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La crescita delle aziende familiari: acquisire o non acquisire?
Una famosa scrittrice di gialli affermava: “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. E la prova dei fatti è la constatazione che le aziende familiari dovrebbero essere un po’ meno timide di fronte alle opportunità di crescita attraverso acquisizioni e joint venture. Per il loro bene, ossia per perdurare in modo sostenibile a favore delle generazioni che verranno. Dall’altra parte, lo sviluppo interno, quello che valorizza e perpetua la tradizione imprenditoriale e la declina in forme nuove, non è sempre sufficiente né a costruire né a mantenere un vantaggio competitivo. Mentre più spesso di quello che si è portati a credere, la capacità di progettare e portare a termine operazioni di crescita esterna si configura come una scelta ineluttabile per traghettare nel futuro un’azienda sana e con prospettive, anziché strategicamente debole e patrimonialmente fragile.
Ritornando alla celebre affermazione di partenza, i tre indizi che fanno la prova sono rappresentati da tre eventi recenti: l’illustrazione del caso Bavaria; la presentazione dell’ottava edizione dell’Osservatorio delle Aziende Familiari; l’annuncio di un’operazione di acquisizione del gruppo Ferrero. Nell’insieme sollevano una domanda di fondo: quali ragioni familiari ostacolano l’avvio di opportune e desiderabili strategie acquisitive?
I tre indizi che fanno una prova
Bavaria
Lo scorso 16 novembre Frank Swinkels, CFO del gruppo olandese Bavaria nonché componente della settimana generazione della famiglia proprietaria, ha condiviso la sua storia personale, quella del gruppo e le prospettive future.
Bavaria opera nel settore della birra: tasso di crescita pari al 2% a livello mondiale con competizione molto agguerrita e alimentata da un processo di consolidamento dell’offerta che ha portato alla creazione di tre global player sullo scacchiere globale. AB InBev (32% quota di mercato), Heineken (9,8% di quota) e Carlsberg (5,3% di quota). Nel 2016 Bavaria conseguirà ricavi per circa 600 milioni di euro con un portafoglio di 19 marchi variamente posizionati e un EBITDA atteso di oltre 80 milioni di euro. Risultati di successo secondo la proprietà che guarda al domani ponendosi un ambizioso obiettivo: un miliardo di ricavi nel 2020 con un EBITDA di oltre il 15%. Per traguardare la meta è previsto un maggior ricorso alla crescita esterna. Una novità rispetto alla tradizione in casa Swinkels.
Un primo passo in questa direzione è già stato compiuto: l’acquisizione del gruppo belga Palm Belgian Craft Brewers – un’altra azienda familiare – con ricavi di circa 50 milioni di euro avvenuta lo scorso giugno.
Osservatorio AUB sulle aziende familiari
Lo scorso 21 novembre la Cattedra AIdAF – EY di Strategia delle Aziende Familiari ha presentato l’ottava versione dell’Osservatorio AUB dal quale emergono indicazioni preziose. Prima di tutto, è in atto una lenta ripresa del numero di acquisizioni e joint venture dopo la caduta del 2013. La ripresa è trainata dalle familiari di maggior dimensione che mostrano una propensione ad acquisire più marcata. Poi, la maggior parte delle operazioni censite sono di tipo “cross-border” oppure finalizzate a entrare in nuovi business. Il desiderio di estendere il raggio di azione dell’impresa oltre il core business è dunque la principale finalità perseguita. In ultimo, l’Osservatorio mostra che nelle familiari che acquisiscono maggiormente, i modelli di leadership sono più strutturati e professionalizzati nonché integrati da sistemi di corporate governance che prevedono un significativo coinvolgimento di consiglieri indipendenti e non familiari. Il ruolo della famiglia evolve, da operativo a più strategico, insieme alle strutture per selezionare e aggregare fra loro competenze sofisticate e adatte ad affrontare le nuove e più complesse sfide.
