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L'agenda dell'imprenditore 4.0
«Per le sue caratteristiche e per il suo ruolo […] l’imprenditore oggi è il soggetto chiamato a traghettare la società italiana nel nuovo mondo»[1].
Tutti d’accordo? Probabilmente sì, ma non basta.
«Nelle imprese, come in molte circostanze della vita, vale sovente il vecchio adagio “il difetto sta nel manico”. Anche se i problemi sono tanti e con cause diverse, trovano quasi sempre una soluzione se colui che è a capo dell’impresa ha le competenze e la personalità giusta. […] Come nelle esecuzioni orchestrali, il risultato dipende non solo dalla bravura dei vari suonatori, ma anche dalla capacità di qualcuno che li indirizzi, che li catalizzi e li coordini in un progetto collettivo, che li trascini verso un’interpretazione comune»[2].
Molta acqua è passata sotto i ponti, ma l’immagine si mantiene di straordinaria efficacia e di grande utilità anche per guardare, provocatoriamente, all’imprenditore del 2030. Che il traghettatore debba dirigere la propria orchestra in condizioni di crescente difficoltà è acquisito, che debba lavorare sugli orchestrali è agli atti, che debba metter mano agli strumenti è un dato di fatto. Ma su di lui cosa possiamo dire? In un’ipotetica agenda per la «leadership imprenditoriale» del futuro su cosa si dovrebbe lavorare?
Punto primo: sulle motivazioni. Nei fatti, i duri colpi della crisi hanno chiamato a raccolta le forze, liberando nuova energia. Serve però un’«ambizione 4.0», destinata a scaricarsi su progetti più complessi che in passato. Si dovrà metter mano al motore per scavare dentro le inefficienze, per riordinare il portafoglio delle attività, per ricominciare coraggiosamente a investire (…suonerà strano, ma molte PMI esprimono ancora un potenziale di miglioramento gestionale tutt’altro che marginale). Si dovrà raccogliere il guanto delle sfide della Quarta Rivoluzione Industriale, individuando in tempi ragionevoli una via italiana all’Industria 4.0. Si dovrà quadrare il cerchio della dimensione ottima per competere, portando un contributo forte alla crescita, specie internazionale, delle proprie imprese.
Punto secondo: sul cantiere famiglia-impresa. Molto è stato fatto, altrettanto resta da fare. Un possibile modello a cui tendere è efficacemente sintetizzato da Giorgio Brunetti [3], quando osserva che la concezione identitaria dell’azienda «si rafforza se la famiglia ha le capacità necessarie a ben funzionare, se si è data delle regole e ha creato un ambiente favorevole alla crescita imprenditoriale dei figli e quindi allo sviluppo aziendale» e laddove «l’assetto del capitale è stabilizzato e armonico e dove i vari rami famigliari sono riusciti a darsi una sistemazione soddisfacente per tutti, grazie all’opera di un leader familiare, credibile e autorevole, capace di guidare correttamente questo complesso rapporto tra famiglia e impresa». In poche righe è tracciato un profilo di leadership cui è bene che i traghettatori del futuro guardino con attenzione, prendendo le distanze dal familismo, dando spazio ai giovani famigliari di valore, inserendo manager esterni, manovrando il capitale.
Punto terzo: alla frontiera della sharing entrepreneurship. Per non pochi imprenditori together si sta rivelando beautiful. Sarà che i tempi sono cambiati, sarà che la fame aguzza l’ingegno, sarà che le nuove generazioni non hanno pregiudizi, ma una svolta è in atto. Un esempio: le piccole imprese che hanno dato vita a esperienze di rete, abituando gli imprenditori a interagire con interlocutori sulla stessa barca, a provocare domande (Che senso ha perseguire delle sinergie negli acquisti se poi ci si scanna sui clienti?), a generare risposte (Un file comune in cui condividere i primi cinquanta clienti di ogni partner?). La sfida è destinata a salire di livello, spingendo verso integrazioni, razionalizzazioni, sinergie, nel contesto di un robusto progetto industriale. Dal contratto di rete a una holding di partecipazioni, e il gioco è fatto!
(Federico Visconti è Rettore della LIUC – Università Carlo Cattaneo)
[1] L. Paolazzi, M. Sylos Labini, F. Traù (a cura di), Gli Imprenditori, Venezia, Marsilio Editori, 2016, p. XVIII.
[2] C. Dematté, «Quando bisogna mettere mano al motore», Economia e Management, n. 2/2001
[3] G. Brunetti, «Le concezioni imprenditoriali dell’impresa», in L. Paolazzi, M. Sylos Labini, F. Traù (a cura di), op. cit.