2009, pp. 472-75; W. Steffen et al., «Planetary Boundaries: Guiding Human Development on a Changing Planet», Science, 347(6223), 2015, 1259855.

(2) International Panel on Climate Change, Global Warming of 1.5° C, 2018.

(3) K.E. Boulding, «The Economics of the Coming Spaceship Earth», in H. Jarret (ed.), Environmental Quality in a Growing Economy, Baltimore (MD), Johns Hopkins University Press, 1966, pp. 3-14.

(4) N. Georgescu-Roegen, The Entropy Law and the Economic Process, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1971.

(5) B. Commoner, The Closing Circle: Nature, Man, and Technology, New York, Knopf, 1971.

(6) D.W. Pearce, K.R. Turner, Economics of Natural Resources and the Environment, Baltimore (MD), Johns Hopkins University Press, 1989.

(7) R.A. Frosch, N.E. Gallopoulos, «Strategies for Manufacturing», Scientific American, 261(3), 1989, pp. 144-52.

(8) P. Lacy, J. Rutqvist, Waste to Wealth. The Circular Economy Advantage, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2015 (trad. it. Circular economy: dallo spreco al valore, Milano, Egea, 2015).

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