Ferrero
Il 26 novembre il Wall Street Journal ha riportato che il gruppo dolciario Ferrero ha raggiunto un accordo con l’inglese United Biscuits per l’acquisizione di due aziende che operano nel settore dei biscotti o cookies. La francese Delacre e la belga Delichoc. L’operazione conferma un cambio di passo strategico a dir poco storico. Da una parte, con il passaggio alla seconda generazione guidata da Giovanni, la famiglia ha maturato la convinzione che le strategie acquisitive sono una opzione da valutare tanto quanto quelle per linea interna. In modo laico e senza pregiudizi di sorta. Si tratta di una discontinuità di impostazione rispetto a quella del fondatore Michele Ferrero che proprio verso le acquisizioni mostrò sempre una profonda diffidenza. Dall’altra parte, l’operazione con United Biscuits segna pure l’inevitabile accelerazione nel percorso di diversificazione del gruppo di Alba per evitare di rimanere intrappolato nelle logiche competitive del mondo del cioccolato. Il settore dei biscotti è adiacente al core business e l’acquisizione di marchi noti consentirà di costruire in breve tempo una posizione competitiva forte, beneficiando di sinergie e consentendo di apprendere i segreti di un mestiere nuovo.
Acquisire o non acquisire?
Il dilemma acquisitivo nelle familiari si risolve imparando a equilibrare fra loro due mondi distinti: quello della ragione aziendale e quello della ragione familiare.
Una strategia acquisitiva si deve prima di tutto fondare su una ragione aziendale che si evince da analisi costi/ benefici e da valutazioni strategiche e organizzative. Per esempio, si può acquisire per dotarsi di risorse di valore di cui l’impresa non dispone, ma che sono necessarie per rafforzare la posizione di vantaggio competitivo; per eliminare un concorrente dal mercato; per cogliere un trend di sviluppo della domanda particolarmente positivo e che richieda una risposta celere; oppure per ridurre dei rischi.
Una volta verificata la ragione aziendale bisogna far sì che la famiglia non blocchi l’operazione per ragioni di natura emotiva oppure per il timore di perdere dei benefici personali nel breve periodo. L’intreccio fra emotività e convenienze può innescare resistenze forti:
• la famiglia non vuole perdere il controllo proprietario dell’azienda ossia teme che una crescita rapida possa tradursi in un fabbisogno di finanziamento che non riuscirà a soddisfare in autonomia, con l’effetto finale di creare le premesse per aprire il capitale a terzi e vedersi progressivamente diluita nel controllo;
• la famiglia non vuole perdere il controllo organizzativo dell’azienda ossia teme che il salto di dimensione organizzativa diluisca il suo ruolo di potere in azienda a favore dei manager non familiari. Tale timore è tanto più forte, quanto più non si creda fino in fondo al principio – e ai vantaggi – della delega manageriale;
• la famiglia non vuole perdere il controllo strategico dell’azienda ossia teme che l’espansione del business e l’eventuale maggiore diversificazione e/o internazionalizzazione delle attività si riflettano in un incremento di complessità tale da indebolire la sua capacità di influenza sulla strategia aziendale;
• la famiglia non vuole mettere in discussione una tradizione basata sulle virtù dello sviluppo interno. E’ noto che nelle familiari i processi decisionali siano fortemente influenzati dai valori imprenditoriali e dai principi delle generazioni passate. E’ altrettanto noto che tali valori possono essere una straordinaria fonte di vantaggio, ma anche di inerzia al cambiamento. Ebbene, se le precedenti generazioni hanno educato i figli al primato dello sviluppo interno rispetto a quello esterno, a prescindere da tutto, appare chiaro che i familiari posti di fronte alla decisione di acquisire la vivranno con forte stress emotivo poiché dovranno decidere se prendere le distanze da un passato verso il quale provano affetto, senso di riconoscenza, gratitudine e dovere;
• la famiglia non vuole perdere i benefici economici di breve periodo della proprietà. Le acquisizioni si finanziano con i risultati di una prudente e sana gestione nella fase di post-integration ed evitando – pro tempore – generose politiche di dividendo a favore degli azionisti per riequilibrare la situazione patrimoniale. Tale circostanza, come si può ben immaginare, può essere fonte di resistenza nell’ambito di compagini proprietarie composte in prevalenza da soci non gestori più interessati al loro life-style, garantito dal flusso di dividendi, che alla sostenibilità strategica dell’impresa e alla crescita del suo valore.
Ebbene, acquisire o non acquisire?
Il dilemma non ha risposta univoca. Bisogna saper bilanciare razionalità ed emotività e saper allineare con maestria tre fattori: strategia familiare, strategia aziendale e dinamiche di mercato. Avendo in mente che solo un’azienda sana e proiettata nel futuro può creare unità e coesione familiare.