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Marco Tortoriello

Il potere dei network al servizio delle imprese

Per mettere a frutto a pieno i meccanismi di condivisione di conoscenza nelle aziende, non basta una mera analisi delle strutture organizzative formali: manager e imprenditori devono acquisire familiarità con la vasta e complessa realtà delle reti informali

Oggi viviamo nell’era della knowledge economy: un’economia in cui le risorse di conoscenza, come il know-how e l’expertise, sono sempre più centrali per la competitività delle aziende. In particolare, numerosi studi hanno evidenziato che per generare innovazione in un’organizzazione è vitale la conoscenza sviluppata in maniera trasversale rispetto alle sue aree funzionali. Per le aziende diviene pertanto vitale far sì che i propri manager e collaboratori dispongano delle skill e degli strumenti adeguati per trasferire nuova conoscenza attraverso l’organizzazione.

Da un lato, le imprese sembrano dimostrare un crescente interesse al tema, come testimoniato dai crescenti investimenti in ICT e social media. Dall’altro, tuttavia, a questi sforzi non sembra accompagnarsi una comprensione adeguata dei meccanismi che sono alla base della condivisione della conoscenza. In questo senso, manager e imprenditori devono andare oltre una mera analisi delle strutture organizzative formali, ed esplorare invece il vasto e complesso mondo delle strutture e delle gerarchie informali.

I network informali

In un famoso articolo dell’Harvard Business Review, David Krackhardt e Jeffrey T. Hanson si occupavano degli «Informal Networks: The Company Behind the Chart»: sin dal titolo, l’articolo evidenziava come gran parte del lavoro nelle aziende avvenga non a causa, bensì a dispetto, delle strutture organizzative formalizzate. Le organizzazioni sono infatti attraversate da legami informali che mettono in contatto tra loro le persone, determinando lo sviluppo di network trasversali sia alle diverse unità organizzative, sia ai confini stessi delle singole organizzazioni. Questi network rappresentano, almeno potenzialmente, un canale per la trasmissione di informazioni e conoscenze.

Per studiare i meccanismi di acquisizione di conoscenze, ho condotto due diverse ricerche sulla divisione R&D di una grande multinazionale con una struttura multidivisionale[1]. La divisione R&D era strutturata in 16 diversi laboratori, dispersi in una varietà di località geografiche, per un totale di 276 individui, assegnati a 21 differenti progetti di sviluppo tecnologico. La peculiarità di questa divisione era che gli appartenenti a un determinato laboratorio erano in genere assegnati a progetti di sviluppo differenti, e che ciascun progetto di sviluppo comprendeva di solito individui dispersi in diversi laboratori: il risultato era la creazione di network fortemente trasversali a livello sia geografico sia organizzativo. In queste condizioni, la condivisione di conoscenza diventava un elemento cruciale per il successo dei progetti aziendali.

Quattro fattori fondamentali

Dalle ricerche è stato possibile individuare quattro elementi fondamentali per la costruzione di network efficaci e funzionali alla trasmissione di conoscenza.

1.      I boundary spanner

I boundary spanner sono individui che facilitano la trasmissione di conoscenza in maniera trasversale ai confini inter- e intraorganizzativi. Non si tratta di una funzione formale, definita in maniera esplicita, bensì di un insieme di abilità che è fortemente connesso alle caratteristiche psicosociali e professionali del singolo (per esempio, il disporre di un insieme ampio e solido di legami sociali o l’avere un atteggiamento mentale globale).

La presenza di boundary spanner è una condizione necessaria, ma non sufficiente, alla trasmissione di conoscenza: in alcuni casi, i boundary spanner possono persino avere un impatto negativo su questi processi. L’efficacia dei boundary spanner dipende molto non solo dalle loro skill e dalla loro affidabilità, ma anche dal contesto più ampio del network in cui si trovano a operare: per esempio, tanto più numerosi saranno i confini che separano due individui e tanto minore la sovrapposizione delle loro conoscenze ed expertise, tanto maggiore saranno le difficoltà nel processo di trasmissione di conoscenza tra di loro.  

Ma il limite principale rappresentato da un ricorso massiccio ai boundary spanner è che le organizzazioni possono diventare fortemente dipendenti da essi: nel caso in cui dovessero abbandonare l’azienda, verrebbero infatti irrimediabilmente compromessi i network trasversali all’interno dei quali i boundary spanner fungono da ponte.

2.      La forza del legame

Un secondo fattore essenziale per l’efficacia di un network è la forza del legame. L’accesso effettivo a risorse, idee e informazioni in un network è infatti sovente legata alla qualità delle relazioni che lo costituiscono. La profondità di un network dipenderà dalla forza della relazione tra ciascun contatto; questa, a sua volta, dipenderà dalla durata, dalla frequenza e dalla vicinanza delle interazioni.

Legami interpersonali forti sono in genere contraddistinti da cooperazione e fiducia; questa fiducia è spesso fondamentale per facilitare la trasmissione di conoscenza, riducendo lo scetticismo verso nuove idee e incentivando gli individui a chiedere esplicitamente nuove informazioni.

