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Gianni Canova, Severino Salvemini

Mexico! Un cinema alla riscossa

L’imprenditore alla cassa e in cabina di proiezione

Mexico! Un cinema alla riscossa

Regia: Michele Rho

Int. : attori non professionisti nella parte di se stessi

Italia, 2017

 

C’era una volta il cinema monosala. Quello con un solo schermo e un’unica programmazione. Una volta: prima dell’avvento dei multiplex e delle multisale. Prima del digitale. Prima dei social e del web. Allora – una ventina di anni fa – il centro di una città come Milano era considerato e definito «una piccola Broadway»: facevi una decina di passi e subito incontravi una sala cinematografica. Corallo, Astra, President, Pasquirolo, Mignon, Excelsior… nomi esotici e allusivi per piccoli templi monoteisti del culto dell’immagine. Ora a Milano – come nel resto del mondo – le monosale sono quasi del tutto scomparse, i cinema si sono trasferiti nei centri commerciali delle periferie e quei pochi esercenti monosala che ancora resistono rischiano di passare per idealisti e anacronisti.

A uno di loro, Antonio Sancassani, è dedicato il bel film documentario di Michele Rho intitolato – dal nome della sala storica che Sancassani gestisce da trent’anni in via Savona – Mexico! Un cinema alla riscossa. Il film non è un compianto lirico e nostalgico per il bel tempo che fu: è piuttosto un omaggio pieno di passione per un’idea di cinema ancora forte e viva e – al contempo – è anche il singolare ritratto di un imprenditore. Perché questo è, di fatto, Antonio Sancassani. Un imprenditore dell’entertainment. Un visionario a tal punto innamorato della sua visione da investirci, oltre che molti quattrini, anche tutta la sua vita. Nella sua storia ci sono errori e passi falsi, certo, ma anche intuizioni a modo loro geniali (la scelta, per esempio, di puntare sui film musicali che alla fine degli anni Settanta nessun altro esercente voleva programmare; o la scommessa di fare del Mexico il locale di riferimento in cui celebrare ogni settimana un film di culto come The Rocky Horror Picture Show). Ma oggi? Ha ancora senso oggi, nell’era della globalizzazione e della rete, un modello imprenditoriale e gestionale come quello incarnato da Antonio Sancassani? Ne discutono Severino Salvemini e Gianni Canova.

 

S.S. La storia di Antonio Sancassani è la storia di un settantenne, ossuto e tenace, che crede nella propria libertà («Per me è una cosa precisa: l’indipendenza») e che somiglia nella sua resistenza all’ultimo partigiano contro i giganti potenti. In questo ruolo, un po’ nostalgico e pieno di tenerezza, ricorda un indiano pellerossa circondato dai soldati bianchi a cavallo. Pieno di coraggio, con la schiena dritta, e scarsa disponibilità al compromesso.

 

G.C. Non sono del tutto d’accordo. Mi sembra tu ne faccia una nobile figura del passato, poco capace di dialogare con le logiche e le pratiche della contemporaneità. E invece non è così. Oggi come trent’anni fa, la figura di Sancassani è quella di un piccolo imprenditore orgogliosamente creativo che dribbla le logiche dominanti e cerca una sua strada originale e perfino imprevedibile, basandosi sul fiuto, sulla profonda conoscenza del cinema e su un attento ascolto delle esigenze del pubblico…. 

 

S.S. Mettila come vuoi, ma la storia di Sancassani è la storia di un imprenditore che non vuole inchinarsi alle nuove regole di un mercato concentrato, che si rifiuta di entrare in un circuito anche a costo di essere per questo penalizzato dalla distribuzione…

 

G.C. Sarebbe penalizzato se inseguisse a sua volta quelle logiche. Invece non è così. Sancassani ha inventato – caso più unico che raro – il fenomeno cult e rituale di Rocky Horror, che al Mexico viene proiettato ogni venerdì sera da 35 anni. Ha riscattato dall’oblio un capolavoro come Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti, riuscendo a tenerlo in programmazione per quasi due anni. Tutti record da Guinness…! Invece di omologarsi, ha cercato di dare alla sua sala un’identità specifica e precisa, e ne ha fatto il punto di riferimento per un certo tipo di pubblico… I risultati – almeno sul piano reputazionale – sembrano dargli ragione….

 

S.S. Qui esageri tu. Secondo me il film è la storia di una passione. Senza di quella non avrebbe fatto l’esercente in giovane età e non continuerebbe a farlo oggi, quando le condizioni del mercato lo obbligano a margini di redditività molto scarsi.

 

G.C. I margini di redditività non sono solo quelli monetari. Ci sono quelli reputazionali e quelli legati all’orgoglio per il proprio lavoro. Sancassani lo dice chiaramente: potrebbe vendere l’immobile e andarsene ai Caraibi. Ma si annoierebbe. Non sarebbe felice. Così sta in trincea tutto il giorno. Fa contemporaneamente l’operatore, il trasportatore, il fotocopiatore, il programmatore, il cassiere. Un vero autarchico del nuovo millennio. Soprattutto un venditore di film che cerca di mantenere sempre il contatto con il suo pubblico, e di conquistarsi ai suoi occhi autorevolezza e credibilità.

 

S.S.  Su questo ti do ragione: il tema della fiducia del consumatore è molto attuale e Sancassani lo ha affrontato con intelligenza già qualche decennio fa. Quando nel film di Michele Rho dice che oggi non puoi più aspettare che il pubblico venga da te, ma che devi andare fuori e catturare gli spettatori uno per uno, dice una cosa molto rilevante e indica un’urgenza di cui tutti, quale che sia il settore merceologico in cui operano, dovrebbero sapersi fare carico. In questo, è vero, più che un resistente o un resiliente, Sancassani è ancora una volta un esploratore e un innovatore.  

Mexico