Tuttavia, la costruzione di legami forti implica un investimento sostanziale di tempo ed energie. Il rischio, nel concentrarsi solo su questi legami, è di investire in maniera massiccia su relazioni che non portino a reali benefici in termini di trasferimento di conoscenza.

3.      L’ampiezza del network

Di per sé, l’ampiezza del network ha un impatto assai inferiore alla forza del legame sul trasferimento di conoscenza tra due individui; tuttavia, a differenza della forza del legame, tale impatto non è legato a una singola relazione, ma riguarda l’intero network.

Fatto ancora più interessante, l’impatto dell’ampiezza del network è maggiore all’interno dei confini delle singole unità organizzative di quanto non sia trasversalmente agli stessi: sviluppare un ampio sistema di relazioni è quindi un modo efficace per favorire il trasferimento di conoscenza soprattutto all’interno di un’unità organizzativa data.

4.      Struttura del network e coesione

La struttura del network ha un’influenza sui processi di trasferimento di conoscenza. In particolare, ci concentriamo qui su uno specifico tipo di legame: il legame ponte simmeliano. In legami di questo genere, due individui connessi tra loro sono anche entrambi connessi a uno stesso terzo individuo. Questi legami portano alla creazione di strutture a triade.

Dal momento che il potere negoziale di ciascun singolo individuo è ridotto, le strutture a triade tendono a facilitare la risoluzione di conflitti. Ne conseguono una maggiore stabilità, lo sviluppo di significati e modi di vedere condivisi e una maggiore tendenza alla cooperazione e alla condivisione di conoscenza. Nel tempo, la cooperazione tende a diventare essa stessa un valore comune all’interno di strutture di network molto dense.

Implicazioni manageriali

Di seguito proponiamo, sulla base di quanto esposto in precedenza, quattro recommendations per quei manager e imprenditori che vogliano mettere pienamente a frutto il potere dei network nelle proprie organizzazioni.

1.      Mappate e analizzate i network informali più importanti

Per prima cosa, è indispensabile che riusciate a formarvi una rappresentazione visiva dei network informali nelle vostre organizzazioni: per esempio, cercando di capire quali sono le figure e i ruoli chiave, come si configurano le relazioni di fiducia, cooperazione e aiuto, e che modalità di problem solving vengono adottate all’interno dell’organizzazione. Osservazione e ascolto dei membri del network sono il punto di partenza per poter sviluppare una mappatura di questo genere.

2.      Identificate aree di debolezza

Una volta tracciata una mappa del network, dovete cercare di identificare possibili miglioramenti e potenziali criticità: come un boundary spanner in grado di compromettere il funzionamento dell’intero network qualora se ne andasse. I “ponti solitari” devono essere individuati e rafforzati, creando nuove connessioni e strutture a triade. Ciò faciliterà la cooperazione e la creazione di flussi stabili di conoscenza all’interno dell’organizzazione.

3.      Incrementate la forza dei legami, l’ampiezza e la coesione del network

Un network caratterizzato da legami molto forti e densi è particolarmente funzionale alla realizzazione di task complessi. Allo stesso tempo, network di questo genere possono finire per trasformarsi in paraocchi, limitando la capacità di affrontare in maniera creativa problemi persistenti. In questo caso, potrebbe essere opportuno cercare di costruire un network più disperso, favorendo interazioni inusuali ad ampio raggio. Questo genere di interazioni, caratterizzandosi per lo scambio di prospettive e conoscenze molto diverse, possono incoraggiare il pensiero laterale.

Riguardo a forza, ampiezza e coesione del network la regola d’oro è quella di valutare caso per caso quali siano le scelte migliori in base al tipo di task cui si sta lavorando e all’ampiezza dei legami coinvolti.

4.      Non esagerate

Fate tutto quello che potete per creare le condizioni più favorevoli allo sviluppo del tipo di network informale che ritenete più appropriato alla vostra azienda. Ma non eccedete: tentativi troppo marcati di manipolare le configurazioni dei network informali sono destinate a incontrare una forte resistenza. Se cercate di modellare un network informale come se fosse una struttura organizzativa formalizzata, non avrete mai successo.

La chiave per sfruttare appieno il potere dei network è parlare con le persone che ne fanno parte, capire quali sono le loro necessità e aiutarle a far sì che siano esse stesse a creare le condizioni ideali per lo sviluppo della tipologia di network più funzionale allo scambio di conoscenze.

(Marco Tortoriello è SDA Professor di Strategia. Dal gennaio 2017, è stato nominato Associate Dean Master Division presso la SDA Bocconi School of Management. È Professore di Strategy and Organization presso l’Università Bocconi)



[1] Le ricerche sono state svolte rispettivamente con Ray Reagans (MIT) e Bill McEvily (University of Toronto); e con David Krackhardt (Carnegie Mellon University). 

Tortoriello